La figura di Gesù nel Vangelo secondo Marco
Analisi, trama e tematiche del più antico tra i Vangeli

Tra i vari personaggi che ci hanno tramandato la vita e le opere di Gesù, San Marco è di sicuro il più misterioso. È ancor oggi difficile discernere la verità su di lui, basata su una documentazione accertabile, dalla leggenda (non necessariamente falsa) fondata prevalentemente su tradizioni sviluppatesi sul territorio egiziano e su quello italiano. Dalle informazioni, storicamente più accurate, che si possono estrapolare dai testi del Nuovo Testamento, San Marco ci viene presentato quale «figlio» di San Pietro, forse intendendo indicare con questo chi era stato a conferirgli il battesimo. Fuggito probabilmente da Gerusalemme nell’anno 41 dopo Cristo, avrebbe raggiunto prima l’Egitto, poi Roma, Gerusalemme, Antiochia, Cipro e la Panfilia, per ritornare a Gerusalemme e spostarsi ad Antiochia e forse nuovamente in Egitto. Siamo nell’anno 49. San Marco scompare per riapparire a Roma tra il 56 e il 58, poco prima del martirio di San Paolo. Da questo momento, più nulla sappiamo di lui.

Marco avrebbe scritto il suo Vangelo su insistente richiesta dei Cristiani di Roma, che desideravano avere uno scritto che raccogliesse l’insegnamento fatto solo oralmente da San Pietro durante il regno dell’Imperatore Claudio (41-54); San Pietro ne fu soddisfatto e confermò il libro per la lettura nelle chiese. La data di composizione è assunta dagli studiosi variare tra il 40 e il 70; la più antica testimonianza papiracea del Vangelo secondo Marco – contenente i versetti 52 e 53 del capitolo 6 – si trova sul discusso frammento greco Qumran 7Q5, datato a prima del 68 (data in cui la località, devastata dai Romani, fu abbandonata) e attualmente conservato presso la Israel Antiquities Authority, a Gerusalemme.

Quello di Marco è il Vangelo più antico e, nel contempo, il più breve. Sembra di leggere una cronaca: lo stile è freddo, asciutto, conciso. Anche quando parla degli avvenimenti più drammatici, non si lascia andare a sbavature, fantasie, grida di sdegno (l’esatto contrario degli apocrifi con tutta l’esuberanza delle loro immaginazioni). «Sa» di storia. Se poi se ne porta la redazione intorno all’anno 50, o comunque prima del 70, il suo valore come opera storica, oltre che teologica, viene aumentato: perché abbiamo un Vangelo nella stesura definitiva già a ridosso degli avvenimenti che narra. Con la rivolta giudaica del 70, c’è la catastrofe che spazza via tutti coloro che avrebbero potuto testimoniare pro o contro la vicenda storica di Gesù: la famiglia di Caifa, dei sadducei collaborazionisti, si estingue solo con l’assedio del 70, fino ad allora conserva un potere occhiuto e continua la sua persecuzione del Cristianesimo nascente. Se il Vangelo è stato annunciato in Israele in quegli anni in cui ancora tutti i nemici di Gesù vivevano, è chiaro che qualsiasi fantasia sarebbe stata immediatamente svergognata e la storicità ne segue come una conseguenza logica.

Proviamo ora a segnalare alcuni tratti salienti del Vangelo secondo Marco, lasciando al lettore più interessato il compito di scoprire di più con ulteriori letture (in fondo all’articolo segnaliamo una piccola bibliografia di riferimento).


La trama del Vangelo: una breve sintesi

Il Vangelo inizia con la formula di fede dell’Evangelista («Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio»: 1,1) che contiene i titoli «Cristo» e «Figlio di Dio». Ora, il titolo «Cristo» sarà ripreso nel cuore della narrazione nella confessione di fede di Pietro alla domanda di Gesù su chi i discepoli credano che Egli sia («Tu sei il Cristo»: 8,29), mentre ritroveremo quello di «Figlio di Dio» quasi alla fine della narrazione, sulle labbra del centurione romano che lo vede spirare sulla croce («Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!»: 15,39). La ripresa di questi titoli segna due momenti importanti nella rivelazione di Gesù e permette di delimitare due parti nella narrazione: la confessione di fede di Pietro fa come da cerniera fra le due (8,27-30). Prima della confessione di Pietro, nella prima parte (1,14-8,26) ci si domanda chi è Gesù; dopo la confessione, nella seconda parte (8,27-16,8) il racconto è orientato verso la Passione e si tratta di comprendere che tipo di Messia è Gesù.

Il prologo del Vangelo (1,1-13) ci introduce subito nel «vivo» dell’azione, senza lunghe e verbose introduzioni, secondo uno stile che potremmo definire senz’altro «moderno»: ci viene presentato il Battista (2-8), assistiamo al battesimo di Gesù (9-11) e sappiamo che viene tentato dal diavolo nel deserto (12-13). È peraltro un racconto molto «scarno», «essenziale», privo di abbellimenti od orpelli retorici.

La prima parte del Vangelo è divisa in tre sezioni. Nella prima (1,14-3,6) si presenta il rapporto tra Gesù e la folla: a Cafarnao Gesù si mette a insegnare nella sinagoga «come uno che ha autorità», guarisce molti malati e scaccia molti demoni. Nei racconti di guarigione sono i malati a rivolgersi a Gesù o a esservi condotti (vi è quindi un’esposizione del caso); poi avviene il gesto o la parola di Gesù in forza del quale avviene il miracolo (di solito si tratta della parola, perché Gesù non sia confuso con un mago); infine, c’è l’atto del malato o l’acclamazione dei presenti che mostrano che il gesto è riuscito. Le guarigioni miracolose mostrano la prossimità e vicinanza di Gesù, ma non sono per tutti perché il loro scopo precipuo è quello di prefigurare la nuova creazione: i miracolati sono testimonianze della nuova creazione, cioè la vita eterna. Ma l’operato di Gesù, libero dalle imposizioni delle tradizioni del tempo – non digiuna, guarisce in giorno di sabato... – suscita subito dei conflitti, e già all’inizio del suo ministero «i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire» (mossi i primi dall’ipocrisia, i secondi dalla violenza: sono gli avversari).

Nella seconda sezione (3,7-6,6a) si indagano i rapporti tra Gesù e i «suoi»: la scelta dei Dodici, che vengono chiamati uno per uno, per nome; le parabole che spiegano il mistero del Regno (il versetto 11 è il cuore del capitolo: «A voi [ai Dodici] è stato confidato il mistero del Regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole»); la «catena dei miracoli» (la tempesta sedata, gli esorcismi e le guarigioni, la risurrezione della figlia di Giàiro) che culminano nello «scandalo» e nell’«incredulità» dei compaesani di Gesù, da ora nuovi suoi avversari.

Nella terza sezione (6,6b-8,26) lo sguardo si sposta su Gesù e i suoi discepoli, incapaci di comprendere: le due moltiplicazioni dei pani; i rimproveri che Egli rivolge loro, in seguito, quando si preoccupano di non aver preso con sé che un solo pane (parla certo del «lievito dei farisei», l’ipocrisia, e del «lievito di Erode», la violenza, ma sottolinea che gli stessi discepoli hanno il cuore indurito, non intendono e non capiscono ancora); la guarigione del cieco di Betsaida.

Anche la seconda parte del Vangelo può essere suddivisa idealmente in tre sezioni. La prima (8,27-10,52) tratteggia la via di Gesù, il Figlio dell’uomo: è una via anche in senso geografico, il cammino verso Gerusalemme. I versetti 27-30 del capitolo 8 sono il centro del Vangelo di Marco, chiudono la prima parte e aprono la seconda: in essi Pietro riconosce, a nome suo e dei discepoli, che Gesù è il Cristo; da questo momento, riconosciutolo come Messia, resta da capire che tipo di Messia sia. Infatti, riconoscere Gesù come il Messia atteso può essere fonte di fraintendimenti (molti potrebbero pensare a un Messia politico, che cacci i Romani a colpi di spada e restauri il Regno d’Israele sulla Terra), e per questo Gesù ordina di non dirlo a nessuno; tant’è vero che precisa subito dopo, al versetto 31: «E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare». Ai discepoli Gesù predice le sue future sofferenze e riprovazioni, la sua morte e la sua risurrezione, ma ogni volta che fa un annuncio, c’è sempre un’incomprensione, perché la via di Dio non coincide sempre coi desideri – più «modesti» – dell’uomo. In realtà, Gesù chiede di rinnegare se stessi (ovvero di smettere di pensare a se stessi come centro del mondo, vincendo quell’egoismo che è fonte di tutti i mali) e di prendere la propria croce e seguirlo (cioè di impostare tutta la propria vita come una donazione totale, anche se questo non significa affatto andarsi a cercare la sofferenza; l’adesione a Gesù significa soprattutto gioia). È paradigmatica la figura di Bartimèo, il cieco che chiede a Gesù «che io veda di nuovo» (ma il verbo «anablepo» potrebbe essere anche reso con: «che io veda di più») e che, una volta risanato, «prese a seguirlo per la strada». Non è Gesù che lo chiama, è lui che lo sceglie.

La seconda sezione (11,1-13,37) è incentrata sull’attività di Gesù a Gerusalemme: il suo ingresso trionfale in città sulla groppa di un asinello, i contrasti finali (tra cui i mercanti cacciati dal Tempio e la disputa coi sacerdoti sull’autorità con cui Egli opera), la parabola dei vignaioli omicidi, la funzione esemplare della vedova che getta nel tesoro del Tempio due spiccioli, cioè tutto quanto ha per vivere: il vero discepolo è colui che getta tutta la propria vita nel nuovo Tempio, che è lo stesso Gesù.

La terza sezione comprende i capitoli 14 e 15, sulla Passione, morte e sepoltura di Gesù. Sono pagine drammatiche, in cui Gesù è impaurito, angosciato, chiede a Dio di allontanare da lui, se possibile, quel calice, ma di fare ciò che Lui (il Signore) vuole. La morte è invece icona suprema di gratuità: di fronte a tutti coloro che lo scherniscono, Gesù, inchiodato sulla croce, non risponde, non si lamenta, ma si abbandona con un’ultima invocazione a Dio e con un forte grido spira.

A differenza di molti altri libri, il Vangelo non si conclude con la fine della vita terrena di Gesù: il capitolo 16 (versetti 1-8) ci presenta l’annuncio della risurrezione di Gesù alle donne e il loro invio a darne notizia ai discepoli e a Pietro. «Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura». Così termina il racconto di Marco, in modo brusco. Dando l’impressione che manchi qualcosa. In realtà, è come se Marco dicesse a noi lettori: «Io mi fermo qui nella narrazione, ma ora tocca a voi dare una risposta, decidere quale via seguire nella vostra vita: che cosa volete fare? Fuggire o mettervi alla sequela di Gesù, rimanendogli fedeli?». In seguito, a questo finale «corto» è stato aggiunto un finale più lungo (versetti 9-20), per collegare questo Vangelo con gli altri tre: è un finale mai menzionato prima del II secolo, ma comunque considerato ispirato.


Il discepolo in Marco

Nel Vangelo secondo Marco, così come negli altri, appaiono molte persone e gruppi diversi che si incontrano con Gesù: c’è Giovanni Battista, il popolo radunato nella sinagoga, ci sono le folle che vengono da Gesù per sentire il suo insegnamento e per portare i loro malati, i farisei, i membri del Sinedrio e molti altri, uomini e donne, poveri e ricchi, sapienti e incolti, Ebrei e pagani, tutta una multiforme umanità. Naturalmente, gli interlocutori più frequenti di Gesù sono i discepoli: Marco li menziona dall’inizio alla fine del Vangelo e sempre al plurale, per rimarcare non i tratti distintivi di ogni singola persona ma il loro comune rapporto con Gesù. Nonostante il centro del Vangelo sia e rimanga Gesù Cristo, i discepoli sono un elemento imprescindibile dello scritto, che non è una mera raccolta delle parole e opere di Gesù e degli eventi principali della sua vita, ma è continuamente interessato ai rapporti di Gesù con gli uomini e specialmente con i discepoli.

All’inizio della vicenda dei discepoli c’è una chiamata: «Passando lungo il mare della Galilea, [Gesù] vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono» (1,16-20).

Possiamo vedere che la chiamata avviene in Galilea, nella realtà quotidiana: Gesù vede, fa un appello (a cui si può aderire gratuitamente o meno), invita a una comunione («Seguitemi») e apre un orizzonte missionario («Vi farò diventare pescatori di uomini») che presuppone un’opera educatrice di Cristo (esplicitata dal verbo «diventare»). È un comportamento differente dalla prassi del tempo: era il Maestro, il Rabbi, a sedersi sul ciglio della strada e a parlare; chi si sentiva convinto dalle sue parole e opinioni poteva unirsi a lui. Gesù invece non spiega un programma della sua attività, non fa delle proposte o delle promesse, non cerca di convincere i discepoli a seguirlo, ma li chiama semplicemente. Questi, semplicemente, lasciano le reti, il padre, il modo di vivere finora praticato e lo seguono; è un taglio radicale con il passato, con le sue certezze, per entrare in comunione di vita con Gesù, rinunciando a tutto ciò che impedisce di seguirlo con piena disponibilità. Questa è la sequela, per Marco: grazia basata sulla fedeltà di Cristo. La chiamata, infine, viene fatta a individui ben precisi, chiamati per nome, ma che da allora entrano a far parte della comunità dei discepoli, in relazione con Gesù ma anche gli uni con gli altri. Da questo momento, da questo primo costituirsi della comunità dei discepoli, Marco fa iniziare la vita «pubblica» di Gesù.

I discepoli sono destinati alla conoscenza dell’identità di Gesù: è ciò che si snoda lungo la prima metà del Vangelo (1,21-8,26) e che viene esplicitato nel capitolo 8, versetti 27-30, già ricordati: «Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: “Chi dice la gente che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti”. Ma Egli replicò: “E voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”. E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno».

Si possono isolare due temi: da un lato la cura particolare verso i discepoli. Sono tre i passi che si potrebbero citare: «Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che Egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì» (3,13-19); «Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed Egli disse loro: “A voi è stato confidato il mistero del Regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché: guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato”» (4,10-12); «Senza parabole non parlava loro [alle folle]; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa» (4,34).

Dall’altro lato, gli esiti di tale «cura» si rendono palesi anche in relazione ai cosiddetti «episodi sul lago». Sono tre, tutti ben conosciuti. Il primo è quello della tempesta sedata: «In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: “Passiamo all’altra riva”. E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che moriamo?”. Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?”» (4,35-41). Il secondo è il cammino sulle acque: «Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull’altra riva, verso Betsàida, mentre Egli avrebbe licenziato la folla. Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed Egli solo a terra. Vedendoli però tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l’ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: “È un fantasma”, e cominciarono a gridare, perché tutti lo avevano visto ed erano rimasti turbati. Ma Egli subito rivolse loro la parola e disse: “Coraggio, sono io, non temete!”. Quindi salì con loro sulla barca e il vento cessò. Ed erano enormemente stupiti in se stessi, perché non avevano capito il fatto dei pani [la moltiplicazione dei pani, narrata subito prima], essendo il loro cuore indurito» (6,45-52). Il terzo episodio è la discussione sui lieviti: «Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo. Allora Egli li ammoniva dicendo: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!”. E quelli dicevano fra loro: “Non abbiamo pane”. Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: “Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?”. Gli dissero: “Dodici”. “E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?”. Gli dissero: “Sette”. E disse loro: “Non capite ancora?”» (8,14-21). Dalla lettura di questi tre testi si ricava una vistosa regressione dei discepoli: Gesù li copre di domande piene di rimproveri che riguardano il loro cuore indurito, gli occhi ciechi, gli orecchi sordi, la completa mancanza di comprensione. Gesù vuole che i discepoli riconoscano la sua identità, riconoscerlo come il Messia è il loro compito principale e specifico durante questo periodo dell’attività di Gesù: il significato della persona di Gesù e la natura del discepolato dipendono entrambi da questa identità: solo un Gesù che è veramente il Messia e il Figlio di Dio merita una sequela incondizionata e una fede senza limiti.

Ma Gesù è un Messia diverso da quello che molti si potrebbero aspettare, e il Maestro deve istruire i suoi discepoli sul suo destino prossimo. Non è facile, ogni annuncio è seguito da una incomprensione e necessita di un insegnamento: «E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma Egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi”. E diceva loro: “In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il Regno di Dio venire con potenza”» (8,31-9,1). «Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”. Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafàrnao. E quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via?”. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato”» (9,31-37). «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà”. E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: “Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?”. Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”. All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle Nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”» (10,32-45). Val la pena, a questo punto, di ricordare la «bella» figura di Bartimèo, paradigmatica del vero discepolo: «E giunsero a Gèrico. E mentre partiva da Gèrico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Allora Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. E chiamarono il cieco dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che vuoi che io ti faccia?”. E il cieco a lui: “Rabbunì, che io riabbia la vista!”. E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada» (10,46-52).

Siamo ormai a Gerusalemme; mancano poche ore alla crocifissione. Gesù, sul monte degli Ulivi, sentendo avvicinarsi il momento della fine, fa ai discepoli una profezia e una promessa: «Gesù disse loro: “Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: ‘Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse’. Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea”» (14,27-28). Quando giunge una folla di gente con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani e guidata da Giuda Iscariota, «tutti allora, abbandonandolo, fuggirono» (14,50). È l’abbandono totale. Dopo il suo arresto, Gesù rimane solo. Per la prima volta, i discepoli non lo seguono. Da solo Egli percorre il cammino della Passione verso la morte sulla croce. Sembra che la comunione con i discepoli e tutte le istruzioni sulla sua identità e sulla sequela siano vane, che la formazione dei discepoli – parte essenziale dell’opera di Gesù – sia totalmente fallita. Da solo Gesù ha iniziato il suo ministero, e da solo termina il suo cammino terreno.

Ma Gesù mantiene le promesse, ha annunciato la sua risurrezione, ha detto che precederà i suoi discepoli in Galilea: l’angelo pasquale ripete questa stessa promessa alle donne, giunte al sepolcro di Gesù. «Ma egli [l’angelo] disse loro [alle donne]: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”» (16,6-7). È una nuova chiamata: i discepoli hanno abbandonato Gesù, ma Egli no, ha perdonato la loro infedeltà, è rimasto fedele e dona loro di nuovo la sua comunione. Per i discepoli la gioia pasquale è raddoppiata, sia per la nuova vita del Signore, sia per la rinnovata comunione con lui.


Note conclusive

Possiamo ora fare alcune osservazioni.

La prima è che, per Marco, «inventore» del genere vangelo, è tutta la storia di Gesù a essere messianica, ossia rivelatrice di Dio e del suo piano di salvezza. Non solo un aspetto (un detto o un gesto) ma il tutto, tenuto insieme.

La seconda osservazione riguarda la centralità della croce, cuore della novità cristiana: i vari aspetti della vita di Gesù non vanno semplicemente accostati, ma devono essere valutati a partire dalla croce. È il testo di Marco, preso nel suo intreccio, che ci porta a questa conclusione: si può per esempio vedere l’enfasi sulla Passione dei capitoli 14 e 15, i vari annunci sulla stessa Passione (8,31; 9,31; 10,32-34), la centralità del riconoscimento di Gesù come Messia. Potrebbe anche avvertirsi, in questa sottolineatura della croce, una polemica contro una comunità troppo attenta ai miracoli; persino il cosiddetto «segreto messianico» (la raccomandazione di Gesù, a coloro che ricevono miracoli, di non dirlo in giro) va interpretato in questa linea: Gesù svela la propria identità in modo graduale, pedagogico e prudenziale, per evitare un’interpretazione troppo terrena del suo messianismo – non si devono trarre conclusioni affrettare dinanzi a Gesù, ma occorre attendere la croce. Inoltre, si può avvertire anche l’eco di una situazione di persecuzione alla quale è sottoposta la comunità, come testimonia Tacito nei suoi Annali (15,44,4).

Si può anche osservare la dialettica rivelazione-incomprensione, ovvero la «cecità» dei farisei, del popolo, degli stessi discepoli. Gesù è invece riconosciuto da un pagano, il centurione che presiedeva alla crocifissione, secondo il già citato passo (15,39).

La sezione che da dal capitolo 8 versetto 31 al capitolo 10 versetto 52 è stata definita «sezione della vita»: in essa Gesù mostra la costruzione ecclesiale del discepolo, la sua «via». Il Vangelo secondo Marco pone una grande attenzione al tema del discepolo, come si è già ricordato.

Si può anche rimarcare la funzione paradigmatica che hanno alcuni «personaggi minori», come il già citato cieco Bartimèo e la vedova che gettava due spiccioli nel tesoro del Tempio.

Un’ultima osservazione va fatta sul finale (16,8), che sembra tronco ed è sorprendente: permette di entrare nel mistero della persona di Gesù e, allo stesso tempo, invita il lettore a cogliere come l’avvenimento della risurrezione del Crocifisso sia, al di là dei ragionamenti umani, una realtà inaudita e che non può essere la risultante di una riflessione umana. La risurrezione può essere colta solo come dono in una prospettiva di fede. Allo stesso tempo, però, possiamo vedere un «finale aperto» mediante il quale Marco invita il lettore a fare proprio il linguaggio della croce e della risurrezione e a rileggere il Vangelo a partire dalla fede pasquale. Un invito rivolto al lettore affinché rifaccia l’esperienza sconcertante che hanno fatto quanti hanno seguito Gesù dalla Galilea fino a Gerusalemme, attraverso la via della Passione e della croce.


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(aprile 2020)

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