Pierre Paul Royer-Collard
L’esperienza «dottrinaria» della Restaurazione Francese quale premessa di sviluppo borghese fra tentazioni del «diritto divino» nell’attesa di tempi nuovi

Nella Francia della Restaurazione le tendenze conservatrici, esaltate dalla reazione agli «eccessi» della Rivoluzione, seguiti da quelli dell’Impero Napoleonico, emarginarono la dialettica parlamentare nella cosiddetta «Camera introvabile» acquistando connotazioni radicali nella stagione del «Terrore bianco». Le voci dissenzienti furono poche, ma alcuni moderati s’impegnarono in un movimento politico e culturale che – nonostante lo scarso seguito – avrebbe avuto rilevanza ragguardevole nelle vicende dell’epoca: quello dei «dottrinari».

Nel piccolo gruppo, che si distingueva da una Sinistra molto ridotta, orientata a favore del libero pensiero e di un sistema politico fondato sulla disponibilità di una «Carta costituzionale» ma pur sempre monarchico, e che si sarebbe sinteticamente riconosciuto nelle attese moderate del non meglio definito «juste milieu», la figura più rappresentativa fu, per generale ammissione, quella di Pierre Paul Royer-Collard, un uomo coltissimo nella cui formazione erano intervenute forti divagazioni gianseniste riconoscibili nei ricorrenti spunti di austera intransigenza idonei a mettere in risalto una forte dirittura morale, a tratti affascinante, capace di coniugarsi al meglio con una personalità brillante e faconda.

Royer-Collard, che discendeva da una grande famiglia di proprietari terrieri della Champagne[1], era nato nel 1763 e visse le esperienze della Rivoluzione e dell’Impero senza un apporto partecipativo importante, limitandosi a onorare gli impegni istituzionali. Non era stato insensibile, peraltro, ai grandi principi di libertà e di uguaglianza e non aveva condiviso il progetto assolutista di Napoleone, tanto da accettare l’incarico di Consigliere Segreto di Luigi XVIII durante gli anni di «emigrazione» della Monarchia legittima.

Pur essendo molto ascoltato, non fu un leader carismatico nel senso tradizionale della parola, se non altro per l’inconsistenza quantitativa del suo gruppo; né si fece suggestionare da esperienze sostanzialmente assolutiste come quelle di Robespierre o di Bonaparte, ma ebbe un ruolo notevole nella formazione di una volontà «politica» in cui seppe attenuare talune pregiudiziali della maggioranza «ultra» sia pure nei limiti derivanti dalla struttura oligarchica delle forze governative e della stessa opposizione. E la «leadership» del gruppo dottrinario, sia intellettuale sia politica, fu innegabilmente sua.

I 15 anni che intercorrono fra la Restaurazione di Luigi XVIII e la caduta di Carlo X, compresi fra il 1815 e il 1830, furono importanti, e alla fine decisivi in un lungo e aspro confronto per l’affermazione dei nuovi diritti attraverso le moderne garanzie costituzionali.

L’apporto di Pierre Paul Royer-Collard alla maturazione di questa consapevolezza, oggi ovvia ma obiettivamente difficile nella sua epoca, è stato importante e sempre incisivo: pronto all’intervento nel dibattito parlamentare, orientato a battersi per la soluzione «giusta» dei problemi politici, fu coerente nelle scelte, spesso non condivise dalla maggioranza, a favore delle libertà di pensiero, di stampa e di culto, dell’uguaglianza giuridica, della pubblica moralizzazione[2] e dello stesso decentramento amministrativo. Senza essere un liberale nel senso più moderno del termine, fu quindi ben attento all’osservanza dei valori «non negoziabili».

È da mettere in luce con particolari attenzioni il suo impegno per la libertà religiosa, tanto più ragguardevole in un uomo di sicura fede e di stretta osservanza cattolica. Ne costituisce un esempio, fra gli altri, l’intervento rivolto alla depenalizzazione del sacrilegio: un reato gravissimo che durante la Restaurazione avrebbe potuto condurre al patibolo. Insomma, l’ossequio all’Altare non ha impedito, in Royer-Collard, la maturazione di una coscienza laica pronta a riconoscere il ruolo di Cesare accanto a quello di Dio.

Il distacco dagli eccessi rivoluzionari e dalle tentazioni imperiali era presente nella sua intuizione di una società civile che non avrebbe potuto riconoscersi nell’Antico Regime e tanto meno nell’esperienza bonapartista, bensì nel bisogno di una nuova libertà, sia pure improntata alla prudenza, la cui codificazione fosse statuita nella Carta costituzionale.

Royer-Collard non comprese che l’opposizione ai privilegi aristocratici e le dichiarazioni di fedeltà nei confronti della Corona di diritto divino non potevano ragionevolmente coesistere: il sistema della Restaurazione doveva contare sull’appoggio della Destra ultra-realista e limitare, alla luce di questo supporto, ogni potenziale apertura «democratica» non senza prevenire conati rivoluzionari tutt’altro che spenti, come avrebbero dimostrato le Giornate del 1830 e l’avvento di Luigi Filippo.

Nelle suggestioni legittimiste di Royer-Collard compare un tema che con qualche approssimazione si potrebbe definire di classe, intesa nel significato di appartenenza a precisi aggregati economici e sociali, di consapevolezza del suo censo, e della condivisione dei suoi interessi. Non a caso, il leader dottrinario coglie nella classe media il fatto nuovo della politica francese e vi percepisce aspetti di «potenza» irreversibile, precisando che la democrazia, intesa quale antitesi dell’aristocrazia, si sostanzia nel progresso borghese fino al punto di competere positivamente, almeno in linea di fatto, con la classe superiore.

La fedeltà al binomio del Trono e dell’Altare, che sarebbe stata riferimento irrinunciabile di tutta una vita, resta un valore legato alla formazione religiosa, oltre che alle vecchie tradizioni d’intransigenza rigorista, ma non impedisce a Royer-Collard di teorizzare il fondamento della nuova società sulla scorta di un’uguaglianza giuridica cui non corrisponde un’omogeneità sostanziale in via di fatto, considerando che bisogna tenere conto delle «differenze di interessi e delle situazioni sociali derivanti da superiorità di ogni genere: gloria, nascita, proprietà, ricchezza». Parole chiare, da cui emerge una valutazione autoreferenziale del proprio «status» che contraddice l’assunto liberale di base, ma si spiega con l’opportunità di non dissociare le attese dell’aristocrazia da quelle di una classe media in prepotente ascesa.

Ciò posto, diventa facile trasferire il privilegio borghese alla sfera istituzionale e consolidarlo nella garanzia di ordine e di stabilità in cui risiede la chiave del conservatorismo dottrinario: la difesa dell’uguaglianza è appassionata fino a quando non compromette i privilegi del potere, compreso quello economico. Va aggiunto, peraltro, che le preoccupazioni di Royer-Collard diventarono paradossalmente più accentuate dopo la rovinosa caduta dei Borboni di Francia, manifestando, sia negli interventi alla Camera, sia nelle tante lettere conservate a perenne testimonianza di una forte personalità etica e politica, l’ansia per un futuro condizionato da suggestioni eversive, velleitarie ma frequenti.

La sua intuizione, in effetti, è di notevole lucidità, e per taluni aspetti di valenza profetica: il secolo XIX sarebbe stato quello della rivoluzione industriale e del predominio borghese, e che avrebbe visto l’avvento del socialismo in una dialettica politica più ampia e complessa.

Royer-Collard intravvede le particolari inferenze «sovversive» che avrebbero posto in discussione i fondamenti del predominio borghese, sostitutivo di quello nobiliare, avvertendo il bisogno prioritario di tutelare la situazione in essere. La stessa difesa della legittimità s’inserisce in tale ottica, perché la caduta delle prerogative reali avrebbe comportato, come corollario, quella dell’illusione dottrinaria e della stessa idea di rappresentanza, legata alla Monarchia e, con essa, alla Carta.

Il suo pensiero, contrariamente a quanto si potrebbe supporre in una visione di approccio, non è rivolto al passato ma tende all’avvenire; tuttavia, le sovrastrutture derivanti dall’educazione, dall’esperienza politica e dalla consapevolezza del rischio di nuovi sommovimenti non giovano alla chiarezza e danno luogo a diverse ritrosie nei confronti dell’azione responsabile, all’insegna di una psicologia complessa dove la vecchia pregiudiziale giansenista finisce per indulgere a tentazioni di sofferto perfezionismo teleologico e, quindi, a soluzioni attendiste.

La Restaurazione non lasciava spazio ai partiti, sia pure in senso ideologicamente e funzionalmente circoscritto, ma dopo la prima fase di forte orientamento reazionario non fu aliena dal consentire la formazione di due movimenti che inducevano una limitata dialettica politica: da una parte, la forte maggioranza ultra-realista in cui l’accettazione provvisoria della Carta non escludeva di azzerare «in toto» l’opera della Rivoluzione, e dall’altra gli spiriti indipendenti, favorevoli a garanzie costituzionali che permettessero di ricostruire lo Stato sulla base dei nuovi principi di libertà.

Fra questi due movimenti si sarebbe inserito, per l’appunto, quello dei «dottrinari», avversario di reazioni e rivoluzioni, convinto del valore «immutabile» della Carta e deciso a conservare i diritti della classe media senza escludere possibili provvedimenti eccezionali in caso di emergenza. Si può dire che il «partito» di Royer-Collard fosse di carattere centrista, anche alla luce del suo difficile tentativo di riconciliazione nazionale. Non esistevano vincoli di scuderia a comportamenti ufficiali ma un atteggiamento comune, sia pure con sfumature diverse, nei confronti di problemi essenziali, a cominciare da quello della sintesi fra legittimismo e libertà.

Parlare di pluralismo nella Francia della Restaurazione è certamente arduo, ma il sistema politico, nonostante le pregiudiziali ultra-realiste, non era più quello dell’Antico Regime. Ciò, grazie alla presenza di una nuova dialettica in cui permanevano taluni spunti innovativi di matrice rivoluzionaria e napoleonica (basti pensare alla grande riforma del momento giuridico); e nello stesso tempo, grazie alla presenza di chi, come i dottrinari, intendeva portare nella vita civile il ruolo di una ragione moderata, lontana da ogni eccesso, e come tale, idonea a promuovere, se non altro, il confronto su alcuni grandi problemi, e sulle loro possibili soluzioni.

I dottrinari non erano molti: come fu detto in chiave garbatamente critica, se non anche ironica, erano quattro, ma si vantavano di essere tre, sembrando impossibile che potessero esistere quattro teste di cotale forza, mentre altre volte, quando volevano spaventare gli avversari, si vantavano di essere cinque!

Gli esponenti in vista appartenevano a classi diverse ma comunque «superiori»: il duca Albert de Broglie, espressione della nobiltà, rappresentava il movimento alla Camera dei Pari, mentre Jean Mounier e Camille Jordan venivano dal mondo rivoluzionario, Hector de Serre da quello militare, Prosper de Barante e Stephane Pasquier da quello dei pubblici funzionari che avevano servito Napoleone. Ne fecero parte, infine, intellettuali come François Pierre Guizot e più tardi Adolphe Thiers.

Il collante del gruppo, garantito da non indifferenti mezzi finanziari che gli assicuravano una ragguardevole autonomia strategica, non era un’idea ma un’atmosfera: paradossalmente, mancava un sistema politico che potesse tradursi in «dottrina» tanto da porre il problema di «inventarne» una secondo le circostanze e le convenienze, alla stregua di una condivisa duttilità politica.

Le moderne involuzioni partitocratiche erano ben lontane, lasciando margini notevoli all’azione personale, e la stessa «leadership» di Royer-Collard non ebbe uno specifico contenuto ideologico, mentre trasse apprezzabili motivi di accoglimento e di condivisione, nell’ambito di tutto il gruppo, da valori come l’alto senso dello Stato e la dirittura morale, assieme alla straordinaria eloquenza.

Dopo la Rivoluzione «gloriosa» del luglio 1830, il ruolo del movimento dottrinario fu notevolmente ridimensionato sin quasi a scomparire, tanto che lo stesso Royer-Collard si sarebbe definito un sopravvissuto, pur continuando a partecipare alla vita pubblica e parlamentare con impegno ridotto ma con unanime rispetto[3], rimanendo fedele al principio legittimista ma accettando le implicazioni liberali e quelle «borghesi» del nuovo regime politico espresso dalla Monarchia Orleanista.

Quella di Royer-Collard fu una parabola di esperienze straordinarie, e per qualche aspetto, assolutamente eccezionali, acquisite durante la Rivoluzione, l’Impero e la Restaurazione: sempre all’insegna del «juste milieu» e della moderazione[4], nella forte salvaguardia dell’ortodossia religiosa ma con frequenti concessioni alla morale borghese. In ogni caso, fu una parabola sofferta, uno spirito nobile, un esempio importante di arduo «contemperamento» fra interesse politico e valori etici. Nello stesso tempo, fu la conferma di quanto possa essere importante il ruolo di minoranze, sia pure di scarsa consistenza quantitativa, ma di alto livello spirituale[5] come quella dei «dottrinari» nella difficile stagione della Restaurazione Francese.


Note

1 Pierre Paul Royer-Collard (Sompuis, 21 giugno 1763-Chateauvieux, 2 settembre 1845) ebbe i natali dall’uomo d’affari Antoine Royer e dalla religiosissima Angélique Collard, e la prima educazione per opera precipua dello zio, Padre Paul Collard, poi proseguita nel Collegio di Saint Omer e quindi in Belgio, tra Bruges e Liegi. Ebbe quattro figli, due dei quali scomparsi in tenera età, con un dolore proseguito per tutta la vita. Avvocato dal 1787, con iniziali simpatie rivoluzionarie, dapprima quale Segretario del Comune di Parigi e poi quale membro del Consiglio dei Cinquecento, decadde per opera di Napoleone. Poi, fu costante protagonista in campo politico e culturale, dapprima quale «Consigliere segreto» della Monarchia in esilio (fino al 1804), ma nello stesso tempo come docente di storia e filosofia alla Sorbona, rifiutando il materialismo e lo scetticismo di Condillac e ispirandosi alla teoria conoscitiva di Thomas Reid. In seguito fu lungamente parlamentare (1815-1842), presidente della Commissione per l’Istruzione pubblica, membro a vita dell’Accademia sin dal 1827, e massimo esponente del movimento «dottrinario» mettendo in luce, sia alla Camera, sia attraverso la stampa, un atteggiamento generalmente moderato, in antitesi a quello della maggioranza ultra-realista, ma non senza manifestazioni di ricorrente rigorismo. Nel 1830, dopo essere stato scelto da Carlo X quale Presidente della Camera, fu estensore e presentatore del celebre «indirizzo dei 221» con cui prese posizione contro la nomina di Jules de Polignac quale Primo Ministro, concausa scatenante della Rivoluzione di luglio. Pur essendo fautore di una Monarchia limitata da un sistema di garanzie costituzionali, dopo l’avvento di quella orleanista rimase fedele al legittimismo borbonico, assumendo un atteggiamento riflessivo e progressivamente distaccato, ma non senza nuove manifestazioni della sua straordinaria capacità oratoria. Appartengono a tale ultima epoca, fra l’altro, la benevola amicizia con Aléxis de Tocqueville e quella con Talleyrand, tanto più degna di nota viste le profonde differenze fra il pragmatismo del Visconte e la profonda dirittura morale dell’esponente dottrinario, ma favorita dalla residenza preferita dello stesso Talleyrand nel castello di Valençay, pressoché contigua a quella di Sompuis che continuava a costituire il «buen retiro» di Royer-Collard. Nel 1913, a due terzi di secolo dalla scomparsa, uscirono i Fragmenta philosophiques quale attestazione di un’attenta capacità riflessiva, mentre il suo pensiero era già stato oggetto della monumentale ricostruzione di un altro protagonista del movimento dottrinario: Prosper de Barante, La vie politique de M. Royer-Collard: ses discours et ses écrits, 2 volumi, Didier et Cie, Paris 1861, oggi disponibile per i tipi di Legare Street Press, 2023. Conviene aggiungere che la fede cattolica di Royer-Collard rimase salda per tutta la vita, nell’ambito di un distacco sereno e altrettanto convinto dalle simpatie «ultramontane», vale a dire vaticane, e di una sostanziale vicinanza a quelle «gallicane» pur nell’ovvio riconoscimento dell’autorità pontificia.

2 La genesi e l’evoluzione dell’idea di libertà nel pensiero di Royer-Collard sono state oggetto di utili attenzioni anche da parte della storiografia idealistica italiana. In questo senso, un riferimento di carattere prioritario compete all’opera di Benedetto Croce, Storia d’Europa nel secolo decimo nono, Giuseppe Laterza & Figli, ottava edizione, Bari 1953, 364 pagine. Ciò, con riguardo specifico ai 15 anni della Restaurazione «pura» quando nel suo pensiero emerse «la piena consapevolezza di quel che il liberalismo fosse e volesse, e delle sue differenze da quel che gli altri sistemi erano e volevano» fino al punto da doversi riferire al movimento dottrinario come realtà di carattere «efficace e creativo», degna di ogni gratitudine per la sua capacità di «sostener la restaurazione combattendo la reazione» (Ibidem, pagine 98-99). Al contrario, dopo l’avvento di Luigi Filippo i dottrinari superstiti si «erano raffreddati ed estenuati» anche se Royer-Collard «non si rassegnava alle cose che vedeva e accusava gli scaltri attacchi contro la libertà, la scuola che si era aperta d’immoralità, la politica destituita di ogni «grandeur» e il sonno senza sogno, in cui era immersa la Francia» (Ibidem, pagina 159). Ecco un’efficace sintesi della parabola che avrebbe caratterizzato l’evoluzione storica del gruppo dottrinario, dalle origini alla sostanziale scomparsa in una forma di liberalismo più maturo e «democratico».

3 Gli apprezzamenti pubblici per la figura di Royer-Collard sono stati sempre ragguardevoli, anche a prescindere dalle tante referenze bibliografiche. Fra i tanti, si può ricordare che nel 1820 il grande pittore Théodore Géricault gli avrebbe dedicato un quadro rimasto di riferimento nell’iconografia tradizionale del personaggio; che il Comune di Vitry-le-François, nel cui distretto si trova il villaggio nativo di Sompuis, lo avrebbe onorato con una statua sulla pubblica piazza, mentre la Municipalità di Parigi gli fece omaggio di un’intitolazione toponomastica nel Quinto Arrondissement.

4 Nell’opposizione dottrinaria al «soverchio» razionalismo illuministico, e specialmente in quella di Royer-Collard, accanto alle pregiudiziali religiose non mancarono spunti di natura romantica, donde la piena rottura con la Rivoluzione, che dell’illuminismo era figlia. Di qui ebbe origine un sostanziale avvicinamento a posizioni più vicine a quelle molto conservatrici, e talvolta reazionarie, di Joseph de Maistre, Louis de Bonald e François René de Chateaubriand, sempre in prima linea nella tutela delle suddette pregiudiziali e, quindi, dell’Antico Regime (AA.VV., Dizionario di filosofia, parte seconda. Problematica – Metafisica e logica – Storicismo, Edizioni di Comunità, Milano 1957, pagina 475).

5 L’esperienza etico-politica di Royer-Collard e del movimento «dottrinario» che trasse ispirazione dalle sue lezioni di vita e di pensiero ha lasciato una traccia duratura, di cui sono testimonianza gli studi dedicati alle sue riflessioni, proseguiti dall’Ottocento al nuovo millennio, con importanti approfondimenti «in successione». In effetti, si è trattato di un «quid novi» ravvisabile nella singolare capacità di «contemperare» – come avrebbe detto Giovanni Botero – i valori della morale cattolica con quelli di una sana gestione della cosa pubblica, in cui l’intransigenza in materia di probità amministrativa poteva coesistere con prudenti aperture verso maggiori responsabilità interclassiste. In effetti, Royer-Collard rimase fedele all’Antico Regime dei Borboni di Francia, rinunciando alla collaborazione attiva con la Monarchia Orleanista, e ai vantaggi che avrebbe potuto trarne, ma nello stesso tempo, senza manifestare una vera opposizione, e non senza un sostanziale lealismo. Da questo punto di vista, è lecito affermare che si sarebbe trattato di una catarsi all’insegna di scrupoli, e quindi di sofferenza, sublimati nel senso dello Stato e della sua continuità istituzionale volta a perseguire il «bene comune». In ogni caso, la minoranza «dottrinaria» ebbe un ruolo importante nella difesa della Carta, che divenne una realtà innovatrice, se non altro formalmente, e comunque idonea a proporsi come divergenza fondamentale dall’Antico Regime antecedente la grande Rivoluzione, e nello stesso tempo, a promuovere gli sviluppi liberali e democratici del medio e lungo termine.


Bibliografia essenziale

L’esperienza politica del gruppo «dottrinario» è stata matrice di parecchi approfondimenti – soprattutto della storiografia francese – per la maggior parte datati, nell’intento prioritario di attestarne, con particolare riguardo al Royer-Collard che ne fu l’esponente più rappresentativo, il percorso di non facile equilibrio durante epoche di forti contrasti, come la Rivoluzione, l’Impero Napoleonico, la Restaurazione dell’Antico Regime, e la nuova Monarchia Orleanista fondata sull’assunto – per quell’epoca certamente rivoluzionario – di «Dieu et Liberté»: il celebre motto che distingueva «Avenir» quale organo d’informazione indipendente venuto alla ribalta dopo la caduta di Carlo X, e destinato a esprimere una svolta importante nel ruolo della stampa.

Fra le opere relativamente più recenti, una monografia di utile sintesi anche bibliografica è quella a firma di Roger Langeron, Un Conseiller secret de Louis XVIII: Royer-Collard, Librairie Hachette, Paris 1956, 256 pagine. A prescindere dal titolo apparentemente riduttivo, riassume vita e pensiero del leader dottrinario dalle prime esperienze gianseniste a quelle «segrete» del tempo imperiale, al ruolo innovatore esercitato non senza difficoltà durante la Restaurazione, e per finire, a quello, ormai sotto traccia e comunque influente, in cui si sarebbe impegnato nella nuova stagione «liberale».

In ordine cronologico, quale ultimo apporto alla bibliografia in questione è da segnalare il contributo di Corinne Doria, Pierre Paul Royer-Collard: un philosophe entre deux Révolutions, con prefazione di Philippe Boutry, Presses Universitaires, Rennes 2018, 276 pagine. Analogamente, fra i contributi della stessa Autrice, si veda anche la recente edizione di Pierre Paul Royer-Collard, Textes philosophiques et psychologiques, a cura di Corinne Doria, Edizioni L’Harmattan, Paris 2013, 264 pagine. Nella fioritura di questi nuovi studi del terzo millennio, non è mancato un apporto della storiografia italiana, che non è stata aliena dalla «scoperta» del pensiero e della figura del vecchio leader «dottrinario»: in questo senso, un buon esempio appartiene anche ad Alessandra Petrone, Royer-Collard. Il Governo attraverso la Charte, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017, 121 pagine.

Per un inquadramento specifico, relativo al tempo storico della Restaurazione, e del successivo regno di Casa Orléans, è sempre utile, fra quelli del Novecento, il testo di Jules Bertaut, Le retour à la Monarchie (1815-1848), Librairie Fayard, Paris 1943, 280 pagine, con riassunto cronologico dei maggiori eventi che ebbero luogo con Luigi XVIII, Carlo X e Luigi Filippo. Fra le opere datate è da menzionare, altresì, quella di Emile Faguet, Politiques et Moralistes du dix-neuvième siècle, Lecene Oudin et Cie, Paris 1891, oggi disponibile nella nuova edizione elettronica, Universitè de Sourbonne, Paris 2015.

Un’analisi del quindicennio intercorso tra il 1815 e il 1830, che vide la massima partecipazione del Royer-Collard alla vita pubblica e la sua maggiore incidenza sulle vicende politiche dell’epoca, infine, è quella di G. de Bertier de Sauvigny, La Restauration, Ed. Ernest Flammarion, Paris 1955, 654 pagine (con sintesi cronologica e con un’ampia nota bibliografica). Nella medesima prospettiva storiografica di carattere generale, importanti riferimenti sono disponibili, «passim», nell’opera di Georges Weill, L’éveil des nationalitès et le mouvement liberal (1815-1848), collana Peuples et Civilisations, Alcan, Paris 1930; in quella di Dominique Bagge, Les idées politiques en France sous la Restauration, Presses Universitaires de France, Paris 1952; e anche in Stuart J. Woolf, L’Illuminismo e il Risorgimento – La storia politica e sociale, Giulio Einaudi Editore / Il Sole-24 Ore, in «Storia d’Italia», volume sesto, Milano 2005, pagine 262-263 (con riferimenti specifici al ruolo di Royer-Collard).

(gennaio 2014; ripubblicato: aprile 2024)

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