Gesù Cristo: un Ebreo controcorrente
Un’analisi del modo di vivere di Gesù Cristo, del «volto» col quale si presenta ai propri connazionali

Gesù di Nazareth, detto «il Cristo», è certamente un Personaggio molto discusso e controverso, un Uomo del Suo tempo, ma anche un Uomo che si pone in antitesi, spesso in conflitto, con la mentalità e la cultura del Suo tempo. Con questo lavoro vorremmo focalizzare l’attenzione su alcuni degli atteggiamenti di Gesù, sul Suo modo di porsi con gli altri: una questione dibattuta fin dal Medioevo, nelle discussioni se Gesù avesse dovuto vivere una vita particolarmente austera o normale, solitaria o in mezzo ad altri uomini, secondo la Legge o sciolta da ogni legame…

Potremmo iniziare col ricordare che Gesù non è un sacerdote, né uno scriba: è quello che oggi definiremmo un semplice «laico», e i Suoi seguaci sono gente comune, gente del popolo, che vive del proprio lavoro.

Ed è un laico, Gesù, che non condivide l’idea di Legge propria dei Farisei (cioè dei «separati»: e la loro separazione, l’elemento che li distingue, è precisamente il fatto che essi si impegnano ad una rigida osservanza di tutti i precetti della Legge, anche i più minuti): non è d’accordo a proposito del sabato, del digiuno, delle prescrizioni rituali, mantiene rapporti con persone dalle quali, secondo la Legge, bisogna star lontani per non esserne contaminati…

Al fondo di queste divergenze c’è una diversità radicale nel modo di intendere il senso della Legge e, conseguentemente, gli stessi rapporti tra l’uomo e Dio.

Gesù, che pure utilizza il metodo d’insegnamento proprio dei Farisei, rifiuta di concepire la Legge come un insieme di minute e scrupolose osservanze, come un codice di norme fisse: la volontà di Dio si fa presente in ogni circostanza e in ogni circostanza deve essere riscoperta, senza rifugiarsi nella pratica esteriore del precetto, o nella immobilistica fedeltà alla tradizione dei padri.

La Legge intesa come casistica porta fatalmente al formalismo: nell’un caso come nell’altro non è più la Legge per l’uomo, ma l’uomo per la Legge. Ora, Gesù non è venuto per la Legge, ma per la salvezza dell’uomo: «Non l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo» (Vangelo secondo Marco, 2, 27).

Tra l’altro, nella Sua prospettiva è impensabile che l’osservanza delle prescrizioni legali diventi un mezzo per acquisire diritti di fronte a Dio, per cui la salvezza non sarebbe più dono di Dio, ma conquista dell’uomo: qui il disaccordo di Gesù è totale.

La critica della Legge viene ribadita dalla critica al culto. Per Gesù il Tempio di Gerusalemme non è, come per la maggior parte dei Suoi conterranei, eterno: ne è prevista la distruzione, anzi, è già pronto il nuovo Tempio di Dio che nell’ora della salvezza sostituirà l’antico.

Per questo primo complesso di motivi potremmo dire che Gesù si presenta come un «rivoluzionario»: non è d’accordo con moltissimi aspetti fondamentali della società «religiosa» nella quale è inserito.

Esiste un movimento che si propone di instaurare il Regno di Israele con la forza delle armi, il partito dei cosiddetti Zeloti: questi fanno leva sull’attesa di un Messia politico per incitare alla rivolta armata contro le forze di occupazione romana.

Ma Gesù è attento a distinguere la Sua Persona e il Suo messaggio da simili posizioni: anche questa è una delle costanti del Suo comportamento. Respinge bruscamente l’invito a prendere posizione contro il dominatore romano, e non rifiuta il pagamento del tributo; i Suoi discepoli non saranno detentori di un potere politico, ma si dedicheranno al servizio dei fratelli.

Gesù non è venuto per fondare una nuova teocrazia: il Suo Regno non è identificabile con nessuna struttura politica, di nessun genere.

Quanto detto però non significa indifferenza nei confronti del potere politico: il racconto delle tentazioni è estremamente significativo a questo proposito. Sia in Luca che in Matteo è Satana che offre a Gesù il potere politico (Vangelo secondo Matteo, 4, 8-9; Vangelo secondo Luca, 4, 6): ciò significa che in qualche modo l’esercizio di questo potere non va mai disgiunto, nella concreta situazione storica dell’umanità, da una qualche ingiustizia e, in questo senso, non può non avere un qualche collegamento con Satana.

Con ogni probabilità è quanto Gesù afferma esplicitamente quando giudica in maniera estremamente negativa l’operato dei «capi delle Nazioni»: è il dominio dell’uomo sull’uomo che Cristo non può accettare, e le concrete strutture del potere politico non sono del tutto immuni da questa deviazione.

Il giudizio di Gesù si rivolge cioè alle radici ultime di ogni «potere», mettendole in causa: «Date a Dio quel che è di Dio» significa, ovviamente, dargli tutto, e in questo senso è una riaffermazione della necessità che le strutture politiche siano sottoposte al giudizio ultimo della Sua parola.

In definitiva per questo, cioè perché messo radicalmente in questione, il potere politico si allea contro Cristo, superando ogni divisione precedente: per far tacere la Sua contestazione in nome delle esigenze del Regno.

Se respinge l’uso della forza, e d’altra parte non predica un’accettazione supina delle strutture politiche, Gesù rifiuta anche la fuga dalla storia, cioè una dedizione a Dio che sia disinteresse per gli altri. Esiste un «monachesimo» giudaico, rappresentato dagli Esseni, del quale parlano già lo storico Giuseppe Flavio e il filosofo ebreo Filone: la conoscenza di questo aspetto della società giudaica è stata ulteriormente favorita dalle recenti scoperte delle grotte del Mar Morto.

È cioè presente e viva tutta una corrente di pensiero e di spiritualità che tende a separare i suoi aderenti dagli altri uomini per tenerli lontani da ogni impurità: per la comunità di Qumran questo significa ritirarsi anche materialmente nel deserto sotto la guida di un non meglio precisato «Maestro di Giustizia», e lì, liberi da ogni rischio di contaminazione, lontani da ogni contatto con i peccatori, preparare nel deserto la via del Signore. La pratica della Legge è severissima: gli Esseni polemizzano con gli stessi Farisei perché li ritengono troppo accomodanti nell’osservanza delle prescrizioni legali.

Si intuisce subito come la predicazione e il comportamento di Gesù e la comunità da Lui fondata siano lontani da simili posizioni, sebbene vi siano stati contatti tra la comunità apostolica e gli Esseni (il Cenacolo era nel quartiere esseno di Gerusalemme, e secondo i sinottici l’Ultima Cena avvenne secondo il calendario esseno, che quell’anno anticipava la Pasqua di un giorno rispetto al calendario del Tempio): confrontiamo la citazione di Isaia fatta da Gesù come descrizione del Suo operato («I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri è annunciata la Buona Novella») con una prescrizione della Regola di Qumran: «Folli, dementi, balordi, alienati, ciechi, paralitici, zoppi, sordi e minorati – di costoro nessuno può essere accolto nella comunità, perché in mezzo a voi ci sono i santi angeli».

Gesù non vive neppure da «asceta»: la Sua condotta di vita è tale che non riesce a sfuggire alla pubblica accusa di «mangione e beone» (Vangelo secondo Matteo, 11, 19). Gli individui con i quali si intrattiene vengono chiamati spesso, con disprezzo, pubblicani e peccatori, o pubblicani e prostitute, o più semplicemente peccatori, cioè empi: fra questi empi, che frequentemente sono persino Suoi commensali, ci sono persone che notoriamente disprezzano i comandamenti di Dio o che svolgono delle professioni considerate generalmente immorali (esattori delle imposte, prostitute…).

Ma soprattutto bisogna annoverare nella cerchia di questa gente quella folla di poveri incolti che non conosce le complicate prescrizioni della Legge o, se le conosce, non è capace di osservarle, ragion per cui viene disprezzata dalla cerchia dei pii: la simpatia e la solidarietà di Gesù vanno ai piccoli, ai semplici, alla gente di fatica, stanca per il pesante lavoro.

Egli solidarizza con questi emarginati, diffamati, «esclusi»; in particolare con quelle categorie di persone che per mala sorte, per propria colpa o a causa di pregiudizi diffusi non si inseriscono nelle strutture sociali: le donne, che nella società non contano nulla e in pubblico devono evitare compagnie maschili, i bambini, che non hanno diritti, il popolo religiosamente ignorante, fatto di semplici, di incolti, di «piccoli», di poveri…

A queste persone che non si attendono nulla dalla società, ma in mezzo alle quali Egli trova particolare accoglienza, si rivolge Gesù facendole destinatarie privilegiate del Suo messaggio e della Sua attenzione.

Per quanto riguarda in particolare le donne, il Suo atteggiamento si scosta molto dalla mentalità corrente (una mentalità comune a molte civiltà antiche): la saggezza del tempo, riversatasi poi nella Bibbia, paragona la donna bella ma priva di senno ad «un anello d’oro al naso d’un porco» (Proverbi, 11, 22); denuncia che è «meglio la cattiveria di un uomo che la bontà di una donna» (Siracide, 42, 14). Gli esempi si potrebbero moltiplicare.

Invece, Gesù rifiuta la pratica del divorzio, abolendo così il privilegio tipicamente maschile di poter dare il «libello di ripudio»: nella società ebraica è solo l’uomo che può ripudiare la propria moglie, non viceversa; non a caso i discepoli, riflettendo benissimo la probabile reazione di molti mariti, commentano le parole di Gesù esclamando: «Se tale è la condizione dell’uomo riguardo alla moglie, è meglio non sposarsi» (Vangelo secondo Matteo, 19, 10); Gesù loda Maria invece di Marta, quando quest’ultima non fa altro che assumere il ruolo tipicamente femminile che la cultura le assegna (preparare la tavola), mentre Maria ha assunto un ruolo maschile (ascolta, si fa discepolo); si ferma a spiegare la Legge e a discutere in proposito con una donna, per di più samaritana, quando convinzione comune è che «meglio sarebbe bruciare tutte le parole della Legge, piuttosto che darle in mano a una donna» (Rabbi Eliezer)…

In definitiva, la Persona e il comportamento di Gesù non sono inquadrabili in nessuna categoria prefabbricata, sono al di fuori di ogni schema: non osserva rigidamente la Legge, non è un rivoluzionario politico ma neppure un «neutrale», non fugge dalla storia, è solidale con gli «esclusi». Come se non bastasse, vive «in cattiva compagnia»: basta guardare ai Suoi seguaci, ha tra i Suoi discepoli dei terroristi (Simone lo Zelota, quasi certamente Pietro, probabilmente Giuda Iscariota, forse anche i figli di Zebedeo), dei collaborazionisti (Matteo il pubblicano, cioè uno che riscuote le tasse per conto degli occupanti romani)…

Egli è più grande di Mosè, Salomone, Giona, ovvero delle tre maggiori istituzioni (Legge, Tempio, Profeti); è sicuramente un Uomo del Suo tempo, ma che non può non suscitare interrogativi, ed anche opposizioni: perché mette radicalmente in questione tutto un complesso di convinzioni tradizionali, di inveterati modi di pensare, di diffusissimi modi di agire…

Le folle lo seguono: e questo non può non impensierire i detentori del potere, direttamente chiamati in causa.

Prima o poi un «chiarimento» dovrà venire: e non potranno che prendere la decisione estrema, quella di «toglierlo di mezzo».

Sarà la Pasqua, il culmine della Sua «rivelazione».

(aprile 2012)

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