San Pietro fu rinchiuso nel carcere Mamertino (già Tullianum)?
Tra «traditio» e ricerca archeologica

Nel trascorrere del tempo è sempre rimasto vivo tra gli studiosi il desiderio di capire ove furono rinchiusi gli Apostoli Pietro e Paolo nella fase immediatamente precedente al loro martirio. Le ipotesi al riguardo sono diverse perché i pareri degli archeologi e degli storici divergono. C’è da aggiungere, inoltre, che non si possiedono documenti decisivi. In tale contesto, esiste pure una «traditio» che individua nel carcere Mamertino (già Tullianum) il luogo di detenzione dei due Apostoli. Su questo punto è possibile sviluppare qualche considerazione.

Carcere Mamertino

Una possibile ricostruzione del carcere.

Il livello superiore è un posto di guardia, quello inferiore (Tullianum) è l’ambiente di detenzione.

I contatti avvengono attraverso una botola.

Le fonti

Gaio Sallustio Crispo (86 avanti Cristo-34 avanti Cristo?), o più semplicemente Sallustio, nella sua opera De Coniuratione Catilinae, fornisce una descrizione precisa del carcere Tullianum. Scrivendo sulla detenzione e la condanna a morte dell’ex console Lentulo, di Cetego, Statilio, Gabinio e Cepario, lo storico fa riferimento al luogo di reclusione:

«Est in carcere locus, quod Tullianum appellatur, ubi paululum ascenderis ad laevam, circiter duodecim pedes humi depressus. Eum muniunt undique parietes atque insuper camera lapideis fornicibus iuncta; sed incultu, tenebris, odore foeda atque terribilis eius facies est».[1]

[«Nel carcere vi è un luogo chiamato Tulliano, un poco a sinistra salendo, sprofondato a circa dodici piedi sotto terra. Esso è chiuso tutt’intorno da robuste pareti, e al di sopra da un soffitto, costituito da una volta in pietra. Il suo aspetto è ripugnante e spaventoso per lo stato di abbandono, l’oscurità, il puzzo»].[2]

Oltre a Sallustio, ci sono anche altri autori latini che citano questo edificio. Plinio il Vecchio (23 dopo Cristo-79 dopo Cristo), ad esempio, ne ricorda la collocazione a Ovest della Curia Hostilia: questa era il più antico luogo di riunione del Senato Romano. Si trovava nel Comitium, il centro politico di Roma, situato nel Foro Romano. Qui si svolgevano le più antiche assemblee dei cittadini (comizi curiati). Da altre fonti è noto che il Tullianum era in prossimità del tempio della Concordia.

Il retore Calpurnio Flacco (prima metà II secolo dopo Cristo) scrive: «Ho visto il carcere pubblico costruito di grandi massi, cui si accede per aperture strette e oblunghe che danno appena un po’ di luce in quell’oscurità. Per mezzo di questa i rei abbietti osservano il “Robur[3] Tullianum”, e ogni volta che lo stridore della porta ferrata che si apre scuote coloro che là giacciono, si esaminano l’uno con l’altro e assistendo ciascuno all’altrui supplizio apprendono quel che li aspetta. Risuonano lì dentro i colpi di frusta, la lordura martoria i corpi, le mani sono oppresse dalle catene».[4]

Attualmente questo edificio, che si trova sotto il colle capitolino, a ridosso della Via Sacra, è aperto al pubblico (dal luglio del 2016). Ciò è avvenuto dopo ulteriori indagini archeologiche, e lavori di restauro. Chi lo visita è interessato anche a un fatto. Secondo una «traditio», infatti, il carcere fu luogo di detenzione anche degli Apostoli Pietro e Paolo. Al riguardo, taluni studiosi hanno avanzato delle riserve. Può quindi essere utile fornire qualche delucidazione.

Carcere Mamertino, primo livello

L'attuale primo livello del carcere

Le ricerche archeologiche

Il carcere in questione era probabilmente molto più esteso di quello che oggi appare ai visitatori. In pratica, quella che è rimasta è solo la parte più segreta della prigione (si potrebbe paragonare agli odierni istituti di massima sicurezza). Il resto delle celle si sviluppava in ambienti scavati all’interno del Campidoglio. Si trattava delle cosiddette «Lautumiae» (da cui il nome del «Clivus»), antiche cave di tufo riadattate allo scopo. Esistevano in gran numero ai piedi del colle capitolino. In tale contesto, si è voluto in tempi moderni promuovere tre campagne di indagini archeologiche nell’area del Tullianum. Tale lavoro, diretto dalla Dottoressa Patrizia Fortini (Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma), è durato diciotto anni.

1) Le ricerche hanno rivelato che l’occupazione dell’area risale all’Età del Ferro (IX-VIII secolo avanti Cristo nell’Europa Settentrionale).[5]

2) Sono state scoperte, tra l’altro, tre sepolture a inumazione: un uomo con le mani legate, una donna e una bambina. Questo dimostra che già in tempi molto remoti il sito doveva avere una forte valenza simbolica.

3) Durante il regno di Servio Tullio (secondo la tradizione regnò dal 578 avanti Cristo al 539 avanti Cristo), l’edificio fu segnato da un processo di sacralizzazione. Tale fatto è documentato dalla presenza di una sorgente, denominata «acqua Tulliana» (tuttora esistente), e dal ritrovamento di un deposito votivo. In pratica, il sito esprimeva il passaggio simbolico dalla realtà sotterranea a quella terrena attraverso l’elemento-acqua.

4) La piccola fossa votiva scavata in un blocco del pavimento conteneva ceramica, resti animali e vegetali, deposti agli inizi del I secolo dopo Cristo.[6]

5) È stato pure ritrovato un limone, il più antico esemplare di questo frutto originariamente asiatico rinvenuto in un contesto archeologico europeo.


Luogo di detenzione

L’edificio acquistò la sua funzione di reclusorio intorno al VII secolo avanti Cristo, senza perdere comunque un alto valore simbolico. Non era una prigione per detenuti comuni. Si trattava piuttosto di un luogo ove rinchiudere (ed eliminare) i nemici dell’Urbe. La sua struttura era formata da due piani sovrapposti di grotte scavate alle pendici meridionali del Campidoglio, a fianco delle «Scale Gemonie».[7] La più profonda risale all’età arcaica (VIII-VII secolo avanti Cristo). Era scavata nella cinta muraria di età regia che, all’interno delle Mura Serviane, proteggeva il Campidoglio. La seconda, successiva e sovrapposta, è di età repubblicana. Al di sotto di tutto l’edificio, un’antica fonte ancora esistente.

Tra i detenuti più noti si possono ricordare: Erennio Siculo, amico di Gaio Sempronio Gracco nel 123 avanti Cristo; il Re dei Sanniti Gaio Ponzio[8]; Giugurta, Re della Numidia nel 104 avanti Cristo; Vercingetorige, Re dei Galli nel 46 avanti Cristo; Simone di Giora, difensore di Gerusalemme nel 71 dopo Cristo; Lentulo e Cetego, compagni di Catilina nel 60 avanti Cristo; Seiano, ministro liberto di Tiberio nel 31 dopo Cristo.

Il periodo che i prigionieri trascorrevano nel Tullianum poteva variare. In genere, l’esecuzione dei condannati a morte avveniva subito dopo la grande processione romana del trionfo (come nel caso di Giugurta). Poteva, però, anche protrarsi nel tempo, come avvenne per Vercingetorige, che rimase rinchiuso sei anni prima di essere eliminato.

Carcere Mamertino, secondo livello

Il secondo livello del Tullianum

Il culto cristiano

È noto dallo storico Ammiano Marcellino (330 dopo Cristo circa-400 dopo Cristo circa) che fino a tutto il V secolo il Tullianum era ancora un carcere. In seguito, intorno al VII secolo dopo Cristo, i reclusori vennero posizionati nella zona del Foro litorio, dove oggi si trova la chiesa di San Nicola in Carcere. In seguito, dall’VIII secolo gli ambienti del Tullianum costituirono un luogo di culto cristiano. Lo attesta il ritrovamento di un frammento di affresco. Il piano superiore e quello inferiore divennero cappelle. Tale fatto è da collegare a una «traditio». Quest’ultima affermava che anche gli Apostoli Pietro e Paolo erano stati reclusi nel Tullianum prima di affrontare il martirio (si mostra a tutt’oggi una colonna alla quale furono legati).[9] In questo stesso periodo, il luogo venne indicato con un altro nome: carcere Mamertino. Nel corso del tempo, sopra il Mamertino fu edificata la chiesa di San Pietro in Carcere.[10] In seguito, nel 1540, la Confraternita dei Falegnami prese in consegna il luogo e vi edificò la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, terminata nel 1663. Con riferimento al culto cristiano, le indagini archeologiche hanno individuato pure i resti di alcuni affreschi (VIII-IX secolo dopo Cristo; XI-XIV secolo): tra questi, una delle prime raffigurazioni della Madonna della Misericordia (XIII secolo).


L’agiografia cristiana

Per l’agiografia cristiana medioevale, l’ambiente più basso del Tullianum (ora accessibile attraverso una scala) fu il luogo d’internamento degli Apostoli Pietro e Paolo. Secondo un devoto racconto, Pietro cadde mentre scendeva nel Tullianum. E batté il capo contro la parete. Vi restò un’impronta nella pietra (dal 1720 protetta da una grata). Rinchiusi nella segreta, assieme ad altri seguaci, i due Apostoli avrebbero fatto scaturire miracolosamente una polla d’acqua. Riuscirono pure a convertire e a battezzare i custodi, Processo e Martiniano (martiri a loro volta). Tale fatto favorì la conservazione del sito, il nascere di pellegrinaggi, e l’edificazione di una prima chiesa.

Carcere Mamertino, Cristo con Pietro

Cristo con Pietro. Affresco ritrovato nel Tullianum

Alcune considerazioni

La presenza degli Apostoli Pietro e Paolo nel carcere Tullianum lascia dubbiosi gli storici per diversi motivi. Il luogo venne utilizzato per controllare e neutralizzare i grandi nemici dell’Impero Romano. Ora, è difficile pensare che l’amministrazione dell’Urbe considerasse i due testimoni di Cristo come dei grandi nemici. Un po’ perché i tribunali romani in genere non si lasciavano coinvolgere in questioni religiose (considerate dei fatti interni tra sostenitori di dottrine). E un po’ perché Paolo, possedendo la cittadinanza romana, ebbe la possibilità – in attesa della prima e della seconda fase processuale – di alloggiare in un ambiente in affitto.

Pietro, poi, individuato e catturato dai «vigiles», fu rinchiuso con altri Cristiani in un luogo adibito alla custodia di gente certamente non famosa. Era uno sconosciuto. Al massimo si sapeva di lui che era un capo religioso. Ma tutto questo non importava a nessuno (tranne forse a qualche Ebreo ortodosso per il quale l’Apostolo doveva essere condannato per aver abbandonato la religione dei padri). C’è anche da sottolineare il fatto che Pietro e gli altri Cristiani furono condannati a morte solo per un fatto contingente (l’incendio di Roma del 64 dopo Cristo). In tale occasione, l’Imperatore Nerone avversò i seguaci della nuova religione solo perché aveva bisogno di un capro espiatorio. Lo dimostra il fatto che la persecuzione avvenne solo all’interno dell’Urbe, e che tutto poi ebbe termine con la morte del Monarca (suicidio).

Quindi, in conclusione, Pietro e Paolo morirono certamente a Roma ma non perché considerati dai tribunali dei grandi nemici.

A questo punto, si possono sviluppare due ipotesi. 1) La prima, cerca di tener conto dello sviluppo di un culto cristiano presso il Tullianum. Diversi autori (Bisconti, Mazzoleni e altri) sono convinti che là dove esiste un culto deve essere esistito comunque un fatto iniziale, un episodio, che rimanda a un martire. Tale tesi si è dimostrata in più casi confermata. Per questo motivo si tende a ritenere che il carcere posto sotto il colle capitolino poteva avere più ambienti reclusori. Uno per prigionieri considerati molto pericolosi per lo Stato. E altri per i detenuti comuni. Forse, in uno di questi ambienti potrebbe essere stato rinchiuso Pietro.

2) La seconda ipotesi, al contrario, tiene conto della posizione del circo di Caligola (divenuto poi di Nerone) alle pendici del «Mons Vaticanus». Ora, se l’Imperatore Nerone organizzava i suoi «ludi circenses» nel proprio circo (proprietà imperiale), è facile supporre che chi era obbligato ad affrontare la morte in quel luogo doveva necessariamente essere confinato in qualche locale vicino. Ciò da una parte consentiva di facilitare lo spostamento dei prigionieri, e – dall’altra – favoriva una collocazione di ambienti carcerari in luoghi non troppo interni all’Urbe. Il fetore, infatti, che usciva dalle prigioni del tempo era notevole. Questa seconda ipotesi convince di meno perché troppo generica, e perché non risultano reclusori in quell’area.


Qualche considerazione di sintesi

Quanto fin qui annotato non ha il fine di rinfocolare dibattiti tra studiosi. Anche se questi confronti sono utili per spingere verso nuove indagini archeologiche e per promuovere studi storici, quello che qui interessa evidenziare è solo un punto. Ricordare un ambiente di reclusione ove soffrirono gli Apostoli Pietro e Paolo aiuta a riflettere sulle prove che molti Cristiani dovettero affrontare all’inizio del Cristianesimo. Molti di loro continuano a essere anonimi. Di altri esistono i nomi segnati in luoghi sotterranei. In tale contesto, pensare alla vicenda di Pietro e di Paolo significa in definitiva ricordare tutti coloro che diventarono testimoni di Cristo fino allo spargimento del proprio sangue.


Alcune indicazioni bibliografiche

P. Fortini, Carcer Tullianum. Il carcere Mamertino al Foro romano, Mondadori Electa, Milano 1998.
Note

1 Gaio Sallustio Crispo, De Coniuratione Catilinae, 55.

2 Su questo punto confronta anche: G. Valditara, Riflessioni sulla pena nella Roma repubblicana, Giappichelli, Torino 2015, pagina 88.

3 «Robur» significa «quercia», ma per antonomasia può essere tradotto anche come «luogo poderoso».

4 Calpurnio Flacco, Declamationes.

5 Il Tullianum fu realizzato, secondo lo storico Tito Livio, negli anni di Anco Marzio nel VII secolo avanti Cristo (Tito Livio, Ab Urbe condita I, 33,8). Il nome deriva da «tullus» («polla d’acqua»), anche se alcuni lo fanno derivare da tradizioni che lo collegano all’iniziativa di Servio Tullio o di Tullo Ostilio.

6 Sulla cornice della facciata della prima età imperiale sono incisi i nomi dei consoli Caio Vibio Rufinio e Marco Cocceio Nerva che intervennero sul monumento agli inizi del I secolo dopo Cristo, tra il 39 e il 42.

7 Scalinata di accesso al colle Campidoglio.

8 Vincitore dei Romani nel 321 avanti Cristo (battaglia delle «Forche Caudine»).

9 A raccontare la vicenda di Pietro è un testo del IV secolo, una Passione di Pietro dello pseudo Lino.

10 La consacrazione sarebbe avvenuta nel IV secolo con Papa Silvestro I (morto nel 335), ma la costruzione della chiesa vera e propria fu effettuata su richiesta di Paolo III (Pontefice dal 1534 al 1549).

(aprile 2020)

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