La Chiesa nella Seconda Repubblica Spagnola
L’instaurazione della Repubblica fu accompagnata da una forte ostilità verso i Cattolici

La Seconda Repubblica Spagnola, nata in seguito ad una consultazione nel 1931 che vide la sconfitta di Re Alfonso XIII, ebbe breve durata a causa dei numerosi conflitti interni che scaturirono negli anni della sua esistenza, e che sarebbero culminati con lo scoppio della Guerra Civile. Una delle cause di maggiore instabilità fu dovuta al feroce anticlericalismo verificatosi negli anni ’30, che sfociò anche con azioni violente verso sacerdoti e luoghi di culto[1].

L’ostilità verso il clero era dovuta in gran parte allo stretto rapporto che era intercorso tra la Chiesa e la Monarchia, ma sarebbe tuttavia errato pensare che lo scontro tra la Santa Sede e il nuovo Governo Spagnolo, insediatosi dopo la partenza del Re Alfonso XIII, fosse inevitabile: Papa Pio XI non ebbe infatti alcuna difficoltà a riconoscere la creazione della Repubblica, e fece anche sapere di essere disposto ad effettuare una revisione del concordato. Anche il quotidiano «El Debate», che esprimeva le posizioni della Chiesa, si mostrò conciliante, scrivendo: «Questo è il regime politico che noi dobbiamo accettare lealmente e col quale dobbiamo collaborare»[2].

Più complessa era la posizione dei Vescovi Spagnoli che si divideva tra chi era favorevole ad una collaborazione come l’Arcivescovo di Taragona, Vidal i Barraquer, e chi invece si opponeva fermamente al nuovo Governo come l’Arcivescovo di Toledo, Pedro Segura. Quest’ultimo verrà espulso dal Paese dopo aver fatto infuriare il Governo con una lettera pastorale dove elogiava pubblicamente il precedente Sovrano, ma la Santa Sede acconsentì alla sua espulsione e fece pressioni affinché il Cardinale desse le dimissioni.[3]

Lo scontro iniziò quando il Governo Repubblicano cominciò a legiferare una serie di normative anticlericali che alienarono la simpatia di quei settori cattolici che non erano maldisposti verso il nuovo stato. Il conflitto nacque fin dal momento in cui venne stesa la Costituzione: l’articolo 26, che riguardava la separazione tra Chiesa e Stato, imponeva la cancellazione dei fondi per il culto e lo scioglimento delle congregazioni religiose che richiedevano un voto di obbedienza al Papa. L’adozione di questo articolo ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica cattolica che l’interpretò come un attacco aperto alla Chiesa. La legislazione anticlericale si ampliò nei mesi seguenti arrivando ben oltre la normale laicità: il 16 gennaio del ’32 i maestri furono obbligati a togliere i crocifissi dalle scuole, il 24 venne sciolta la Compagnia di Gesù, il 6 febbraio vennero laicizzati i cimiteri e il 17 maggio 1933 le Cortes approvarono una legge che sottoponeva la celebrazione del culto cattolico al controllo delle autorità civili.[4] Vennero anche nazionalizzate le proprietà della Chiesa, imposta una tassazione al clero per il loro usufrutto e chiuse le scuole religiose.

A surriscaldare ulteriormente gli animi furono anche delle violente manifestazioni organizzate dagli anarchici a Madrid e in altre città, nel maggio del ’31, durante le quali vennero saccheggiate o bruciate circa un centinaio di proprietà ecclesiastiche, senza che il Governo o le forze di polizia intervenissero a porvi fine o ad arrestare i responsabili con la motivazione, secondo la frase attribuita al Presidente Manuel Azaña, che «tutti i conventi di Madrid non valgono la vita di un repubblicano». Lo stesso Azaña ebbe inoltre a dichiarare che «la Spagna aveva cessato d’essere cattolica». È importante ricordare che le leggi anticlericali finirono spesso per colpire i più poveri: la Chiesa, ad esempio, era responsabile dell’istruzione del 20% dei bambini spagnoli e il Governo cercò di imporre la chiusura delle scuole religiose, nonostante non fosse in grado di offrire alcuna alternativa laica. I Vescovi protestarono contro queste leggi, e lo stesso Papa intervenne con l’enciclica Dilectissima nobis nella quale, pur ribadendo la sua non ostilità verso la forma repubblicana, evidenziava l’ipocrisia di quei provvedimenti proprio in relazione «a quei principi dichiarati di libertà civile su cui il nuovo regime spagnolo dichiarerà di basarsi»[5].

Una svolta sembrò avvenire nel 1933 quando il Centro-Destra vinse le elezioni, ma l’anno successivo avvenne una breve rivolta nelle Asturie durante la quale si scatenò una feroce persecuzione religiosa: i rivoluzionari proibirono ogni manifestazione di culto, molte chiese vennero bruciate e 34 preti e religiosi furono uccisi. Si moltiplicarono, in quel periodo, anche gli appelli all’assassinio, come quello del foglio socialista «El Obrero» che nel 1935 ribadiva che era «importante che il popolo non dimentichi mai i crimini, le centinaia di migliaia di esseri umani immolati in nome di questa sciagurata religione»; e incitava a seguire i metodi adottati in Messico e in Unione Sovietica[6].

Le violenze contro la Chiesa riapparvero con la vittoria del Fronte Popolare nel 1936 e furono, omicidi di sacerdoti a parte[7], una perfetta prefigurazione della persecuzione che sarebbe accaduta durante il conflitto. Nei pochi mesi che precedettero la guerra, 239 edifici religiosi risultavano distrutti, manifestazioni e commemorazioni religiose vennero proibite dai sindaci o dai governatori per convinzione o per timore di disordini provocati dagli anticlericali, e gli atti vandalici furono spesso tollerati dalla polizia in quanto l’orientamento del potere politico repubblicano, seppur formalmente deprecatorio verso le devastazioni dei luoghi di culto, era improntato a minimizzare le violenze, o persino a mostrarsi comprensivo o compiacente vero i loro autori.

Il Presidente della Repubblica Azaña, insinuava infatti che le violenze contro le chiese non erano altro che una risposta agli attentati effettuati dal terrorismo di Destra; mentre altri esponenti liberali o socialisti deprecavano la distruzione dei luoghi di culto, ma solamente per il semplice fatto che in questo modo si toglieva la possibilità di riconvertirli ad altri usi. La tolleranza, se non compiacenza, verso questi violenti episodi da parte delle massime autorità politiche si dimostrerà una mossa fortemente controproducente, perché finirà per inimicare la massa dei Cattolici che, incolleriti dalla distruzione delle chiese e dalla limitazione del loro esercizio religioso, finirono per passare dalla parte dei nemici della Repubblica[8].

La violenza contro la Chiesa nella Guerra Civile Spagnola non fu perciò un episodio inaspettato, in quanto i sei anni che la precedettero avevano in parte già prefigurato ciò che sarebbe avvenuto durante il conflitto.


Note

1 La violenza anticlericale non fu una novità inaugurata dalla Repubblica in quanto episodi di violenza contro religiosi ed edifici sacri si verificarono già nei decenni precedenti: basta pensare alla «Settimana tragica» di Barcellona del 1909.

2 Si veda l’intervista di Maurizio Fontana allo storico Vicente Carcel Orti, La Chiesa tra le due Spagne, «L’Osservatore Romano», 1° aprile 2009.

3 Il Cardinale Segura, tuttavia, dopo il suo rientro in Spagna in seguito alla vittoria di Francisco Franco, ebbe diversi scontri anche con il Caudillo.

4 Sulle norme anticlericali si veda A. Riccardi, Il secolo del Martirio, Milano 2000, pagina 334.

5 Confronta M. Burleigh, In nome di Dio, Bergamo 2007, pagine 154-156.

6 Citato in B. Bennasar, La guerra di Spagna, Torino 2006, pagina 311.

7 Diciassette sacerdoti furono però uccisi tra la vittoria del Fronte Popolare del febbraio del ’36 e lo scoppio della rivolta a luglio.

8 Confronta Gabriele Ranzato, La grande paura del 1936. Come la Spagna precipitò nella guerra civile, Bari 2011, pagine 214-232.

(agosto 2017)

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