Il Cristianesimo: duemila anni di oppressione?
Leggende, luoghi comuni, falsi miti da sfatare sulla religione cristiana e sulla sua storia

I libri che trattano di storia delle religioni o, meglio, di storia del Cristianesimo hanno sempre un posto notevole sugli scaffali delle librerie: c’è chi è incuriosito, chi desidera accrescere il proprio sapere, e chi li legge per trovare conferma delle proprie convinzioni – il più delle volte del tutto false. Molti libri si rivolgono a quest’ultimo tipo di pubblico, il più arroccato a difendere a spada tratta le proprie idee, con la scusa che «a me quella verità va bene» (ma non esistono due o tre o più verità: un libro di storia o dice una cosa vera, o ne dice una falsa; ogni altra possibilità è esclusa).

Il problema è che molti libri sul Cristianesimo sono scritti da persone che non vi aderiscono o che addirittura consacrano la propria vita a combatterlo, operando in perfetta malafede. L’oggi non si può giudicare con il criterio che avranno i nostri posteri tra dieci, cento anni o mille anni, ma con l’oggi che viviamo; così anche il fatto di dieci, di cento o di mille anni fa, bisogna giudicarlo con il costume, la mentalità, la legislazione di quel tempo. Questo è ovvio, ma purtroppo molto spesso tendiamo a dimenticarlo. Lo storico vero non giudica il passato con le categorie sue proprie; tutte le testimonianze si devono interpretare collocandole all’interno del contesto umano, storico, psicologico, culturale in cui sono nate e non con le categorie della nostra epoca.

Gli attacchi perpetrati nei confronti della religione cristiana e, più in particolare, della Chiesa Cattolica hanno dei punti ben precisi: si parte da notizie totalmente false, infondate e farneticanti, si passa per cifre paurosamente gonfiate fino ad arrivare alla tecnica della verosimiglianza, ovvero impastando la vicenda storica di riferimenti reali o di avvenimenti orecchiati (luoghi comuni) lasciando un’impressione di verità. Si conserva un riferimento parziale alla realtà, in modo che la stragrande maggioranza della gente superficiale o disattenta possa avere l’impressione di muoversi su un terreno a lei noto e che potrebbe in ogni momento verificare, ma che naturalmente non verificherà mai perché crede di conoscere bene l’argomento, o per svogliatezza, o semplicemente perché quello che si legge fa piacere, corrisponde ad un preconcetto ben annidato. (Provate a chiedere a qualcuno quali furono le cause delle Crociate, o che cos’era la Santa Inquisizione: nella maggior parte dei casi, si otterranno risolini imbarazzati o alzate di spalle; eppure, chiunque crede di sapere tutto sulle Crociate e sulla Santa Inquisizione).

Si indica poi come documento di prova delle proprie fantasie storiche un’opera reale e teoricamente constatabile da tutti: anche se nessuno andrà ad approfondire, l’iniziale verosimiglianza di molti particolari creerà un’irragionevole «certezza generale», che non è intaccata dalla contestazione delle singole falsità e che è quindi molto difficile da scalfire. Il tutto è reso ancor più autorevole dal fatto che gli scritti che veicolano queste idee spesso non sono siti internet in cui chiunque può scrivere ma opere a stampa, e che quindi si presume siano state lette e scrupolosamente controllate (il che spesso non è vero, anche quando si tratta di case editrici di gran nome).

In questo articolo tratteremo delle principali accuse al Cristianesimo ed alla Chiesa Cattolica contenute in questi libri, vedendo quanto contengono di reale e quanto di falso o di inventato.


Il messaggio dei Vangeli

Un’accusa che va molto di moda è che la Chiesa Cattolica abbia volutamente ed in perfetta malafede modificato il messaggio di Gesù Cristo: quello che va predicando sarebbe diverso da quello riportato nei Vangeli. Anzi, gli stessi scritti evangelici sarebbero stati manipolati per rispondere ad un ben preciso ordine politico dell’Imperatore Costantino. Il Codice Da Vinci di Dan Brown è sicuramente lo scritto più famoso, ma non l’unico, su questo tema[1].

Prove a sostegno di questa tesi: nessuna! Per renderla più credibile, però, si sono presi i Vangeli apocrifi, presentandoli come documenti storicamente più credibili dei Vangeli canonici perché privi di manipolazioni (mentre in realtà sono una serie di raccolte – posteriori a tutti gli scritti del Nuovo Testamento – di episodi fantasiosi, leggendari, mitici); si sono prese alcune frasi, estrapolandole dal loro contesto e dandone un’interpretazione estranea a quella che ne voleva dare l’autore. Si è creata così un’immagine di Gesù diversa da quella che danno i Vangeli canonici, ma ancor più profondamente differente da quella veicolata dai Vangeli apocrifi, oltre che del tutto storicamente infondata.

Invece, la tradizione della Chiesa è formata da un percorso che inizia con il Genesi, è poi proseguita, approfondita, rivelata e riequilibrata nel Nuovo Testamento costituito dai quattro Vangeli, spiegata attraverso il tempo dagli Apostoli con gli Atti, e nelle varie epoche dai Santi e dalle apparizioni divine, con i miracoli e i prodigi. Si fa ricca anche di tutti quei martiri che con il loro sangue hanno consentito alla Verità, donata da Cristo, di essere testimoniata con coraggio in ogni tempo, fino agli estremi confini della terra.

La fede cristiana è basata non su dicerie, ma sulla testimonianza di chi ha preferito morire (spesso nei modi più dolorosi) piuttosto che negare ciò che aveva visto con i propri occhi: Gesù di Nazaret risorto, vivo, il terzo giorno dopo la sua morte in croce. Stefano fu lapidato, Pietro crocifisso (il «supplizio degli schiavi»), decine di altri testimoni furono martirizzati: di solito si testimonia il falso per salvare la pelle, non per perderla. San Paolo non aveva nulla da guadagnare e tutto da perdere convertendosi al Cristianesimo, eppure dopo avere incontrato Cristo sulla via di Damasco (un incontro, non un’intuizione o un’illuminazione!) non ha avuto timore a propagare la Fede. Come lui, i primi Cristiani non sono morti per un’idea, ma per testimoniare un fatto: il fatto di Cristo e della sua Risurrezione. Il Cristianesimo è basato su un fatto, e un fatto, come scrive Bulgakov nel Maestro e Margherita, è la cosa più ostinata del mondo. Pietro e gli altri, quando predicavano, non dicevano: «Questa è la nostra teoria», ma: «Questo abbiamo visto e udito, e ve lo annunciamo». Hanno accettato il martirio piuttosto di rinnegare la Verità, e i martiri si contano oggi a milioni!

Non è neppur vero che nella Chiesa il ruolo della donna viene discriminato. È esattamente il contrario. Nella Sacra Scrittura Dio stesso è presentato come Padre e come Madre («Si dimentica forse una donna / del suo bambino, / così da non commuoversi per il figlio / delle sue viscere? / Anche se costoro si dimenticassero, / Io invece non ti dimenticherò mai», Isaia, 49, 15), e per incarnarsi ha avuto bisogno del «sì» di una giovane donna, una ragazza di quindici o sedici anni in un paesino assolutamente insignificante; questa donna è nata «senza peccato» e nell’Apocalisse viene incoronata «Regina del cielo e della terra» (il passo verosimilmente allude anche alla Chiesa, personificata in una figura femminile); Maria madre di Gesù viene presentata come il modello del perfetto Cristiano. Gesù ha molto rivalutato le donne e ristabilito la dignità della donna in una società e in una cultura dove questa godeva di scarsa considerazione, tanto che furono alcune donne le prime testimoni della Risurrezione; e fu la Chiesa, nella sua riforma dell’istituzione matrimoniale, ad abolire, oltre alla lapidazione femminile per adulterio, la possibilità del ripudio, che era concessa, sia presso gli Ebrei che presso i Romani, ai soli maschi. La storia del Cristianesimo autentico ha elevato la posizione delle donne: ad esempio, è stato principalmente grazie agli sforzi dei missionari cristiani in India che è stata fermata l’orribile usanza di bruciare le donne sulla pira funeraria dei loro mariti. Nell’Islam, nell’Induismo, nel Buddismo, nel Protestantesimo invece le donne non esistono. La monogamia predicata da Cristo e dalla Sua Chiesa ha cambiato del tutto la storia di milioni di donne, in tutte quelle parti del mondo in cui esse erano state sino ad allora sottomesse alla poligamia: la monogamia, infatti, fu, storicamente, l’affermazione della pari dignità tra uomo e donna.


Le Crociate

Uno dei temi «caldi» della storiografia riguarda le Crociate, queste guerre che – secondo Hans Wollschläger, Le Crociate armate su Gerusalemme – dall’XI al XIII secolo provocarono 22 milioni di morti, tra i quali migliaia di Ebrei Tedeschi. Helen Ellerbe, con totale inverosimiglianza, in The Dark Side of Christian History (Morningstar Books, San Rafael, CA 1995), parla di un milione di morti solo nella Crociata Albigese (fatta non dalla Chiesa, ma dalla nobiltà francese per motivi politici). Molti detrattori delle Crociate portano a sostegno delle loro affermazioni il fatto che il conteggio (stratosferico) dei morti musulmani proviene da fonti cristiane. Il che è sicuramente vero. San Bernardo di Chiaravalle, per esempio, denunciò che la Prima Crociata (1095-1099) fosse composta da «incredibili malfattori, saccheggiatori sacrilegi, omicidi, spergiuri, adulteri»; in una lettera a Papa Urbano II si narra che nel dicembre del 1098 i Crociati, sfiniti e affamati, dopo un mese di assedio presero la cittadina di Maarrat (oggi in Siria), trucidarono 20.000 prigionieri saraceni e si abbandonarono al cannibalismo cibandosi di musulmani e di cani (il Crociato Rodolfo di Caen disse di aver sentito di adulti bolliti e di bambini messi allo spiedo); in seguito alla conquista di Gerusalemme del 1099 i Crociati saccheggiarono la città uccidendo per le vie 70.000 persone, tra cui anche Ebrei che, rifugiatisi in una sinagoga, vi furono bruciati – alcune fonti riportano che i Crociati avanzavano nel sangue che arrivava «alle briglie dei loro cavalli». Lo stereotipo più collaudato è quello che descrive i Crociati come avidi nobili europei dediti alla efferata conquista dei musulmani pacifici, un luogo comune perdurante ancora oggi grazie anche alla diffusione di tale tesi «a senso unico» nei maggiori testi scolastici occidentali.

Crociati a Gerusalemme

La presa di Gerusalemme da parte dei Crociati, circa 1200

Non bisogna prendere troppo sul serio queste notizie di incredibili massacri: le esagerazioni nel Medioevo erano all’ordine del giorno, oltretutto aver fama di essere uno sterminatore di nemici accresceva il proprio onore. Prendiamo ad esempio in esame un famoso evento dell’età antica, la guerra di Troia: essa, secondo il superstite Darete, fece in totale un milione e mezzo di morti tra Greci e Troiani, mentre dalle ricerche archeologiche non è stato mai accertato che in quel luogo sia stata combattuta una così terribile guerra (Troia era una città di poche migliaia di persone: con un milione e mezzo di morti si sarebbero spopolate l’intera Turchia, la Grecia e le regioni vicine!).

È necessario fare un po’ d’ordine. Il termine «crociata» nasce a metà del XIII secolo e deriva da «croisés» («crucesignati»), ovvero combattenti sotto l’insegna della croce, dipinta sui loro scudi. Le Crociate sono state quindi le guerre combattute dai Cristiani crocesignati contro i musulmani con lo scopo di liberare il sepolcro di Cristo e la Città Santa di Gerusalemme. Si tratta di una serie di sette guerre (qualcuno ne conteggia di più) combattute tra il 1096 e il 1270 in Asia Minore ed Africa del Nord; non tutte furono proclamate dalla Chiesa. Qualcuno vi accorpa anche la già ricordata Crociata Albigese (1208-1242), la vicenda di Giovanna d’Arco (1429-1431: nient’altro che un episodio di quel lungo conflitto politico-militare tra Francia ed Inghilterra passato alla storia come «Guerra dei Cento Anni») e la Battaglia di Lepanto del 1571 (fortemente voluta dal Papa Pio V). Anche aggiungendo tutte queste guerre, la cifra di 22 milioni di morti appare però esagerata: i caduti, Cristiani e musulmani, non furono più di 500.000, e tale cifra potrebbe ancora essere troppo alta!

Ma andiamo più oltre. Bisogna innanzitutto mettere bene in chiaro che le Crociate non si possono affatto considerare un attacco immotivato ad un pacifico mondo islamico: come afferma lo storico medievalista Dottor Paul Crawford, docente alla California University of Pennsylvania, in un articolo su «Review Intercollegiate» (la rivista dell’Intercollegiate Studies Institute), all’inizio del VII secolo l’Egitto, la Palestina, la Siria, l’Asia Minore, l’Africa Settentrionale, la Spagna, la Francia, l’Italia, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica erano tutti territori cristiani; v’erano tante comunità cristiane anche in Arabia. Ma nel 732 i Cristiani erano stati attaccati in Egitto, Palestina, Siria, Nord Africa, Spagna, gran parte dell’Asia Minore, e in Francia Meridionale. Le comunità cristiane d’Arabia erano state interamente distrutte poco dopo il 633, quando Ebrei e Cristiani furono espulsi dalla penisola. In molti luoghi, fiorenti gruppi ebrei e cristiani furono praticamente azzerati: alla caduta del Regno della Regina Berbera Ebrea Kahina, in Tunisia, ai suoi sudditi fu data la possibilità di scegliere tra la conversione all’Islam o la morte – la maggior parte della sua gente preferì la seconda, e vennero trucidate dalle 50.000 alle 80.000 persone (non nell’impeto di una battaglia o nell’ebbrezza di un saccheggio, ma a sangue freddo). La Città Santa di Gerusalemme fu presa nel 638, le forze islamiche conquistarono tutto il Nord Africa e puntarono verso l’Italia e la costa francese, attaccando la Penisola Italiana nell’837 ed arrivando a saccheggiare Roma nell’846. Nel 1009 il Califfo fatimida al-Hakim fece demolire la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, suscitando notevole «disappunto» da parte dei Cristiani in attesa del millenario della Crocifissione; questa manovra politicamente poco astuta portò ad un intensificarsi dei pellegrinaggi in Terra Santa – pellegrinaggi sempre più difficili e pericolosi; con l’avanzata dei Turchi verso Costantinopoli, il centro della Cristianità Bizantina, i Cristiani in Terra Santa vennero a trovarsi in una situazione di costante persecuzione e i pellegrini che vi si dirigevano furono assaliti e massacrati a centinaia. Nel 1071 l’Imperatore di Bisanzio Romano IV Diogene dopo alcuni scontri in Armenia ed in Asia Minore, fu fatto prigioniero in combattimento; l’Imperatore d’Oriente Michele VII si rivolse a Papa Gregorio VII per richiedere sostegno ed aiuto, ma quest’ultimo non prese iniziative; fu invece il Papa Urbano II, preoccupato dalle voci di sempre più gravi massacri di Cristiani che giungevano dall’Oriente, ad offrire all’Imperatore Alessio I Comneno l’aiuto da lui richiesto. È quindi da questi fatti che i Papi del X e dell’XI secolo si attivarono nel disperato tentativo di proteggere i Cristiani perseguitati. Crawford conclude quindi affermando che «lungi dal non essere motivate, le Crociate rappresentano di fatto il primo grande contrattacco occidentale agli attacchi musulmani, che avevano avuto luogo ininterrottamente dalla nascita dell’Islam fino all’XI secolo, e che continuarono anche in seguito, senza sosta. Se la Cristianità voleva sopravvivere, occorreva una forte difesa».

Non è neppur vero che i Cristiani avviarono le Crociate per arricchirsi saccheggiando i territori musulmani. I Bizantini, è vero, caratterizzavano i Crociati come barbari ignoranti, animati da sete di ricchezza e potenza, ma in Occidente i Bizantini erano sempre descritti come un popolo di depravati! Se è pacifico che il Papa Urbano II invitò nel 1095 i guerrieri francesi nella Prima Crociata a «fare bottino del tesoro del nemico», questo non era altro che il modo usuale per finanziare la guerra nella società antica e medievale. I Crociati vendettero tanti dei loro beni per finanziare le loro spedizioni; uno dei motivi principali del naufragio della Quarta Crociata fu proprio la mancanza di soldi. I Papi stessi ricorsero a stratagemmi sempre più disperati per raccogliere fondi da utilizzare nel finanziamento delle Crociate. Crawford spiega che «furono solo poche persone a diventare ricche a causa delle Crociate, e il loro numero era sminuito da coloro che entrarono in bancarotta. La maggior parte dei Medioevali era ben consapevole di questo e non ha ritenuto la Crociata un modo per migliorare la situazione finanziaria».

Logica conseguenza di questo è che i Crociati erano animati da motivazioni religiose e non materialistiche: nonostante ci fossero stati uomini cinici e ipocriti anche nel Medioevo, il numero di vittime delle Crociate era molto alto e la maggior parte dei Crociati non si aspettava di ritornare in patria. La partecipazione alle Crociate era per lo più volontaria e i partecipanti venivano motivati attraverso dei sermoni, che però erano pieni di avvertimenti sul fatto che le Crociate avrebbero portato privazione, malattia, sofferenza e spesso morte. L’accettazione di andare incontro a difficoltà e sofferenza può essere vista dentro la dottrina cristiana di assimilazione alle sofferenze di Cristo e dei martiri: per un Crociato, la missione armata era essenzialmente un atto di amore disinteressato, come chiede il passo evangelico: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Vangelo secondo Giovanni 15, 13). Fin dall’inizio, dunque, la carità cristiana era la ragione per la Crociata.

Oltretutto, la maggior parte dei Crociati era costituita da primogeniti destinati ad ereditare interamente il feudo dei loro padri alla morte di questi: non avrebbero avuto nessun bisogno di rischiare la vita per accaparrarsi terre in Oriente, quando avrebbero potuto aspettare tranquillamente che si liberassero quelle in Europa. Come ha affermato il Professor Thomas F. Madden, direttore del Saint Louis University’s Center for Medieval and Renaissance Studies, «non è stato colui che non aveva nulla da perdere a partecipare alle Crociate, quanto piuttosto colui che ne aveva di più!» (T. Madden, New Concise History of the Crusades, Rowan & Littlefield Publishers, Inc., 2005, pagina 12).

Certo, come ha ricordato Giovanni Paolo II nel Giubileo del 2000, non sono mancati episodi inutilmente violenti. Il conte Emich di Leiningen (e non fu il solo), convinto antisemita, imperversò nel 1095 lungo la valle del Reno per dirigersi contro le comunità ebraiche, sostenendo l’inutilità a marciare per 2.500 miglia per liberare i Cristiani d’Oriente quando i «nemici di Cristo», sosteneva lui, erano in mezzo ai Cristiani; la sua iniziativa, con l’ausilio di pochi fanatici disposti a tutto, non ebbe mai l’approvazione della Chiesa e, anzi, molti Vescovi cercarono di proteggere gli Ebrei locali che si trovavano nelle loro diocesi (come ad esempio il Vescovo di Magonza). San Bernardo di Chiaravalle tenne imponenti discorsi durante la Seconda Crociata contro l’antisemitismo: «Gli Ebrei non devono essere perseguitati, né uccisi, né costretti a fuggire!». Gli sporadici attacchi contro gli Ebrei non sono dunque da attribuire ai Crociati, ma a piccoli gruppi di uomini armati che hanno seguito la loro scia.

Anche il fatto del massacro degli abitanti di Gerusalemme nel 1099 va rivisto, perché non tiene conto delle regole di guerra vigenti nell’XI secolo: lo sterminio degli abitanti che avevano rifiutato di arrendersi prima di un assedio era una pratica comune per qualsiasi esercito, cristiano o musulmano. Le persone di Gerusalemme erano consapevoli di tutto questo quando hanno scelto di non arrendersi, al contrario sarebbero stati autorizzati a rimanere in città e mantenere i loro possedimenti: nelle città che si sono arrese, i Crociati hanno permesso ai musulmani di mantenere la loro fede e praticarla apertamente. Nel caso di Gerusalemme, poi, la maggior parte degli abitanti era fuggita sia per la guerra appena conclusa tra Arabi e Turchi, sia per la notizia dell’esercito cristiano in arrivo: non vi si potevano trovare 70.000 persone, quando i difensori erano solo 1.000 (su queste cifre tutti gli storici sono concordi).

Altro «mito» da sfatare è che le Crociate abbiano spinto i musulmani ad odiare e attaccare i Cristiani: nella realtà i musulmani hanno attaccato i Cristiani per più di 450 anni prima che Papa Urbano II dichiarasse la Prima Crociata e non avevano certo bisogno di alcun incentivo per continuare a farlo. Prima del XIX secolo non esisteva nemmeno la parola araba «crociata» perché non era importante per i musulmani distinguere le Crociate dagli altri conflitti tra Cristianesimo e Islam. Saladino non era certo venerato dai musulmani come leader anti-cristiano, ma come colui che aveva abbattuto la potenza fatimide in Egitto: nel 1899, durante il suo viaggio a Damasco, l’Imperatore di Germania Guglielmo volle visitare la tomba del Saladino e la trovò in uno stato di grande degrado, dimenticata e lasciata decadere. Citare le Crociate come causa scatenante dell’odio islamico e credere che i musulmani stiano cercando di «correggere gli errori» che derivano da esse è un modo infantile e grottesco (mi astengo dall’usare termini peggiori) per spiegare l’11 settembre 2001 e gli attacchi all’Occidente. In realtà si deve tener presente che le Crociate sono state dimenticate dal mondo islamico fino al XX secolo: «Al tempo della Prima Crociata» spiega il grande medievista Franco Cardini, «l’invasione dei Franchi fu giudicata semplicemente una nuova offensiva dell’Impero d’Oriente (i guerrieri occidentali erano frequenti come mercenari nell’esercito bizantino) e solo più tardi gli Arabi si resero conto dell’autonomia del fenomeno» (F. Cardini, Le Crociate, in Autori Vari, La Storia, volume 5: Dall’Impero di Carlo Magno al Trecento, De Agostini Editore, 2004, pagina 671); del resto, dopo la presa di Gerusalemme, contatti anche amichevoli fra Crociati e Saraceni furono abbastanza frequenti. La prima storia araba organica delle Crociate fu scritta solo nel 1899 sulla scorta degli intellettuali occidentali come Voltaire, Gibbon, Sir Walter Scott e Sir Steven Runciman che dipinsero i Crociati come rozzi, avidi, barbari aggressivi che attaccarono civili musulmani amanti della pace. (Dal punto di vista islamico, le Crociate furono un insignificante periodo storico per la semplice ragione che non ebbero mai successo, a parte la Prima Crociata in cui è stata conquistata Gerusalemme ripresa però da Saladino nel 1187. Le perdite di uomini furono in massima parte cristiane). Allo stesso tempo, il nazionalismo cominciava a mettere radici nel mondo musulmano e i nazionalisti arabi presero in prestito questa grave e cattiva interpretazione delle Crociate utilizzandola come supporto filosofico per i propri programmi. Come precisa il Professor Madden: «La memoria artificiale delle Crociate è stata costruita dalle moderne potenze coloniali e tramandata dai nazionalisti arabi e islamisti» (T. Madden, New Concise History of the Crusades, Rowan & Littlefield Publishers, Inc., 2005, pagina 222). Questo ha portato senza soluzione di continuità alla nascita di Al-Qaeda. Conclude quindi Crawford che «non sono le Crociate che hanno insegnato ad attaccare l’Islam e l’odio verso i Cristiani. La guerra al Cristianesimo ha preceduto di molto le Crociate e risale alla nascita stessa dell’Islam. Piuttosto, è l’Occidente che ha insegnato all’Islam ad odiare le Crociate».

Il celebre sociologo americano Rodney Stark, in Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle Crociate (Lindau 2010) sottolinea che le Crociate non sono state il tentativo di sottomettere un’altra religione, né di convertire con la forza altri popoli. Sono nate dopo secoli di aggressioni del mondo islamico verso quello cristiano, a difesa degli ortodossi di Bisanzio e per la difesa dei Cristiani che si recavano in Terra Santa, vittime continue di centinaia di massacri. Le leggende nere si soffermano esclusivamente sulle vittime di queste guerre (in maggioranza cristiane) ma dimenticano volontariamente che grazie alle Crociate si è salvata la libertà europea dall’invasione araba e turca.


Il genocidio nelle Americhe

Un altro tema scottante della storiografia riguarda i massacri perpetrati ai danni dei nativi americani: secondo il teologo Boff («Publik-Forum», 31 maggio 1991), nei primi 150 anni dopo la conquista dell’America da parte degli Spagnoli, 100 milioni di persone morirono «in nome di Dio»; si tratterebbe del più grande genocidio di tutti i tempi.

L’accusa è del tutto esilarante: gli Spagnoli non potevano massacrare 100 milioni di persone semplicemente perché non esistevano, nelle Americhe, 100 milioni di persone. La popolazione mondiale nel 1500 ammontava a circa 470 milioni di abitanti. A far la «parte del leone» era l’India (compresi gli attuali Pakistan, Bangladesh, Nepal, Bhutan, Sri Lanka), che contava circa 95 milioni di persone; veniva poi la Cina (con l’attuale Manciuria, la Mongolia, il Turkestan Orientale, il Tibet e Taiwan), 84 milioni; l’Europa, 78 milioni; il Sudan Centrale (con gli attuali Niger e Nigeria), 25 milioni; il Perù e il Messico (dove fiorivano gli Imperi Inca, Azteco e Maya), 12 milioni ciascuno; il Giappone, quasi 10 milioni. In tutta l’America del Nord, dagli attuali Stati Uniti al Canada, non vivevano più di 5 milioni di persone; nell’America Latina, fuori dall’area azteca e incaica, 7 milioni di persone. L’aritmetica non è un’opinione: facendo una semplice somma, in tutto il continente americano, Nord e Sud insieme, non v’erano che 36 milioni di persone. Dove sono finiti tutti gli altri 64 milioni che mancano all’appello?

Ma non vorrei che questa sembri una scusa. La verità è che in effetti il massacro ci fu, e fu terribile. Le descrizioni si dilungano sulle efferatezze degli Spagnoli ai danni delle popolazioni indie: c’erano indigeni che venivano avvolti nella paglia a cui veniva appiccato il fuoco, altri venivano fatti rosolare a poco a poco su improvvisate graticole, o impiccati con i piedi che sfioravano il suolo su cui ardevano tizzoni di brace, o presi a sciabolate per gioco, in una sorta di macabra gara a chi riuscisse con un unico colpo a far cadere una testa.

La religione, per questi Spagnoli, non aveva alcun valore. Il Cattolicesimo, dal momento in cui era diventato ideologia del sistema feudale, era venuto elaborando contenuti etici che furono travolti, insieme all’economia rigidamente agricola che li aveva generati, dalla rivoluzione mercantile, e cioè dal ritorno all’economia di mercato, alla circolazione del denaro. Cambiamenti che produssero valori opposti a quelli da secoli vigenti: ricchezza in luogo della benedetta povertà, lusso al posto del saio del penitente, piacere invece del cilicio e della frustrazione della carne. La realtà era diventata completamente aliena dagli antichi valori, che invece avevano mantenuta intatta la loro collocazione, ormai solo astrattamente ideologica, di supporto di un sistema che non era più lo stesso. Il risultato era che l’antico sistema di valori non aveva più senso per nessuno, nemmeno in seno al clero, la cui diffusa corruzione fu una delle cause della rivoluzione protestante. Un vuoto di questa portata, in Spagna era in qualche modo contenuto, compresso dalla presenza dell’apparato statale, giuridico, ed anche da una sorta di rispetto umano che il vivere in contesti paesani o di contrada urbana imponeva. Ma nelle remote terre oltre l’Oceano nulla poteva impedire agli uomini di abbandonarsi ai loro istinti ridotti alla più impura essenza, non mitigati da regole e leggi in cui credessero o potessero riconoscersi.

Ma riparliamo di quanti furono i morti. Cominciamo dagli Aztechi: il loro Impero andava dalle coste del Pacifico al Golfo del Messico comprendendo 500 città; Tenochtitlan, la capitale, era più grande di qualsiasi città europea. Eppure, in un solo anno quell’Impero fu abbattuto, le città rase al suolo e la popolazione ridotta in schiavitù dai «conquistadores» guidati da Cortés.

Gli Spagnoli che nel 1519 abbatterono l’Impero Azteco erano solo 600, con 7 cannoni e 1.000 guerrieri indigeni. Ci si chiede: come potevano 600 uomini sopraffarne 12 milioni? Certo, le leggere tuniche di cotone e le lance di ossidiana azteche non potevano nulla contro le armature spagnole, i fucili e i cannoni; e poi, gli Aztechi non avevano mai visto i cavalli e le cariche della cavalleria li atterrivano. Ma la ragione principale è un’altra: quelli che noi chiamiamo genericamente Aztechi non erano un popolo, ma una serie di popoli – o, se vogliamo, di tribù – spesso in guerra tra loro; nell’intera società azteca era dominante il carattere militare. Si trattava di scontri sanguinosissimi, fatti spesso al solo scopo di procurarsi prigionieri da sacrificare agli dèi: si credeva che le divinità si fossero immolate per creare il sole, e per questo era dovere degli uomini nutrirle con «acqua sacra», cioè con il sangue; ogni anno, centinaia di uomini venivano sacrificati durante le cerimonie religiose. In molti dipinti e bassorilievi sono visibili anche pratiche di cannibalismo rituale. Se in tempo di pace le vittime da immolare scarseggiavano, si organizzavano le «Guerre dei fiori»: vi assistevano i sacerdoti, che ponevano fine alle battaglie quando da entrambe le parti si erano fatti abbastanza prigionieri; i più coraggiosi si gettavano nella lotta nudi, con in mano soltanto una rete per catturare le vittime da sacrificare. Altro che civiltà idilliaca ed innocente! Gli Spagnoli rimasero inorriditi dai sacrifici umani, e questo può spiegare in gran parte perché tentarono di cancellare ogni traccia di una civiltà pagana e sanguinaria.

Gli Aztechi avevano costruito un Impero sottomettendo e costringendo al tributo altre tribù: ebbene, alcune di queste (i Taraschi, gli Huastechi, i Totonachi, i Mixtechi) si allearono a Cortés per scuotersi dalle spalle l’odiato giogo. Eppure, il vero nemico degli Aztechi era diverso e più insidioso: le malattie portate dagli Spagnoli, per le quali gli Aztechi non avevano anticorpi. Nel 1517, da Haiti il vaiolo si diffuse in Messico provocando la morte di circa un terzo della popolazione; esso inoltre contagiò per primi i capi e i nobili, lasciando così il popolo senza una guida solida e facilitando ancor più la conquista. Al vaiolo seguirono altre epidemie: rosolia, tifo, difterite nel 1531, 1545, 1564, 1576-1577, la più terribile nel 1582; nel 1568 il numero degli Aztechi si era già ridotto a 1.200.000 persone.

Anche l’Impero degli Incas (dove vigeva l’usanza di uccidere le mogli e i servi dell’Imperatore alla morte del Sovrano) cadde per le malattie più che per il piombo delle truppe di Pizarro: egli giunse sul continente nel 1532, con 180 uomini e 27 cavalli, quando era appena terminata un’atroce guerra civile. L’Imperatore Inca Atahuallpa fu catturato a tradimento. Batteri e virus europei fecero il resto: intere città furono del tutto spopolate dalle malattie, e quando gli Spagnoli vi arrivarono non trovarono altro che cadaveri – la popolazione passò da 8.000.000 a 1.300.000 persone in meno di 90 anni.

Nel 1600, la popolazione delle Americhe si era ridotta a 12 milioni di persone!

Ma la questione incredibile è che si vuole confondere il volere dei tiranni dei vari Stati conquistatori (Spagna, Portogallo, Inghilterra per quanto riguarda l’America del Nord) con la Chiesa che non ha mai, ma proprio mai ordinato o approvato attacchi contro la popolazione.

Il culmine si raggiunge quando si additano come responsabili i Gesuiti e i Francescani: pensare che pochi missionari abbiano potuto fare un eccidio di tali proporzioni è del tutto assurdo. Si denuncia che dove giungevano i Gesuiti (Argentina, Paraguay e Brasile) le popolazioni locali, che vivevano in uno stato di beata innocenza edenica, dove il peccato era sconosciuto, venivano cancellate con la più dura violenza. A prescindere dal fatto che popolazioni dedite a continui sacrifici umani, cannibalismo rituale e guerre di oppressione possono essere definite in molti modi ma mai «innocenti» o «pure», la violenza è sempre stata aliena dall’operato della Compagnia di Gesù: i Gesuiti si rifacevano alla purezza dell’ideale evangelico delle origini e si adoperarono in ogni modo, in prima persona, per salvare gli Indios (molti convertitisi al Cattolicesimo) dallo sterminio. I Gesuiti non erano aiutati dalle truppe spagnole che li «rifornivano» di indigeni da convertire e poi uccidere (come farnetica David E. Stannard in The American Holocaust, Oxford University Press, USA 1993), ma al contrario furono trucidati al pari degli Indios per il loro operato che contraddiceva le mire schiavistiche di Spagna e Portogallo: nell’odierno Paraguay, per esempio, i Gesuiti avevano fondato nutrite colonie di Indios, le famose «reducciones»; gli indigeni erano stati armati ed organizzati in comunità semi-autonome, capaci di respingere con scontri sanguinosi gli attacchi dei «bandeirantes» che tentavano di razziare quanti più Indios fosse possibile per ridurli in schiavitù e legarli alla coltivazione delle piantagioni. Questo portò all’espulsione dei Gesuiti da tutte le colonie d’America e dalla stessa Spagna nel 1767, cosicché gli indigeni rimasero indifesi e alla mercé degli Europei. Ancor oggi, in Brasile, regalare ad una persona un «tucum» (un anello ricavato dal guscio di una noce di cocco) è segno di profonda amicizia: i «tucum» erano gli anelli che gli Indios regalavano ai Gesuiti ed a tutti coloro che aiutavano i Gesuiti, in segno di affetto, stima e fiducia (e per evitare che venissero uccisi da qualche Indio).

Né le missioni gesuitiche e francescane possono essere descritte come campi di sterminio, peggiori dei lager nazisti, come fa il già citato «storico» nei suoi sproloqui. Si trattava in realtà di veri e propri piccoli villaggi, con una grande piazza su cui si accentravano gli edifici principali, come la chiesa, il collegio e il cimitero; le case degli Indios si addossavano sugli altri tre lati della piazza e si disponevano ordinatamente in file parallele, per poter essere facilmente aumentate numericamente in caso di necessità. I villaggi erano dotati di una casa per le vedove, un ospedale, magazzini e depositi vari. Al centro della piazza, una grande croce, solitamente in pietra, si innalzava su un alto basamento, mentre due cappelle erano frequentemente collocate agli angoli della piazza, di fronte alla chiesa. Dalle costruzioni più povere del XVII secolo, ampi edifici bassi con le parti di sostegno in legno e i muri di adobe o mattone, si passò verso la fine del secolo a muri di pietra e facciate con porte e finestre decorate secondo le tecniche indigene, per finire nel Settecento con edifici completamente in pietra e con copertura a volta, opera di architetti gesuiti. Dopo l’espulsione dell’Ordine, di tutto ciò non rimangono che rovine. (Un ottimo film su questo tema è The mission, 1986, con un istrionico Robert De Niro al suo meglio e le musiche di Ennio Morricone). I Gesuiti furono vittime, ed oltre a questo c’è persino chi ancora si permette in modo indegno di accusare.

La riduzione di São Miguel das Missões

Demersay, La riduzione di São Miguel das Missões nel 1846

Lo stesso dicasi per quanto riguarda il più recente massacro dei Tutsi in Ruanda: la testata «Der Spiegel» (gennaio 2000) accusa sacerdoti e suore ruandesi di aver assistito ai massacri senza intervenire, o addirittura aiutando gli assassini. A smentire l’accusa ci sono testimonianze e il fatto che la Chiesa Ruandese fu colpita in modo durissimo: nel piccolo Paese Africano furono assassinati ben 248 operatori pastorali di cui 3 Vescovi, 103 sacerdoti, 47 frati, 65 religiose e 30 membri di istituti di vita consacrata. Inoltre ci fu un duro discorso di Giovanni Paolo II che chiese a tutti i potenti del mondo di cercare di fermare quel genocidio. (Che cosa fecero gli Stati del «laico» Occidente? Mandarono delle truppe per rimpatriare tutti i loro compatrioti e lasciarono che il massacro proseguisse).


L’Inquisizione

È ancora il «Der Spiegel», in un articolo pubblicato il 1° giugno 1998, a scagliare i suoi deliranti strali contro l’Inquisizione: nel periodo che va dal XIII al XVIII secolo – secondo il giornale – ci furono quasi 10 milioni di morti, e innumerevoli altre persone furono torturate, maltrattate e terrorizzate!

Il Papa e l'inquisitore

Jean-Paul Laurens, Il Papa e l'inquisitore, 1882, Musée des Beaux-Arts de Bordeaux (Francia)

Vediamo un po’. Tra il 1540 e il 1700 in Europa si svolsero oltre 100.000 processi per stregoneria e circa 50.000 imputati vennero messi al rogo, questo è vero, ma dai tribunali civili, non dall’Inquisizione. Il grosso dei processi si svolse nei Paesi protestanti, dove l’Inquisizione era assente (25.000 esecuzioni solo in Germania contro 1.000 in Italia). Viceversa, i tribunali della Chiesa Cattolica misero al rogo meno di 100 persone: 4 in Portogallo, 59 in Spagna, 36 in Italia. Dobbiamo ammettere che la documentazione giunta in nostro possesso è lacunosa (molti verbali dei processi sono andati perduti), ma ciò che è rimasto è tale da poter affermare – come ha scritto il maggior studioso laico italiano dell’argomento, Adriano Prosperi, in Una storia della giustizia dell’insospettabile Paolo Prodi – che l’Inquisizione fu «non un episodio di aberrazione di cui la Chiesa debba chiedere perdono, ma il primo, fondamentale pilastro della moderna giustizia, quella creata per perseguire d’ufficio i crimini» (Una civiltà giuridica nata dall’Inquisizione, «Corriere della Sera», 13 maggio 2000). Un imputato aveva più probabilità di essere assolto dall’Inquisizione piuttosto che da un tribunale civile, o di essere condannato a pene meno gravi e con un minor ricorso alla tortura (anche gli storici fortemente avversi alla Chiesa sono costretti ad ammetterlo). I processi per i delitti di stregoneria ebbero un primo culmine fra il 1434 e il 1447 per toccare l’apice tra il 1580 e il 1650, e furono fatti più dai tribunali civili che da quelli dell’Inquisizione: nell’epoca delle guerre di religione era interesse dei Sovrani agire con la massima durezza per impedire l’infiltrarsi di correnti che minassero l’unità religiosa – e quindi anche politica e sociale – dei propri Paesi; a volte, si riteneva addirittura che i tribunali dell’Inquisizione fossero troppo miti con gli imputati. Ci furono anche voci dissonanti: Johannes Wierus negava l’esistenza delle streghe (le riteneva minorate mentali in preda al delirio), mentre il Gesuita Freidrich Von Spee condannava apertamente la pratica della tortura delle presunte ree.

Le dicerie del tempo fanno sorridere per la loro inverosimiglianza: all’inizio del Cinquecento, fra il popolo si raccontava che 25.000 persone avevano assistito ad un sabba delle streghe su di un pianoro vicino a Brescia. Più che un sabba, si direbbe un concerto rock! Per trovare 25.000 persone, avremmo dovuto radunare l’intera popolazione di Brescia e dei paesi vicini, compresi i lattanti, i preti, i frati e le monache!

Nonostante l’Inquisizione e soprattutto la sua pessima e immeritata fama postuma, in Italia c’era più libertà di pensiero e l’istruzione era più progredita durante il Quattrocento e il primo Cinquecento, che non in qualsiasi altro Paese. Le scuole di astronomia, legge, medicina e lettere erano la méta di studenti che giungevano da una dozzina di Nazioni. Thomas Linacre, dotto medico inglese, dopo avere terminato i suoi studi in Italia, eresse un’ara sulle Alpi, mentre faceva ritorno in Inghilterra e, dando un ultimo sguardo all’Italia, le dedicò l’altare come «Alma Mater Studiorum», università di perfezionamento del mondo cristiano.


Adolf Hitler: era Cristiano?

L’idea è stata particolarmente caldeggiata da Richard Dawkins in The God Delusion (2006), un saggio che si avvale di teorie scientifiche ormai superate per dimostrare il fatto che Dio non esisterebbe. La prova della presunta cristianità di Hitler starebbe nelle parole stesse del Führer, perché quando aveva 25 anni scrisse nel Mein Kampf: «Mi inginocchiai a ringraziare il cielo per avermi concesso l’opportunità di vivere quell’epoca». Inoltre, quando Hitler aveva 31 anni Rudolf Hess, suo profondo amico, scrisse in una lettera al Primo Ministro della Baviera: «Conosco Herr Hitler molto bene, di persona, e siamo in grande intimità. È uomo di rara rettitudine e profonda bontà, religioso, un buon Cattolico». Ma possono bastare queste poche frasi, avulse dal contesto, per qualificare il grado di religiosità di una persona?

Hitler ribadì sempre di essere un Cattolico, di essere stato scelto dalla Provvidenza per la missione divina di guidare la Germania, ma anche definì il Cristianesimo come un «flagello» ed una «droga», durante l’occupazione di Roma organizzò il rapimento del Papa Pio XII (che non verrà attuato) e disse che «la peggior sventura che sia mai capitata all’umanità è l’avvento del Cristianesimo. Il bolscevismo è il figlio illegittimo del Cristianesimo. Entrambi sono invenzioni degli Ebrei. È stato il Cristianesimo ad introdurre nel mondo la menzogna deliberata in materia di religione». La conversazione è stata raccolta da Henry Picker in Hitlers Tischgespräche; l’anno era il 1941. L’equiparazione del Cristianesimo al bolscevismo (comunismo) è una costante del pensiero hitleriano.

Si parla di doppiezza ed opportunismo di Hitler: egli avrebbe verosimilmente sfruttato per i suoi fini la religiosità (sincera) del popolo, come fanno spesso i dittatori, e avrebbe tentato di ottenere l’appoggio della Chiesa di Roma (appoggio che non ebbe mai, anche se Dawkins – senza peraltro citare nessun fatto o documento a sostegno delle sue parole – sostiene il contrario).

Hitler non era Cristiano, ma «hitleriano». Il nazismo ha in sé una grande carica esoterica, ma tutti i riferimenti al Cristianesimo sono una corruzione e una bestemmia della tradizione cristiana. Per esempio, l’ultima prova che un aspirante SS doveva superare era passare una notte nella tomba di un eroe: al mattino egli era un uomo nuovo, un «risorto»; il richiamo è ovviamente alla Risurrezione di Gesù (ma più ancora alla «rinascita» delle correnti religiose e filosofiche orientali, oltre che agli antichi culti pagani), però la somiglianza si ferma qui, la sostanza è del tutto differente.

Ogni mattina, in tutte le scuole tedesche si doveva recitare la «preghiera» ad Hitler «Führer Nostro», una sacrilega parodia del «Padre Nostro» che è la più importante preghiera cristiana[2]. Hitler pretese anche che fossero tolti i Crocifissi da tutte le scuole e che fossero rimpiazzati da ritratti del Führer. Hitler non era seguace di Cristo: voleva sostituirsi a Lui[3]!


La Chiesa, i preservativi e l’AIDS

Uno dei cavalli di battaglia dell’anti-cristianesimo moderno punta sul fatto che la Chiesa, col vietare l’uso dei preservativi in Africa, sarebbe responsabile della diffusione dell’AIDS. Vediamo se questo è vero, e quanto lo sia.

Non sappiamo con sicurezza se l’AIDS fosse diffuso in passato: non ha sintomi evidenti, distrugge tutte le difese immunitarie rendendo l’organismo vulnerabile a qualsiasi malattia, che potrebbe quindi essere ritenuta responsabile della morte. La ricerca genetica ritiene che la malattia abbia avuto origine in Africa Centro-Occidentale nel corso del Novecento (quindi in un periodo molto recente) e sia stata inizialmente circoscritta ad una sola tribù africana, che l’avrebbe contratta mangiando le carni di una scimmia infetta: si sarebbe poi diffusa quando le migrazioni dei popoli infransero il millenario isolamento di molte zone dell’Africa. L’AIDS è stato individuato nel 1981 e la sua causa è stata identificata nel 1983. Tenere ben presenti le date.

La Chiesa ha affrontato il problema dei preservativi nel più ampio dibattito sulla procreazione responsabile: l’epicentro del problema è rappresentato dall’enciclica Humanae Vitae pubblicata da Paolo VI il 25 luglio del 1968. A quel tempo l’AIDS non era per nulla conosciuto!!!!! Si può condannare la Chiesa per aver ignorato qualcosa che a quel tempo nessuno sapeva?

Spiegare nei dettagli le ragioni per le quali la Chiesa ha condannato come illecito l’uso di mezzi direttamente contrari alla fecondazione (mentre è lecito il ricorso ai periodi in cui la donna è infeconda quando i coniugi vogliano avere rapporti sessuali senza il «rischio» di un concepimento) occuperebbe varie pagine ed esulerebbe dal nostro obiettivo. Oltretutto, la Chiesa «non ritiene affatto illecito l’uso dei mezzi terapeutici necessari per curare malattie dell’organismo, anche se risultasse un impedimento, pur previsto, alla procreazione» (Humanae Vitae 15).

Né la Chiesa ha impedito la diffusione dei preservativi, che sono acquistabili in qualsiasi farmacia o ai distributori automatici. Nessuno viene scomunicato perché fa uso di preservativi, e non è nemmeno considerata una colpa tanto grave da essere detta in confessione (la quale è riservata ai peccati gravi, anche se è buona regola dirli tutti). Bisogna anche prendere in esame l’eventuale presenza di motivi evangelicamente rilevanti per escludere l’attitudine di generare o quella di motivi moralmente rilevanti per escludere il ricorso ai metodi naturali. Insomma, ogni caso merita un’analisi a parte.

Ricordiamo che, se inizialmente l’AIDS si diffuse in particolar modo attraverso lo scambio di sangue infetto durante le trasfusioni, oggi i casi di contagio più numerosi avvengono tramite rapporti sessuali non protetti con persone occasionali. Ebbene, la Chiesa vieta esplicitamente i rapporti sessuali prima ed al di fuori del matrimonio (mentre ammette la convivenza pre-matrimoniale di tutte quelle coppie che – trattenute magari da problemi di carattere professionale, economico, abitativo e via dicendo – sono comunque orientate alla celebrazione del matrimonio vero e proprio non appena le circostanze lo consentiranno). Esistono esami a cui si possono sottoporre tutti per sapere se si è affetti da AIDS o meno; una volta che eventuali fidanzati, decisi a convolare a nozze, si scoprono sani e si mantengono fedeli l’uno all’altro vivendo una sana e normale vita di coppia, le probabilità di contrarre il virus sono quasi pari a zero. Chi disubbidisce all’insegnamento della Chiesa sull’astinenza dai rapporti sessuali con persone occasionali, non sarà certo portato ad ubbidire riguardo al non uso del preservativo!


I sacerdoti pedofili

L’accusa alla Chiesa Cattolica per i sacerdoti pedofili è di quelle più insidiose, perché riguarda fatti non di secoli fa, ma dei nostri giorni. L’«Hanauer Anzeiger» (13 luglio 1998) stima che negli Stati Uniti 2.000 dei 51.000 preti cattolici siano stati accusati di abuso sessuale di minori negli ultimi 20 anni. Il professor Hubertus Mynarek, in un articolo apparso su «Akte 97» (14 settembre 1999) valuta che la cifra dei preti pedofili in Germania vada più o meno dal 3 al 5%. Ovviamente, c’è concordanza che molte vittime non denunciano per vergogna o paura. (Ma bisogna osservare che molte notizie e accuse negli anni passati erano totalmente infondate, per non parlare di numeri gonfiati).

È risaputo che le vittime della pedofilia soffrono in genere per anni e decenni a livello psicologico a causa dell’umiliazione subita; spesso ne restano segnate per tutta la vita. È anche vero che i pedofili sono attirati dalla vita ecclesiale perché una volta diventati preti è più facile raggiungere i giovani (e si ritiene che l’abito talare costituisca una sorta di scudo che garantisca l’impunità). Tuttavia non si può assolutamente mettere sotto accusa tutta la Chiesa, che ha sempre condannato duramente la pedofilia e l’ha sempre contrastata; infamare l’intera Chiesa a causa dei preti pedofili è un’offesa a tutti quei 450.000 preti e 800.000 religiose che hanno dato tutta la vita per fare il bene verso gli altri, e spesso sono stati uccisi per aver denunciato innumerevoli ingiustizie. È poi curioso constatare come gli accusatori della Chiesa siano i primi a dire che assolutamente non si può affermare che i musulmani sono terroristi, perché non si può generalizzare. Perché, ci chiediamo allora, per i musulmani vale questo ragionamento mentre per la Chiesa no?

Ha scritto Giovanni Paolo II nella Lettera del Papa ai sacerdoti per il Giovedì Santo 2002 che «in questo momento, in quanto sacerdoti, noi siamo personalmente scossi nel profondo dai peccati di alcuni nostri fratelli che hanno tradito la grazia ricevuta con l’Ordinazione, cedendo anche alle peggiori manifestazioni del “mysterium iniquitatis” che opera nel mondo.

Sorgono così scandali gravi, con la conseguenza di gettare una pesante ombra di sospetto su tutti gli altri benemeriti sacerdoti, che svolgono il loro ministero con onestà e coerenza, e talora con eroica carità. Mentre la Chiesa esprime la propria sollecitudine per le vittime e si sforza di rispondere secondo verità e giustizia ad ogni penosa situazione, noi tutti – coscienti dell’umana debolezza, ma fidando nella potenza sanatrice della grazia divina – siamo chiamati ad abbracciare il “mysterium Crucis” e ad impegnarci ulteriormente nella ricerca della santità. Dobbiamo pregare perché Dio, nella Sua Provvidenza, susciti nei cuori un generoso rilancio di quegli ideali di totale donazione a Cristo che stanno alla base del ministero sacerdotale.

È proprio la fede in Cristo che ci dà forza per guardare con fiducia al futuro. Sappiamo, infatti, che il male sta, da sempre, nel cuore dell’uomo, e solo quando l’uomo, raggiunto da Cristo, si lascia “conquistare” da Lui, diventa capace di irradiare intorno a sé pace e amore».

Il quindicesimo capitolo del Crimen Sollicitationis obbliga chiunque venga a conoscenza di un uso del confessionale per abusi sessuali (sia su minori che su adulti) a denunciare il tutto, pena la scomunica. Questo è significativo soprattutto se si riflette che in base alla legge italiana il privato cittadino (tale è anche il Vescovo e chi è investito di autorità ecclesiastica) è tenuto a denunciare solo i crimini contro l’autorità dello Stato, per i quali è prevista la pena dell’ergastolo. Nei confronti delle accuse ai preti pedofili non è vero, come farnetica qualcuno, che il Vaticano si affretti ad insabbiare tutto, o ad ostacolare le indagini delle autorità locali: in realtà si comporta esattamente come qualsiasi altro Stato civile nei confronti di suoi funzionari all’estero, ovvero prima svolge indagini riservate e solo al termine comunica con le autorità locali. Questo è del tutto ovvio e normale per una Nazione qualsiasi, perché mai dovrebbe diventare inammissibile se si tratta del Vaticano?


L’oscurantismo della Chiesa

Una delle accuse più ricorrenti alla Chiesa è che sia oscurantista e contraria al progresso scientifico.

Niente di più falso: la Chiesa non si è mai sognata di fare ostruzionismo alla scienza. Basti pensare al paziente lavoro dei monaci amanuensi del Medioevo, che passarono l’intera loro vita a copiare con pazienza i codici antichi: il sapere greco-romano e le conoscenze scientifiche dell’antichità sono passate al Medioevo e poi all’epoca moderna principalmente grazie al loro lavoro.

Ci sono poi, nel corso dei secoli, illustrissimi scienziati credenti. Ne citiamo qualcuno tra i più rappresentativi.

Possiamo cominciare con Copernico, un religiosissimo canonico, per proseguire con Galileo Galilei, un Cattolico convinto al punto di lasciar scritto che «in tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa» (e non cambiò le sue posizioni neppur dopo la condanna inflittagli proprio dall’autorità ecclesiastica). Keplero era credente; Newton passava dagli studi sulla gravitazione universale alle pratiche di religione e di carità, saltava pasti e dormiva pochissimo, ma non tralasciava mai di pregare.

Il Settecento, secolo illuminista e razionalista per definizione, ci ha donato, tra gli altri, il Gesuita Ruggiero Giuseppe Boscovich, che fu astronomo, fisico, matematico, architetto, storico e poeta, un vero genio universale. Luigi Galvani, scopritore dell’elettricità biologica e di alcune sue applicazioni, era devoto terziario francescano, mentre Alessandro Volta era un uomo da Messa e da Rosario quotidiani. André-Marie Ampère scrisse delle Prove storiche della divinità del Cristianesimo e Michael Faraday alternava straordinarie invenzioni a predicazioni del Vangelo sulle strade inglesi.

Anche l’Ottocento, con il suo eccezionale progresso scientifico e l’ottimismo positivista che vedeva la scienza sul punto di risolvere i grandi problemi dell’umanità, fu fecondo di scienziati credenti. Possiamo ricordare Léon Foucault, un convertito che fu il primo che calcolò la velocità della luce, come anche Louis Pasteur, di profonda e conclamata fede cattolica (sua la frase: «Un po’ di scienza allontana da Dio, ma molta riconduce a Lui!»). Johann Gregor Mendel, il biologo che formulò le leggi sull’ereditarietà meritandosi l’appellativo di «padre della genetica», era un frate; Galileo Ferraris, scopritore del campo magnetico rotante ed ideatore del motore elettrico in corrente alternata, era un austero, esemplare Cattolico praticante. Il Tedesco Max Plank, uno dei padri universalmente riconosciuti della fisica contemporanea, premio Nobel, scriveva nel 1938 che «per quanto si voglia guardare, non troviamo da nessuna parte, tra religione e scienza, una contraddizione, ma precisamente, nei punti più decisivi, perfetta concordanza. La religione e le scienze naturali non si escludono a vicenda, come molti oggi credono o temono, ma si completano e si connettono reciprocamente». Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina, era positivista incredulo finché constatò di persona, a Lourdes, una guarigione istantanea e inspiegabile.

Credevano in Dio i modernissimi Bohr e Coyne, un Padre Gesuita direttore della Specola Vaticana (l’Osservatorio Astronomico della Chiesa Cattolica). Johnny von Neumann, il padre dei computer, dimostrò la non-contraddizione della meccanica quantistica: era uno scienziato cattolico e nulla di ciò che scoprì lo portò ad abbandonare la propria fede.

Tra i grandi scienziati credenti del Novecento e dell’epoca contemporanea citiamo, a titolo di esempio, John Eccles, premio Nobel per la medicina (studio del sistema nervoso); Enrico Medi, fisico; Antonio Zichichi, scienziato fisico. Rubbia, vincitore del premio Nobel per la fisica nel 1984, scienziato di prim’ordine e credente in Dio, ha dichiarato: «Noi [i Fisici] arriviamo a Dio, percorrendo la strada della ragione, altri seguono la strada dell’irrazionale».

Può, un’istituzione che ha forgiato, sorretto e guidato simili geni scientifici di ogni tempo, essere definita oscurantista e contraria al progresso scientifico?


I Cristiani: aspiranti suicidi?

Il «Süddeutsche Zeitung» (27 ottobre 1998), il «Main-Post» (3 luglio 1999) e il «Volksblatt Würzburg» (19 luglio 1999) denunciano disturbi psichici causati dall’insegnamento della Chiesa. Secondo questi giornali, fedeli, parroci e sacerdoti soffrirebbero a causa dell’immagine di un Dio punitore e incalcolabile come viene presentata dalla Chiesa; molti di loro sarebbero alcolizzati o assuefatti a barbiturici, e la vita delle persone che hanno problemi sociali sarebbe molto difficile, per non dire impossibile. Numerosissimi apparirebbero i casi di suicidio di persone affette da neurosi «ecclesiogene» cioè causate dalla Chiesa (incredibile: hanno anche coniato un nuovo termine per designare la malattia!).

Pure farneticazioni: al contrario, numerose ricerche, supportate da vere statistiche, mostrano come i suicidi tra i giovani dichiaratamente atei siano di molto maggiori di quelli tra cristiani; il Cristianesimo proietta le speranze in un avvenire migliore, se non in questa terra, nell’aldilà dove tutte le ingiustizie verranno sanate, e propone ai credenti un cammino di vita ed un obiettivo anche in questa esistenza. Viceversa, l’ateismo restringe l’orizzonte al mondo attuale, con tutti i suoi problemi e le sue ingiustizie. Laddove il Cristiano è confortato dall’idea di un Dio che lo protegge e lo sostiene con amore, l’ateo si trova del tutto solo e può contare solo sulle proprie forze. Per il Cristiano la vita è sacra, la propria non meno di quella degli altri; per l’ateo la vita ha valore solo fin quando egli la ritiene dignitosa, ed è giusto che se ne liberi quando questa – per esempio, a causa di una malattia – diventi un fardello insopportabile. Il Cristiano vive nella gioia o nella consolazione; l’ateo no. Spesso, proprio il non riuscire a dare un senso compiuto alla propria esistenza, a dare un significato alla sofferenza, al dolore, alla morte, porta i giovani atei al suicidio!


Note

1 Leggendo qualcuno di questi testi (non romanzi, ma opere pseudo-storiche) si rimane folgorati dalla sfacciataggine delle menzogne più grossolane. Si prenda come esempio Rocco A. Errico, che in Let There Be Light: The Seven Keys (Devorss & Co., Camarillo 1994) afferma che le frasi pronunciate da Gesù durante l’Ultima Cena: «Questo è il Mio Corpo... questo è il Mio Sangue... Fate questo in memoria di Me» erano un modo usuale di manifestare l’amore tra i commensali, ma non una formula con cui il pane e il vino ricevevano la Sua presenza. (In questo modo si vanifica l’Eucarestia: non vi sarebbe affatto la presenza reale di Cristo nel pane e nel vino consacrati). Ovviamente, non v’è alcuna indicazione bibliografica su dove sia scritto che le parole di Gesù erano un modo usuale per manifestare un vincolo d’amore e nulla più (cosa che sarebbe stata consigliabile, data la «provocatorietà» dell’affermazione): nessun documento antico, ebraico o di altra provenienza lo attesta. Ed erano un modo talmente usuale che gli Apostoli non lo compresero (essi infatti celebravano l’Eucarestia fin da quando Gesù la istituì)? Né lo compresero tutti gli altri Ebrei del tempo, convertiti o meno? Né, per duemila anni, nessuno si accorse che erano un modo usuale per dire altro rispetto all’insegnamento della Chiesa? Solo uno sciocco potrebbe prendere per vere simili farneticazioni, frutto della fantasia del loro autore che, come già ricordato, non cita alcuna fonte a supporto delle sue parole: ma, purtroppo, il mondo è pieno di sciocchi.

2 «Adolf Hitler, tu sei il nostro grande Führer
Il tuo nome fa tremare i nemici
Venga il tuo Reich
Soltanto la tua volontà sia legge sulla terra
Facci udire ogni giorno la tua voce
E comandaci per mezzo dei tuoi capi
Ai quali vogliamo obbedire con l’impegno della vita
Lo promettiamo
Heil Hitler».

3 Oltre a qualificare come Cristiani i peggiori delinquenti, la propaganda atea cerca di far passare come delinquenti dei Cristiani esemplari. Un esempio è dato da Madre Teresa di Calcutta: essa è stata una donna eccezionale, completamente dedita al prossimo; eppure, c’è ancora chi sbraita – facendo delle piroette psicanalitiche – che fosse una terribile sadica perché era sempre in mezzo ai malati ed ai sofferenti... questo «proverebbe» che le piaceva vedere la gente soffrire. Il fatto è che ella era lì per alleviare le sofferenze: il sadico prova piacere ad infliggere dolore, non penserebbe minimamente ad alleviarlo; sarebbe contro la sua più profonda natura. Con questo metro di giudizio, che arriva fino al delirio, anche i medici – sempre immersi tra le persone malate o ferite – sarebbero tutti dei sadici. E che dire dei pompieri? Il fatto che sono sempre in mezzo agli incendi, ne farebbe dei piromani – esattamente il contrario di quello che sono! –. L’elenco potrebbe continuare a lungo, coinvolgendo tutte o quasi tutte le categorie di lavoratori...

(maggio 2016)

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