Il caso Stepinac. Un nuovo contributo storico
L’ultimo libro di Pier Luigi Guiducci («Dossier Stepinac. Alojzije Stepinac (1898-1960). Un Arcivescovo tra ustaše, četnici, nazisti, fascisti e comunisti», Albatros, Roma 2018) ci aiuta a far luce su uno dei personaggi più «controversi» del Novecento

Nell’attuale sviluppo di studi sulla figura e l’opera dell’Arcivescovo di Zagabria, Monsignor Alojzije Stepinac (1898-1960), creato Cardinale nel 1953, si colloca questo nuovo lavoro del Professor Pier Luigi Guiducci, docente di storia della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense di Roma. Il testo, preparato nell’arco di più anni, è stato ideato per raccogliere in un unico volume un insieme di dati storici che possono aiutare a leggere un periodo particolarmente critico. Si tratta infatti di «entrare» in anni segnati dalle conseguenze della Prima Guerra Mondiale (terminata nel 1918), dalle vicissitudini del Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (divenuto poi Regno di Jugoslavia), dalle tensioni tra etnie diverse, dai movimenti indipendentistici, dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale (1939), dall’avvento in Croazia del leader degli «ustaše» Ante Pavelić (1889-1959), dalla proclamazione dello Stato Indipendente di Croazia (1941). In realtà questi aspetti costituiscono solo il preludio a vicende particolarmente sanguinose. Infatti, quando Pavelic, con il sostegno del III Reich e del Governo Fascista Italiano, riuscì a controllare la vita pubblica croata, ebbe inizio una serie di eccidi che colpirono non solo gli avversari interni (sostenitori di altre formazioni politiche), ma soprattutto i Serbi (legati al credo ortodosso), gli Ebrei e i Rom.

Tali sanguinose iniziative si articolarono seguendo una serie di obiettivi: l’internamento dei perseguitati (campi di concentramento e di sterminio), le spedizioni punitive, le espulsioni dal territorio croato. Nell’ambito di tale drammatica dinamica si aggiunsero anche decisioni che aggravarono una realtà interna già lacerata dai conflitti. Il regime volle, infatti, «convertire» gli ortodossi al Cattolicesimo. Lo fece in modo duro, scavalcando ogni competenza ecclesiastica di merito. Quando il duce («poglavnik») Pavelić si rese conto dell’errore commesso, optò per un’altra soluzione: la creazione di una Chiesa Nazionale Ortodossa direttamente collegata al regime. Anche questa decisione, comunque, produsse tensioni e conflitti, e non ottenne i risultati sperati.

Il regime di Pavelić crollò nel 1945 per l’incalzare del movimento partigiano fedele al Generale Tito (Josip Broz, 1892-1980), e a motivo delle ripetute sconfitte dell’Asse in più aree del Secondo Conflitto Mondiale. Da questo momento in poi ebbe inizio, anche in terra croata, un regime comunista (Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, divenuta in seguito Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia). Con l’avvento dei comunisti si verificò una serie di avvenimenti che riguardarono: aspetti repressivi nei confronti degli ex nemici e degli oppositori; una nuova pianificazione amministrativa, sociale ed economica; lo sviluppo di un sistema di alleanze o di sinergie con vari Paesi; criticità con la Chiesa Cattolica.

Con riferimento a quest’ultimo punto la storia registra fatti dolorosi. L’Arcivescovo di Zagabria, Monsignor Alojzije Stepinac, venne accusato di collaborazionismo con il precedente regime (quello «ustaša»), e fu anche accusato di aver sostenuto un’opposizione anti-statale al nuovo Governo Comunista. Per questo motivo si arrivò, alla fine, a processarlo. Il presule fu condannato a 16 anni di lavori forzati, e alla privazione dei diritti politici e civili per la durata di cinque anni. In seguito, la prigionia venne tramutata nel domicilio coatto. Stepinac morì nel 1960 per ostruzione di alcuni tratti dell’arteria polmonare causata da trombi mobili (alcuni autori hanno scritto anche su un possibile avvelenamento).

Nel 1998 Giovanni Paolo II (Santo) proclamò Beato il defunto Arcivescovo di Zagabria. L’iter seguito fu quello del riconoscimento del martirio (ciò non richiede la constatazione di un miracolo). Già in tale occasione, diversi esponenti del mondo politico serbo e le autorità della Chiesa Ortodossa manifestarono la loro profonda contrarietà. Ciò fu legato al fatto che Stepinac era ritenuto un collaborazionista del regime «ustaša». Il presule era considerato una persona vicina a Pavelić. Gli venivano addossate molteplici responsabilità, soprattutto quella di non aver fermato gli eccidi delle milizie del regime. Dopo la proclamazione a Beato, la Chiesa Croata proseguì l’iter di canonizzazione. Nel 2013 venne comunicato che la commissione medica della congregazione vaticana per le cause dei Santi aveva riconosciuto un miracolo avvenuto per intercessione del Beato Stepinac. Era quindi vicina la proclamazione a Santo.

Si verificò però un fatto nuovo. Il primate della Chiesa Ortodossa Serba, sostenuto dalle autorità di Belgrado, scrisse a Papa Francesco evidenziando la necessità di rivedere ogni decisione alla luce di considerazioni non favorevoli all’ex Arcivescovo di Zagabria. Il Pontefice accolse l’istanza e – pur sottolineando che non si metteva in discussione la santità di Monsignor Stepinac – volle promuovere una commissione storica formata da Serbi e da Croati. L’organismo venne presieduto da un rappresentante della Santa Sede: Monsignor Bernard Ardura. Dopo una serie di incontri avvenuti in più sedi, i lavori – durati un anno – si sono conclusi nel luglio del 2017 senza aver raggiunto alcun risultato. Si è così arrivati a una situazione di stallo in attesa di conoscere le decisioni di Papa Francesco.

In tale contesto, già prima della decisione del Pontefice, il Professor Pier Luigi Guiducci stava lavorando alla preparazione di un volume sul Cardinale Stepinac. L’Autore insegna storia della Chiesa presso il Centro Diocesano di Teologia per Laici (Istituto Ecclesia Mater, Pontificia Università Lateranense di Roma). Il lavoro del Professor Guiducci trova la sua origine dal fatto che egli è stato autore già di due volumi su aspetti storici della Chiesa legati al Secondo Conflitto Mondiale. In questa fase di studio egli ha fatto riferimento anche alla figura dell’ex Arcivescovo di Zagabria e ha interagito con i sacerdoti croati del Pontificio Collegio Croato di Roma, con l’Arcivescovo Nikola Eterović, e con lo stesso postulatore della causa di canonizzazione di Stepinac (Monsignor Jure Batelja).

Il Professor Guiducci si era accorto che mancava in Italia un lavoro su Monsignor Stepinac impostato con metodo storico. Risultava inoltre evidente il fatto che diversi autori di testi e di articoli giornalistici scrivevano senza conoscere la Positio del Beato Stepinac (11 volumi). Questa era una grave carenza perché eliminava una fonte che fornisce dei dati estremamente utili. A questo punto, il Professor Guiducci ha cominciato a lavorare su un’opera dedicata al presule croato, iniziando a leggere tutti i volumi della Positio (chiedendo anche chiarimenti al postulatore), e cercando di estendere le fonti informative non solo in un contesto croato ma anche in altre sedi scientifiche che conservano informazioni sulle vicende della Croazia legate alla Seconda Guerra Mondiale e ai successivi eventi.

Alla fine del lavoro il Professor Guiducci ha potuto consegnare al mondo ecclesiale, sociale e politico uno studio di circa 500 pagine, con circa 2.000 note giustificative, e con centinaia di riferimenti inseriti nell’indice dei nomi. Da tale impegno si possono adesso estrapolare una serie di dati che, in tempi precedenti all’attuale, erano stati modificati prima dal regime «ustaša» e poi da quello comunista.

Alojzije Stepinac

Monsignor Alojzije Stepinac in visita pastorale

1) Monsignor Stepinac fu, prima di tutto, una persona profondamente religiosa, attento alle necessità del suo popolo, fedele all’insegnamento della Chiesa. I suoi scritti dimostrano un’intensa vita spirituale, una solida formazione teologica, una evidente premura pastorale.

2) Sul piano socio-politico, Monsignor Stepinac difese l’identità della Croazia e sostenne il desiderio dei suoi conterranei mirato a valorizzare di questo Paese la storia, la religione cattolica, la cultura, le tradizioni, e le iniziative di auto-gestione. Tra i suoi interlocutori laici manifestò una particolare attenzione verso il partito contadino croato, e interagì più volte con il suo leader, Vladko Maček (1879-1964).

3) Sul versante ideologico, Monsignor Stepinac respinse in modo deciso le dottrine totalitarie e avvertì i fedeli sui rischi collegati a regimi che si allontanavano dalle esigenze della popolazione. In particolare, il presule avversò la dottrina hitleriana della razza, del sangue, della superiorità ariana. Già prima dello scoppio del Secondo Conflitto Mondiale il presule – pur seguendo un chiaro orientamento cattolico – non ebbe remore a interagire con i più diversi interlocutori e a contribuire a mantenere degli equilibri sociali.

4) Nei confronti delle potenze dell’Asse il rapporto fu critico. Monsignor Stepinac non dimostrò mai delle simpatie verso il III Reich. In particolare, non rivolse particolari attenzioni ai massimi dirigenti del regime. Non sostenne le pubblicazioni filo-naziste. Non volle mantenere canali di comunicazione con il rappresentante politico della Germania hitleriana a Zagabria. Avversò l’anti-semitismo. Anche nei confronti del Governo di Roma il presule non superò mai una linea di atti formali, imposta dalle circostanze. Monsignor Stepinac, infatti, non approvò l’ingerenza mussoliniana sulle vicende croate, e soprattutto condannò di fatto l’occupazione italiana di territori croati. Quando fu necessario intervenire per favorire operazioni umanitarie, l’Arcivescovo si rivolse direttamente o in modo indiretto agli occupanti del tempo per richieste di grazia, di mutamento di condanna, di accesso ai campi di concentramento, di passaggio in luoghi dichiarati teatro di operazioni belliche.

5) Verso il duce Pavelić e nei confronti del movimento «ustaša» la posizione dell’Arcivescovo Stepinac non si configurò come adesione. Il presule, informato sugli eccidi in corso, si rese presto conto di una realtà oggettiva: Pavelić stava conducendo una linea politica che avrebbe condotto la Croazia a una situazione irreversibile. Mentre la stampa del tempo manipolò vistosamente l’informazione riguardante i rapporti Stepinac-Pavelić (facendoli sembrare ottimi), la documentazione storica fornisce in realtà dei dati profondamente diversi:

– Pavelić cercò di far allontanare Stepinac da Zagabria; diversi dirigenti «ustaša» erano avversi al presule;

– il duce croato fu destinatario di molteplici interventi di Stepinac per modificare decisioni statali dagli effetti deleteri;

– l’Arcivescovo condannò la politica razziale, le operazioni sanguinarie, i campi di concentramento, le condanne a morte senza regolari processi, gli arresti immotivati;

– in ripetute occasioni Pavelić scavalcò la competenza di Stepinac in materia ecclesiastica e adottò decisioni che rientravano direttamente nella sfera ecclesiale;

– Stepinac non volle mai alzare la mano destra adottando il saluto «ustaša»;

– la presenza del presule in cerimonie pubbliche fu circoscritta a eventi nazionali. Quando venne riaperto un sedicente Parlamento, l’Arcivescovo volle sedersi nel banco dei visitatori;

– pur di salvare gli ortodossi, l’Arcivescovo evidenziò eccezioni a quanto prescriveva il codice di diritto canonico. In pratica, gli ortodossi potevano passare alla Chiesa Cattolica (Pavelić li stava obbligando con propria decisione) e, a fine conflitto, potevano tornare nella Chiesa Ortodossa.

6) Nei confronti del mondo cattolico croato, Monsignor Stepinac dovette affrontare molteplici criticità. Mentre un gruppo significativo di fedeli rimase particolarmente vicino al proprio Arcivescovo, in altri casi si verificarono situazioni diverse:

– nella popolazione si trattò in particolare di seguire delle opportunità, delle convenienze, delle necessità;

– ci furono alcuni Vescovi, sacerdoti e religiosi (specie francescani) che sostennero il regime «ustaša»;

– si verificarono delle realtà criminose che videro anche (a vario titolo) la presenza di persone consacrate.

Il presule fu costretto a intervenire in diverse occasioni:

– prima di tutto non permise ai consacrati di iscriversi a movimenti politici, e di prendere parte ad iniziative politiche;

– richiamò fedeli e consacrati ai princìpi del Vangelo, alle direttive dei Pontefici, ed evidenziò i drammi che si moltiplicavano per le lotte interne, per quelle inter-etniche e per gli scontri bellici;

– emise provvedimenti disciplinari nei confronti di sacerdoti e di religiosi costringendo i responsabili di azioni condannate dalla Chiesa a non svolgere più il proprio ruolo religioso.

7) Nell’interazione con la Santa Sede, Monsignor Stepinac dimostrò fedeltà e applicò puntualmente le direttive di Pio XI e soprattutto quelle di Pio XII. In particolare, egli inserì nei propri documenti pastorali e nelle stesse omelie i riferimenti del magistero pontificio riguardanti: la pace, la famiglia, la vita morale, la spiritualità. L’Arcivescovo, che aveva studiato a Roma presso l’Istituto Germanico e la Gregoriana, ebbe modo di incontrare Pio XII e interagì con i rappresentanti del Papa inviati in missione nei territori balcanici. Pur sostenendo il diritto della Croazia a vivere secondo criteri di autonomia e di pace, il presule riferì sulle vicende dolorose in atto preferendo utilizzare soprattutto canali di natura riservata (così da tutelarsi dallo spionaggio).

8) Verso il nuovo regime comunista l’Arcivescovo di Zagabria ebbe rapporti critici. Già negli anni della sua azione pastorale precedenti il regime di Tito, Monsignor Stepinac condannò la dottrina riguardante il comunismo ateo e materialista. Con il sopravvento dei partigiani sull’esercito croato mutò il Governo Locale e il presule fu al centro di indagini. In questo periodo egli condannò in modo ufficiale le nuove direttive comuniste per i danni che, a motivo di quest’ultime, subivano le diverse iniziative della Chiesa Locale (scuole cattoliche chiuse o controllate, tipografie inattive, insegnamento religioso ridotto al minimo, dottrina morale impoverita da correnti di pensiero non in sintonia con l’orientamento cattolico).

La situazione precipitò con un primo arresto dell’Arcivescovo a cui seguì un secondo arresto, un pubblico processo, e una condanna a 16 anni di lavori forzati. In tali occasioni la linea del presule rimase integra. Egli non deviò dalle sue posizioni. E rifiutò sia di creare una Chiesa Nazionale vicina al regime comunista e staccata dal Pontefice Romano (come voleva Tito), sia di lasciare la Croazia per trasferirsi altrove (come aveva chiesto alla Santa Sede il Governo Comunista). Dopo diversi anni di carcere, Monsignor Stepinac (anche per le pressioni internazionali) poté usufruire di un mutamento di condanna. Si trattò di un domicilio coatto presso la località ove era nato: Krašić. Nella canonica, in una modesta stanza, l’Arcivescovo visse fino alla morte (10 febbraio 1960). Anche nell’ultima fase della sua vita fu costretto ad affrontare più criticità: tra queste, oltre alla continua sorveglianza e ai controlli imposti ai visitatori e alla corrispondenza, anche due interventi operatori a motivo di una trombosi. Con il decesso venne meno l’obbligo del presule a presentarsi per un secondo processo a suo carico.

Non era facile riassumere in un volume l’intera vicenda di Monsignor Stepinac. Quest’ultimo, infatti, nel corso della sua esistenza terrena dovette affrontare sia il regime di Pavelić (e la milizia degli «ustaše»), sia la vicenda di consacrati croati che non seguirono le direttive dell’Arcivescovo, sia gli eserciti occupanti (la Wehrmacht tedesca e le divisioni dell’esercito italiano), sia fazioni interne impegnate nel conflitto (i ćetnici), sia le truppe collaborazioniste di diversa nazionalità (dalla provincia tedesca di Lubiana arrivarono i belogardisti e i domobranci; erano «Sloveni bianchi», anticomunisti), sia i partigiani di Tito (che nelle loro formazioni accolsero pure Italiani e Croati).

Monsignor Stepinac, inoltre, malgrado una posizione situata al centro di una «polveriera», dovette comunque garantire una regolare vita ecclesiale, e rivolse notevole attenzione per le opere di natura assistenziale, e per le iniziative mirate a strappare alla morte molteplici condannati.

Certamente, la maggiore difficoltà incontrata dal Professor Guiducci nella stesura della sua opera (Rapporto Stepinac) ha riguardato il controllo puntuale di ogni dato storico. La grande fatica è stata quella di scindere le affermazioni spurie dalle evidenze supportate da documenti. Su Monsignor Stepinac, infatti, è oggi molto facile trovare (anche in siti internet) la diffusione di notizie che provengono o dall’ufficio propaganda del regime «ustaša», o dai centri stampa legati al Governo Iugoslavo. Mentre nel primo caso si volle continuamente trasmettere un messaggio di continua vicinanza del presule a Pavelić (anche correggendo discorsi dell’Arcivescovo e ritoccando foto o filmati), nel secondo si volle accentuare tale aspetto di «vicinanza» agli «ustaše» mostrando immagini di carneficine (per dimostrare la presunta «passività» di Monsignor Stepinac), foto già utilizzate dagli operatori «ustaša», e rapporti segnati da affermazioni non veritiere. Purtroppo, tale realtà informativa si è aggravata nel tempo con le successive guerre balcaniche. Si possono così comprendere le accese polemiche nei rapporti tra Serbi e Croati. In tale contesto, riemerge continuamente la «vicenda Pavelić» finendo per discutere anche senza esito sul numero delle persone uccise dagli «ustaše» (e collaborazionisti) e su quelle che vennero soppresse dai Serbi (e collaborazionisti).

Oltre a un primo merito (valutazione non passionale di una situazione storica drammatica), l’opera del Professor Guiducci ha un secondo pregio: quello di utilizzare più fonti. Pur attribuendo una particolare importanza alla Positio, l’Autore ha voluto seguire diverse strade di ricerca cercando in più archivi del materiale poco noto al grande pubblico. Tale scelta è meritoria perché evita il rischio di un possibile unilateralismo, mantenendo un rigore storico, obiettivo. Certamente con l’apertura dell’Archivio Vaticano per il periodo successivo al 1939 si potranno acquisire ulteriori documenti. La speranza è anche quella di poter consultare materiale che si trova in ambienti di altri Paesi ove è difficile (talvolta impossibile) l’accesso.

(maggio 2018)

Tag: Carlo Mafera, Pier Luigi Guiducci, Alojzije Stepinac, Arcivescovo di Zagabria, Jugoslavia, Croazia, Seconda Guerra Mondiale, ustaše, Ante Pavelić, comunismo, III Reich, Tito, ustascia, Beato Stepinac, Positio, Vladko Maček.