Napoleone, un uomo solo
Dal successo politico e militare all’introspezione dell’esilio

Il bicentenario dalla scomparsa di Napoleone ha posto in rinnovata luce le attenzioni per un protagonista di straordinario rilievo nella storia del mondo, sempre in grado di affascinare, come attestano gli innumerevoli volumi dedicati alla figura di Bonaparte, per non dire di almeno 40 filmati che hanno tentato di illustrare gli episodi salienti della sua vita eccezionale, e di un attivismo incessante, fino alla sublimazione nelle lunghe riflessioni di Sant’Elena. In tale ottica, è scontato che la storiografia e la memorialistica abbiano finito per conferire importanza prioritaria non tanto alla persona, quanto all’uomo d’armi, al condottiero, al legislatore, al demiurgo imperiale, al promotore delle rivoluzioni nazionali, a chi aveva imprigionato il Santo Padre incoronandosi di mano propria.

Napoleone fu osannato e disprezzato, ma la sua figura di protagonista nel bene e nel male non è mai stata posta in discussione, nell’ambito di un ruolo pubblico che ha finito per trascendere largamente quello privato, anche se la sua vita familiare, largamente condizionata dalle vicende politiche e militari, è stata oggetto di analisi importanti, e peraltro, sostanzialmente subordinate. In proposito, un’ampia convergenza delle interpretazioni salienti è quella che sussiste nel considerare Napoleone alla stregua di uomo solo, la cui vita familiare, stretta fra gli impegni bellici e le esigenze di un potere in forte espansione anche dal punto di vista geografico, fu oggetto di preoccupazioni in numero assai superiore a quello delle soddisfazioni.

L’assunto vale per la famiglia d’origine, con particolare riferimento a fratelli e sorelle che non mancarono di approfittare delle fortune napoleoniche, tanto più che Bonaparte, sin dai tempi del Consolato ma soprattutto in quelli dell’Impero, non aveva fatto mistero delle sue pervicaci propensioni nepotistiche. A più forte ragione vale per la vita affettiva e per le relazioni che ebbe con le donne veramente importanti del suo momento privato: le due consorti Giuseppina di Beauharnais[1] e Maria Luisa d’Asburgo-Lorena[2], e la contessa Maria Walewska[3]. Considerazioni analoghe riguardano i suoi figli: l’infelice Francesco di Reichstadt, Imperatore per due giorni e poi condannato alla dorata prigionia, alle mollezze della Corte Asburgica di Vienna e alla morte prematura; e il conte Alessandro Walewski[4] che costituì un’eccezione meritoria perché ebbe grandi successi politici e diplomatici, soprattutto durante il ventennio di gestione del potere da parte di Napoleone III.

Bonaparte fu davvero un uomo solo: si potrebbe quasi dire che gli impegni di guerra e di governo non gli abbiano dato il tempo di amare, anche se la responsabilità maggiore di quella solitudine può essere individuata nel suo naturale egocentrismo e nella conseguente difficoltà di comprendere i sentimenti altrui. Per il resto, fu prigioniero della ragione di Stato, e dopo Waterloo, del durissimo esilio impostogli dai vincitori, dove le pene della segregazione si accrebbero per gli enormi problemi di comunicazione con un mondo ormai inarrivabile.

Napoleone scomparve lontano dal suo vecchio mondo dopo sei anni di prigionia, vittima di un trattamento incivile: non si era ritenuto conveniente né consigliabile sottoporlo a processo e si era ritenuto preferibile relegarlo ai confini dell’orbe con un piccolo stuolo di addetti alla sua «sicurezza» ma col verosimile intento di accelerarne la fine. Era nel fiore dei primi anni maturi, come tanti familiari che a vario titolo furono coinvolti nel suo destino: da due millenni, Menandro aveva detto che «muore giovane chi è caro agli dèi».

Verso la fine dell’Ottocento, spente le polemiche in cui erano stati coinvolti gli ultimi contemporanei di Bonaparte, il suo mito riprese nuovo vigore dando luogo, come da pertinente espressione di Benedetto Croce, alla riscoperta di talune doti, sia pure in qualche modo opinabili, che ne avevano supportato il successo: secondo lo storico e filosofo abruzzese, Napoleone fu «uomo dell’azione, audace, risoluto, chiaroveggente, che non ebbe tentennamenti e scrupoli, che prese d’assalto la fortuna e conquistò il mondo»[5] al pari di altri che, all’alba del Novecento, sembravano propensi a imitazioni e possibili successi in un’analoga linea attivistica, quali Friedrich Nietzsche in Germania, Maurice Barrès in Francia e soprattutto Gabriele d’Annunzio in Italia, che avrebbe dimostrato sul campo di possedere prerogative analoghe, salvo vederle coartate da una congiuntura politica ostile ma sublimandole nell’ispirazione artistica e letteraria che Napoleone non aveva avuto.

Al pari del «Principe» di Machiavelli, questi seppe «cogliere» la fortuna transeunte ma non fu capace di fermarsi per valorizzare al meglio i frutti oltremodo copiosi che gli erano stati elargiti nel campo politico e militare, dimostrando ancora una volta che un successo straordinario può trovare limiti invalicabili nelle sue stesse conquiste, alla luce di quanto è accaduto in altre importanti occasioni storiche.

Nel campo delle relazioni familiari, a Napoleone non arrise la stessa fortuna perché troppo occupato nelle attività governative, e prima ancora in quelle di condottiero militare, dove il suo genio diede veramente il meglio. Le sue scelte in campo affettivo erano state un azzardo giovanile come nel caso di Giuseppina, oppure un’opportunità politica come in quello di Maria Luisa e nel conseguente dramma del figlio Francesco; fu verosimilmente diverso il rapporto con la contessa Walewska, sebbene anch’esso condizionato, non tanto da un’illegittimità sempre sgradita alla «vox populi» quanto dalla corsa verso la «conquista del mondo» che «mutatis mutandis» si sarebbe consumata in un destino simile a quello di Alessandro Magno. In epoca moderna nessuno ebbe onori come quelli di Napoleone ma non sembra azzardato affermare che furono pagati col prezzo della solitudine: la famiglia originaria si sarebbe limitata a trarre ogni sorta di vantaggio dalla «fortuna» del grande congiunto ed entrambe le mogli avrebbero programmato un «modus vivendi» improntato alle convenienze formali. Quanto ai figli, il solo Walewski sarebbe riuscito a liberarsi dai vincoli del mito, non senza conseguire risultati importanti nel campo diplomatico e in quello della rappresentanza politica.

Napoleone fu solo a Sant’Elena nei lunghi anni della detenzione, sia pure con la vicinanza di qualche fedelissimo, peraltro incapace di prevenire il nefasto disegno dei carcerieri, ma paradossalmente era stato altrettanto solo negli anni del consenso, pur caratterizzati dall’omaggio dei cortigiani e dei suoi stessi Generali, e senza il conforto di affetti veri e di una dimensione di pace familiare in cui trovare relazioni realmente autentiche e costruttive.

Alla stregua di un’altra affermazione del Croce, che peraltro non contraddice il quadro manzoniano della conversione durante il periodo di cattività, Napoleone fu uno degli uomini «meno religiosi che siano apparsi nella storia». In questo senso, era stato un figlio della Rivoluzione: eppure, proprio gli anni della solitudine più angosciosa furono idonei a promuovere un ulteriore possibile successo della «benefica fede ai trionfi avvezza» riportando anche Bonaparte in una dimensione umana governata non tanto dal peso insopportabile delle memorie ma da una «lieta speranza».


Note

1 Giuseppina Tascher de la Pagerie (1763-1814), nativa della Martinica da cui aveva mutuato la definizione di «bella Creola», era vedova del Generale Alessandro di Beuharnais (ucciso durante il Terrore) dal quale aveva avuto i figli Ortensia ed Eugenio; fu moglie di Napoleone dal 1796 al 1809, quando l’Imperatore promosse la causa di annullamento del matrimonio per sposare Maria Luisa d’Asburgo-Lorena nell’intento di assicurare una discendenza diretta alla «dinastia» e di entrare nel novero delle grandi aristocrazie regali. Dopo la separazione da Napoleone, con cui rimase in rapporti corretti, visse per brevi anni nella dorata residenza della cosiddetta «Malmaison», dedicandosi ad apprezzate attività di floricultura. Ortensia (1783-1837) fu moglie di Luigi Bonaparte, Regina d’Olanda e madre del futuro Imperatore Napoleone III. Dal canto suo, Eugenio (1781-1824) fu Viceré del Regno Italico quando Napoleone decise di insediarlo come suo vicario a Milano in sostituzione di Francesco Melzi d’Eril.

2 Maria Luisa d’Asburgo-Lorena (1791-1847) fu chiesta in sposa da Napoleone dopo la vittoriosa battaglia di Wagram del 1809, nell’ambito delle trattative di pace, trovando forte adesione nella Corte Viennese. In conseguenza del matrimonio, fu Imperatrice di Francia fino al 1814, superando le prime ritrosie cui non era estraneo il tragico ricordo di Maria Antonietta. Nel 1811 diede alla luce l’erede tanto atteso, che dopo l’abdicazione del padre divenne Imperatore per due giorni con l’effimero titolo di Napoleone II. Il Congresso di Vienna le conferì il governo a titolo personale (senza diritti di successione) del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, dove nel 1821, avuta notizia della morte di Bonaparte, ebbe la possibilità di sposare il conte Adam Albert von Neipperg che le diede altri tre figli. Rimasta ulteriormente vedova, nel 1834 si unì in terze nozze con Charles René de Bombelles.

3 Maria Leczynski Walewska (1786-1817), appartenente a nobile famiglia polacca non priva di ascendenze reali, appena diciottenne fu destinata, come da usanze dell’epoca, al matrimonio con il nobile Anastasy Walewski che aveva 52 anni più di lei. Di straordinaria bellezza, fu subito notata da Napoleone dopo la conquista della Polonia: sorse un rapporto affettivo intenso, destinato a protrarsi nel tempo. Nel 1810 nacque il figlio Alessandro che fu riconosciuto «pro bono pacis» dal conte Walewski e con cui Maria avrebbe reso visita a Napoleone durante il primo esilio all’Isola d’Elba. Più tardi, due mesi dopo Waterloo, Maria fu ancora con Napoleone alla vigilia dell’imbarco sul Northumberland che lo avrebbe condotto a Sant’Elena, dove il prigioniero Bonaparte non ebbe notizia della sua scomparsa alla giovane età di 31 anni, che peraltro si era tentato di fargli avere. Rimasta sola, Maria si unì in seconde nozze nel 1816, sposando Philippe Antoine d’Ornano, cugino di Napoleone e Generale della «Grande Armèe», ma il matrimonio non ebbe fortuna per la morte della stessa Maria.

4 Alessandro Giuseppe Colonna Walewski (1810-1868) fu impegnato nella sollevazione polacca del 1830 e combatté in Algeria nelle file della Legione Straniera. Fu giornalista e scrittore di buona fama; poi, entrato in diplomazia, percorse un’ottima carriera diventando Ambasciatore a Firenze, Napoli, Madrid, e soprattutto a Londra, dove rimase a lungo. Eletto deputato (1865) fu Presidente del Corpo legislativo per un triennio, e nominato principe per decreto del cugino Napoleone III (1866). Scomparso per ictus cerebrale mentre si trovava a Strasburgo, il figlio di Maria e Napoleone ebbe sepoltura nel cimitero parigino di Père Lachaise.

5 Benedetto Croce, Storia d’Europa nel secolo decimo nono, Giuseppe Laterza & Figli, ottava edizione, Bari 1953, pagina 338. Il grande esegeta e pensatore italiano seppe cogliere con singolare, sintetica efficacia le contraddizioni di Napoleone anche per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti dell’Italia, dapprima come «sospirato redentore» e poi quale negoziatore cinico di Campoformido, dove fu certificata la fine di Venezia (Ibidem, pagina 111-112).

(giugno 2021)

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