Atene: libertà e democrazia, ma... non per tutti
La città che aveva un grandissimo culto per la libertà e sviluppò il più antico sistema «democratico» che si conosca, ebbe in realtà una vita tormentata, disseminata di lotte, crudeltà ed oppressioni

Cominciamo con un aneddoto, narratoci dallo storico greco Erodoto (V secolo avanti Cristo): «Un giorno il vecchio Solone, il grande legislatore ateniese, capitò alla corte del ricchissimo Re Creso. Questi gli mostrò gli enormi tesori che custodiva nel suo palazzo; poi, gli domandò: “Chi credi che sia l’uomo più felice della Terra?”. Il saggio ateniese rispose che, secondo lui, l’uomo più felice ch’egli avesse conosciuto era un certo Tello, un comune cittadino di Atene. E a Creso che lo guardava meravigliatissimo spiegò così: “Penso che Tello sia stato un uomo felice perché nacque e visse in una repubblica bene ordinata, ebbe belli e buoni figlioli, campò una vita serena ed ebbe una fine gloriosa, poiché morì sul campo di battaglia”».

Questo aneddoto ci mostra non solo la saggezza di Solone, ma anche quale fosse, per un Ateniese dell’antichità, l’aspirazione più grande: vivere in un Paese libero e ben ordinato.

Ma una méta come questa non si può raggiungere in breve tempo: sono sempre necessarie, purtroppo, lunghe lotte fra gli stessi cittadini, poi molti uomini di grande intelligenza e di mente saggia, ed infine, soprattutto, occorre che tutti i cittadini si interessino attivamente alla vita pubblica. Solo in questo modo potranno impedire che un tiranno si impadronisca del potere. Per prevenire il pericolo dell’indifferenza alle questioni politiche, ad Atene esisteva una legge che stabiliva che chi non parteggiava per alcun partito perdeva i diritti civili e la stessa cittadinanza.

Agli inizi, Atene era governata da un Re. Non si sa il nome del primo di questi Sovrani, né l’epoca in cui visse. Si conosce invece il nome dell’ultimo, Codro, vissuto verso l’VIII secolo avanti Cristo. La leggenda gli attribuisce una fine gloriosa: essendo la città minacciata dai Dori del Peloponneso, l’Oracolo di Delfi predisse che la vittoria avrebbe arriso a quel popolo il cui Re fosse morto in battaglia. Il valoroso Codro pensò allora di sacrificarsi volontariamente per amore della sua città: si introdusse nel campo nemico e, fingendosi un semplice soldato, riuscì a farsi uccidere.

Atene vinse, ma da allora non fu più una monarchia: col pretesto che un Re bravo come Codro non lo avrebbero più trovato, i cittadini più ricchi della città non elessero alcun successore, e trasformarono il governo di Atene in una repubblica.

Si trattava non di una repubblica come saremmo portati a pensare, bensì di un’oligarchia, parola che significa «governo di pochi» (gli Ateniesi la chiamavano «governo dei grassi»): il governo della città era infatti affidato ad un gruppo privilegiato di cittadini ricchi, chiamati «eupatrìdi», cioè «ben nati». Gli eupatrìdi sceglievano fra di loro nove amministratori dello stato, gli «arconti», e i membri dell’«areopàgo», un’assemblea che amministrava la giustizia; ma, siccome non c’erano leggi scritte, costoro amministravano lo stato e la giustizia secondo i propri interessi. Tutti gli altri, commercianti, artigiani, marinai, contadini, non avevano il minimo potere.

L’incarico di preparare una legge scritta che impedisse agli eupatrìdi di fare e disfare, di condannare o di assolvere secondo il loro capriccio, fu affidato all’arconte Dracone, che compilò così il primo codice scritto di Atene. Egli, però, non fece altro che fissare per iscritto i sistemi di governo e le pene severissime, che spesso sfociavano nella crudeltà, che gli eupatrìdi avevano adottato fino ad allora: così, anziché arrecare un vantaggio alle classi più povere, le leggi di Dracone servirono solamente a confermare i privilegi dei ricchi.

Il primo vero passo verso la democrazia venne compiuto per merito di un altro arconte, il saggio e coltissimo Solone. E siamo già nell’anno 594 avanti Cristo. Per risolvere il problema di dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare al governo della città, Solone stabilì che tutti loro, indistintamente, riuniti in un’assemblea chiamata «ecclesía», avevano il diritto di approvare o meno le leggi. I cittadini, però, erano divisi in quattro classi, a seconda della loro ricchezza, e solo quelli delle prime due classi (i «pentacosiomedimni» e i «cavalieri») potevano aspirare alle cariche pubbliche, con l’elezione ad arconti o areopagiti; gli altri, gli «zeugiti» e i «teti», ne erano automaticamente esclusi. Ma tutti, e questa era una grande innovazione, potevano passare nella classe superiore, solo che fossero riusciti, col lavoro, ad aumentare i propri averi. Era questo un notevole avanzamento verso la democrazia, anche se non proprio l’ideale perché, in definitiva, per accedere al governo bisognava nascere ricchi o riuscire a divenirlo. Pertanto, la riforma di Solone lasciò ancora del malcontento fra i cittadini.

Le discordie e le lotte intestine tra gli Ateniesi portarono la città sull’orlo della guerra civile. Di questa situazione di disordine generale approfittò un uomo abile ed energico per impadronirsi del potere: si chiamava Pisìstrato e per più di trent’anni, dal 561 al 528 avanti Cristo, rimase il padrone assoluto della città. Fortunatamente si rivelò un governante saggio, preoccupato del bene dei propri concittadini: confiscò le terre a chi ne aveva troppe e le distribuì agli agricoltori, diede grande sviluppo ai commerci marittimi ed abbellì la città di palazzi, acquedotti, strade. Ma, come sempre accade al termine di una dittatura con la morte di colui che l’ha fondata, la situazione precipitò nel caos: i figli di Pisìstrato divennero entrambi crudeli tiranni; uno di essi venne assassinato e l’altro fu costretto a fuggire da Atene.

Per ristabilire l’ordine si tornò alla vecchia costituzione di Solone. Nel frattempo, però, con la prosperità della città il «ceto medio» formato da artigiani e commercianti era molto cresciuto di numero e di importanza; esso pretendeva quindi una maggiore rappresentanza negli organi politici. Per accontentarlo fu necessario apportare delle modifiche alla costituzione di Solone. Questa nuova riforma fu attuata dall’arconte Clìstene nel 508 avanti Cristo. Di massima importanza fu l’abolizione delle classi stabilite secondo la ricchezza; le 10 tribù nelle quali fu suddivisa la popolazione ateniese, infatti, comprendevano cittadini di ogni categoria. Finalmente a tutti i cittadini venivano date le stesse possibilità di ascendere alle più alte cariche dello stato.

Dopo secoli di lotte, Atene era divenuta la prima «democrazia» (parola che significa «governo del popolo») nella storia dell’uomo. Quasi un quinto dei 40.000 cittadini ateniesi maggiorenni si alternava nelle cariche di giudice, pubblico ufficiale e membro dell’assemblea; ogni funzionario restava in carica un anno, cosicché si poteva essere generale un anno, e soldato semplice l’anno successivo. Si estraevano a sorte 500 consiglieri, incaricati di preparare i progetti da discutere in assemblea e di sorvegliare l’operato dei funzionari. Sempre a sorte si estraevano 6.000 giudici, che formavano giurie incaricate di ascoltare e giudicare le contese tra i cittadini: ogni giorno si sorteggiavano i giudici di turno, che sedevano nelle udienze in gruppi da 301 a 1.001; non esistendo gli avvocati, i cittadini provvedevano di persona alla propria difesa, a volte pagando degli scrittori perché vergassero per loro i discorsi da tenere in tribunale, e c’era anche chi arrivava a portare in tribunale i figli vestiti di cenci per accattivarsi la simpatia dei giudici. I funzionari comprendevano 10 generali, 10 arconti scelti per sorteggio per provvedere alle feste e all’amministrazione della giustizia, e circa 1.000 funzionari minori.

Chiunque poteva diventare, almeno una volta, consigliere, giudice o funzionario. Ma anche quando non era in carica come pubblico funzionario, l’Ateniese prendeva parte al governo attraverso l’assemblea: era infatti l’assemblea, alla quale partecipavano ogni mese tutti i cittadini, che governava veramente lo stato, e tutti sapevano se una carica di governo veniva esercitata bene o male perché il titolare di questa carica doveva rispondere del proprio operato all’assemblea. I generali e i funzionari non potevano fare la guerra o riscuotere le tasse, mutare le leggi o spendere i soldi dello stato, senza l’approvazione dell’assemblea. Questa partecipazione reale e diretta al governo di tutti i cittadini è ovviamente possibile solo in una città-stato, mentre gli stati moderni sono così vasti, da rendersi necessario che i cittadini votino dei rappresentanti che discutano e legiferino al loro posto.

Gli incarichi statali non richiedevano che il cittadino dedicasse loro tutto il suo tempo: la maggior parte degli Ateniesi aveva una fattoria o una bottega artigiana propria, e così poteva lasciare il lavoro quando ce n’era bisogno. Un tale metodo di governo funzionava solo perché le persone sentivano che aiutare a dirigere lo stato era importante quanto il loro lavoro, e perché era ritenuto uno stolto chi non si interessava degli affari pubblici.

Questo però non deve trarre in inganno facendoci pensare ad una sorta di «paradiso della sana politica»: nonostante Atene fosse una democrazia, la maggior parte della sua popolazione non partecipava al governo della città. Le donne, gli stranieri e gli schiavi non erano considerati cittadini, e quindi non potevano votare. Questa situazione non mutava mai: per esempio, se veniva liberato, uno schiavo poteva possedere una bottega o servire nell’esercito, ma non diventava un cittadino; una schiava poteva sposare il suo padrone innamoratosi di lei, ma i suoi figli non avrebbero avuto lo status di cittadini. La situazione era la stessa in tutte le altre città-stato democratiche della Grecia: perché, a quel tempo, la libertà e la democrazia erano per alcuni... non per tutti.

(gennaio 2017)

Tag: Simone Valtorta, Atene, Grecia antica, città-stato, polis, democrazia, Erodoto, Creso, Solone, Codro, Oracolo di Delfi, oligarchia, Ateniesi, eupatrìdi, arconti, areopàgo, Dracone, ecclesía, pentacosiomedimni, zeugiti, teti, Pisìstrato, Clìstene, democrazia ateniese.