Le origini del Cristianesimo
Una nuova morale non contraria alla società, ma fortemente diffidente verso lo Stato, contribuì alla fine del mondo classico

Dai testi biblici a nostra disposizione sappiamo che gli Ebrei avevano un atteggiamento di superiorità verso i popoli vicini e gli stranieri. Nonostante che in diverse parti la Bibbia prescrivesse il rispetto dei forestieri, l’atteggiamento degli Israeliti risultava particolarmente duro, ed una legge del periodo di Esdra nel V secolo prevedeva addirittura il divieto di matrimonio con i non circoncisi. Anche in tempi più vicini a quelli di Cristo, la situazione non si presentava diversa. Il poeta latino Giovenale ricordava che gli Ebrei erano soliti non rivolgere la parola, non solo a quelli che non appartenevano al proprio popolo, ma addirittura verso coloro che non erano della propria «conventicola», mentre San Paolo nella Lettera ai Romani ricorda il carattere altezzoso e scontroso degli Ebrei, i Vangeli infine ci ricordano che gli «eletti» ritenevano di non poter entrare nelle case dei pagani perché considerate impure.

Il periodo immediatamente precedente alla predicazione di Gesù costituì un periodo importante per la Palestina. Sotto la direzione dell’energico Erode il Grande la regione divenne una terra popolosa – si ritiene che quasi un decimo della popolazione dell’Impero fosse ebraica – con grandi opere pubbliche, fortezze e un’efficiente rete stradale. Tuttavia il contrasto fra i Sadducei, conservatori e portati al compromesso, e i Farisei, gli «integralisti» dell’epoca, agitò profondamente la società di allora.

L’insegnamento di Gesù, come quello di Giovanni Battista poteva considerarsi come contrario al formalismo prevalente nella religione ebraica dell’epoca, tale nuova forma di religiosità aveva dato vita ad un movimento religioso a carattere popolare, tuttavia diverso da quello chiuso e settario di gruppi religiosi simili. Alcuni hanno notato alcune affinità fra la comunità cristiana e quella degli Esseni, tuttavia mentre questi erano dediti alla vita monastica, i Cristiani intendevano non costituire un corpo estraneo alla società. Abbastanza interessante è l’apertura mostrata da Gesù verso gli stranieri, nei Vangeli vediamo il caso del centurione romano che si era rivolto a Lui, al quale il Maestro rispose: «Non ho mai trovato una fede così grande tra quelli che appartengono al popolo d’Israele». Ancora più interessante è poi la famosa affermazione di Gesù di fronte ai Farisei che avevano cercato di metterlo in difficoltà: «Date a Cesare quello che è di Cesare e date a Dio quello che è di Dio», un’opinione non condivisa da una parte notevole degli Ebrei. Significativo è anche, come riportato dagli Atti degli Apostoli, che Stefano, uno dei membri della comunità di Gerusalemme, venne condannato a morte per aver affermato che la presenza di Dio non era legata al Tempio di Gerusalemme, un’istituzione di notevole importanza per gli Ebrei ortodossi.

Già Gesù nei Vangeli si era espresso per una certa riforma della Legge Mosaica, tale nuovo atteggiamento venne ripreso con maggiore vigore da San Paolo, e fu la causa di contrasti fortissimi all’interno dei Cristiani e della comunità ebraica. Svetonio al riguardo riporta infatti del «continuo tumulto… per colpa di un certo Cristo». Il Cristianesimo meno formalistico e più aperto agli stranieri dell’Ebraismo tradizionale, accolse al suo interno un gran numero di Greci, e si affermò rapidamente ad Antiochia e Alessandria, città che avevano una larga presenza dei due popoli. I Cristiani non attribuivano particolarmente importanza alle cerimonie religiose, alle «opere» come le chiama San Paolo, ma come si affermava negli Atti degli Apostoli, insistevano sull’importanza di una ricerca interiore e di un cambiamento di vita. Per quanto riguarda l’organizzazione interna della comunità, a Gerusalemme i Cristiani «vivevano come fratelli» e mettevano in comune i beni, ma tale scelta di vita così radicale non venne seguita dagli altri gruppi. Nelle comunità cristiane le donne avevano un ruolo superiore a quello che generalmente possedevano fra gli altri Ebrei. Le autorità romane non presero provvedimenti contro i Cristiani, ritenevano, come confermato negli Atti degli Apostoli, di non dover entrare nelle questioni religiose che ritenevano di scarso interesse per lo Stato.

Il periodo successivo a quello di Gesù fu un periodo particolarmente intenso dal punto di vista religioso. Gli Atti degli Apostoli e lo storico ebraico Giuseppe Flavio riportano la presenza di numerosi personaggi messianici che si ritenevano investiti di poteri miracolosi e suscitavano turbamento nel popolo.

Con San Paolo la nuova fede esce dall’idea di subordinazione al Dio, si accosta alla mentalità greca più aperta, ed acquista un notevole spessore culturale, anche se nella Prima Lettera ai Corinzi si espongono alcuni principi diversi da quelli della cultura classica. In tale lettera, scritta intorno all’anno 54, si insiste sull’appartenenza alla comunità dei fedeli e si esprime una certa svalutazione della ragione, si afferma che «gli Ebrei infatti vorrebbero miracoli, e i non Ebrei si fidano solo della ragione», in altre parti si mette l’accento sul senso di emarginazione dei Cristiani rispetto alle istituzioni e alla società: «Siamo diventati la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, e lo siamo tuttora», tuttavia tale posizione non lo spinse ad un atteggiamento di contrapposizione con la società e il mondo romano, e nella Lettera a Timoteo (anche se incerta l’attribuzione a San Paolo) afferma: «Bisogna pregare per i Re e per tutti quelli che hanno autorità, affinché si possa vivere una vita tranquilla, in pace», mentre nella Lettera a Tito ricorda che tutti «devono essere sottomessi alle autorità e ai governanti», infine nella Lettera ai Filippesi implicitamente ammette che alcuni dei Cristiani lavoravano «alle dipendenze dell’Imperatore Romano». Anche la Prima Lettera di Pietro (scritta da un autore sconosciuto ai tempi di Domiziano, intorno all’anno 90) conferma tali concetti, dove si dice: «Comportatevi bene in mezzo ai pagani… rispettate l’Imperatore». Le opinioni di San Paolo più aperte, contrastavano in diversi punti con quelle di Giacomo, capo della comunità di Gerusalemme, e con quelle di San Pietro, si legge infatti nella Lettera ai Galati: «Ma quando Pietro venne ad Antiochia, io mi opposi a lui apertamente perché aveva torto. Prima infatti egli aveva l’abitudine di sedersi a tavola con i credenti di origine pagana; ma quando giunsero alcuni che stavano dalla parte di Giacomo, egli cominciò a evitare quelli che non erano Ebrei». Un contrasto sicuramente importante, come importante fu la questione del rispetto della Legge Mosaica, e della circoncisione.

Negli scritti di San Paolo, come in quelli di poco successivi di Giovanni (l’autore di uno dei Vangeli), si parla dell’attesa messianica e si esprime l’idea che i tempi nei quali si trovano a vivere sono quelli che precedono la fine del mondo. Nella Prima Lettera di Giovanni si sostiene che il mondo è pieno di falsi predicatori e si afferma l’idea dell’anticristo: «Tutto il mondo intorno a noi si trova sotto il potere del diavolo». Comunque ciò non spingeva ad una posizione estremista o fatalista, ma si insisteva sull’idea che l’amore a Dio e quello fra gli uomini fosse qualcosa di fondamentale per la società. Nella Prima Lettera ai Corinzi si sottolinea l’importanza di alcuni semplici valori: «Ecco dunque le tre cose che contano: fede, speranza, amore. Ma la più grande di tutte è l’amore». La letteratura apocalittica che compare in quel periodo, esprimeva un forte stato di insofferenza nei confronti della società, l’Apocalisse di Giovanni di poco successiva (prima dell’anno 100) contiene passi antiromani e antiebraici.

Tacito parla dei Cristiani come di «una funesta setta di fanatici» che odiava l’umanità, giudizio che fa ritenere che i Romani li considerassero come non diversi dagli Ebrei. Nella stessa opera si mette in luce che i Cristiani fossero oggetto di disprezzo da parte di molti. Tale opinione venne condivisa anche da Svetonio di poco successivo. Plinio il Giovane, contemporaneo di Tacito, parla invece dei Cristiani in modo molto meno negativo e fa capire (opinione condivisa anche dallo stesso Imperatore Adriano) che fossero oggetto di molte calunnie popolari. I Cristiani, afferma lo scrittore, erano presenti in ogni livello della società, nelle città e in parte nelle campagne. I loro riti erano assolutamente innocenti e comportavano l’impegno a non commettere furti, adulteri e a non mentire. Altri autori ne parlano come di un gruppo di uomini convinti di poter rinascere o di poter avere l’immortalità, altri basandosi invece su alcune insinuazioni, di una setta dedita a strani vizi libidinosi.

Lo storico inglese Laurens Fischer ha scritto che la vecchia religione pagana era da tempo in crisi nel mondo greco-romano, che i filosofi avevano intuito l’idea di un unico Dio, e che la parte colta della società si rivolgeva a culti che avessero un maggiore contenuto morale, rispetto ai culti tradizionali incentrati sulla natura. I culti orientali di Iside e Serapide, del frigio Attis, come quello del dio guerriero Mitra, garantivano consolazione per il presente e la speranza di vita eterna, una possibilità aperta a tutti, anche per gli appartenenti alle categorie più umili. Il nutrirsi della carne del Dio, l’idea di un Dio che muore con dolore per poi risorgere, non fu una novità introdotta dal Cristianesimo, ma era presente anche in altre religioni, analogamente si può dire che esistessero analogie fra l’immagine della Madonna e quella della divinità egizia Iside. Questi culti ebbero per un periodo un certo successo, ma mostrarono anche le loro insufficienze nei confronti della nuova religione cristiana.

La generazione successiva a quella degli Apostoli accentuò il senso di estraneità dal mondo. Se gli scritti di Giustino Martire e del Vescovo di Roma Clemente Romano ci appaiono equilibrati, una certa tendenza al pessimismo e al fanatismo appare in Ignazio Vescovo d’Antiochia che scrive fra il 100 e il 110. Nella Lettera ai Romani afferma: «Niente di ciò che è visibile è buono… Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio». Anche più esplicito sulla moderazione delle autorità romane e sul desiderio di martirio è il testo conosciuto come il Martirio di Policarpo, scritto successivamente al 150. I Padri apostolici nei loro scritti accennarono anche ad un altro tema, quello del rapporto fra ricchi e poveri. Le posizioni erano diverse, alcuni ritenevano che dovevano rispettarsi reciprocamente, altri invece propendevano per il disprezzo dei ricchi.

Nel periodo successivo il Cristianesimo iniziò a integrarsi nella società greco-romana del tempo, ma iniziò anche a demolire i valori fondamentali dello Stato. Si perse il senso dell’amore e della compassione, e si accentuò la polemica aspra contro i pagani. In molti pensatori si affermava l’idea di vivere in un mondo corrotto e in una società immorale. Nel II secolo Montano, un pensatore della Frigia (considerato eretico) si esprimeva a favore della continenza assoluta, del martirio, e proponeva la creazione di una Chiesa carismatica in contrasto con l’autorità dei Vescovi e lo Stato. Origene sosteneva un rigido ascetismo (che lo spinse anche ad auto-evirarsi) e affermò l’idea che l’attaccamento alla materia costituisse qualcosa di male. Tertulliano si scagliava contro l’uso della toga, gli spettacoli pubblici, il servizio militare e la moda, più in generale riteneva negativa la stessa filosofia e il libero pensiero, responsabili di un atteggiamento di curiosità verso il mondo. Nel suo scritto Sugli spettacoli afferma: «Quale maggiore piacere, della nausea per lo stesso piacere, del disprezzo di tutto questo secolo». Altrettanto duro è il suo giudizio sulla donna, considerata più o meno un essere demoniaco.

I Cristiani nel III secolo tendevano a separarsi dal mondo pagano, non partecipando agli spettacoli, all’attività politica e a quella militare. Esaltavano la castità e a volte il martirio assumendo atteggiamenti volutamente provocatori nei confronti delle autorità. In generale i Padri della Chiesa affermavano una certa svalutazione della ragione e della filosofia classica. Infine quando con Costantino il Cristianesimo divenne una religione ufficiale, questa contribuì a creare uno Stato autoritario, fortemente centralizzato e con una società gerarchizzata. Come scrisse Lord Acton: «I primi Cristiani evitavano i contatti con lo Stato, si astenevano dalle pubbliche responsabilità, ed erano persino riluttanti a servire nell’esercito. Poiché si preoccupavano della loro cittadinanza in un regno che non è di questo mondo, essi non avevano nessuna considerazione per un Impero che appariva loro troppo potente perché vi si potesse resistere e troppo corrotto perché si potesse convertirlo». Forse proprio queste caratteristiche di passività spinsero l’Imperatore Costantino a sostenere tale nuova religione.

(anno 2005)

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