Il testamento politico di Hitler
Un documento storico molto interessante sulla guerra e l’ideologia nazionalsocialista

I diversi scritti che costituiscono il testamento di Adolf Hitler sono un documento storico di grande importanza, particolarmente interessante per comprendere la personalità del grande dittatore. La loro lettura può lasciare sconcertati, con tono enfatico l’autore parla di sé come un uomo che si dedica a una grande causa, sostanzialmente pacifico (in certi passi si considera un europeista) che ha subito l’aggressione di comunisti e uomini della finanza dietro ai quali si nascondevano i grandi esponenti dell’ebraismo. Da un testamento ci si aspetterebbero importanti rivelazioni, da quello di Hitler abbiamo accuse notevoli ma prive di fatti storici che possano costituire un qualche fondamento, un aspetto molto caratteristico degli utopisti, che possono creare suggestioni ma che per essere tali vanno prese come atti di fede.

Abbiamo detto dei vari documenti che costituiscono il testamento di Hitler, infatti abbiamo due distinte opere alle quali è stata attribuita tale denominazione. La prima in ordine di tempo, andrebbe più rigorosamente chiamata Appunti di Bormann, annotazioni prese durante i loro incontri dall’uomo che negli ultimi tempi era considerato il successore del capo nazista. Nessuno può stabilire con sicurezza se tale testo rappresenti fedelmente il pensiero di Hitler, tuttavia il forte senso della gerarchia e il fascino che il leader esercitava sui suoi subordinati può far ritenere che Martin Bormann non abbia proceduto ad alterazioni di quanto comunicatogli. La seconda opera molto più scarna costituisce il testamento vero e proprio (diviso in due testi, parte personale e parte politica) e riprende brevemente alcuni temi già toccati nel precedente scritto.

Gli Appunti di Bormann vennero scritti in gran parte nel febbraio del 1945 (solo l’ultima nota risale al 2 aprile), quindi dopo il fallimento dell’Offensiva delle Ardenne, quando il destino della Germania era drasticamente segnato. Il Testamento venne invece sottoscritto da Hitler senza intermediari il 29 aprile, il giorno prima del suicidio. Venne affidato a tre uomini di fiducia che furono tutti arrestati poco dopo dagli americani con il loro documento.

Nei due documenti emergono elementi caratteristici della personalità di Hitler, il tono apocalittico e il ricorso ad alterazioni anche evidenti della realtà, insiste sulla questione degli ebrei considerati subdoli e malvagi che avrebbero voluto la guerra ma a un certo punto almeno in parte si contraddice e ammette esplicitamente di aver voluto ripulire l’Europa dall’odiato popolo.

Molte delle affermazioni risultano generiche e prive del supporto di elementi di prova. «L’Inghilterra tradizionale avrebbe concluso la pace. Ma gli ebrei non vollero saperne. E i loro lacchè, Churchill e Roosevelt, erano lì a impedirlo… l’Inghilterra ebbe libertà di scelta e nulla la costrinse a entrare in guerra. Eppure, non solo entrò in guerra, ma in effetti provocò la guerra… Vogliono pertanto la distruzione del popolo tedesco, su ciò non può esservi ombra di dubbio… Avevamo bisogno di pace per attuare il nostro programma. Io ho sempre desiderato mantenere la pace». Rinforza tale concetto esprimendosi a favore dell’europeismo: «Quel che noi vogliamo è una dottrina di Monroe in Europa». «L’Europa agli europei!». Aggiunge tuttavia una considerazione poco congruente: «Io sono stato l’ultima speranza dell’Europa. Essa si è dimostrata incapace di rimodellarsi per mezzo di una riforma volontaria. Si è dimostrata impervia al fascino e alla persuasione. Per conquistarla ho dovuto ricorrere alla violenza. L’Europa può essere costruita solo su fondamenta di rovine».

Hitler si considerava qualcosa di simile a un missionario o a una figura messianica con un ruolo fondamentale nella storia e che la dottrina in cui credeva costituisse un sistema di pensiero fondamentale per l’umanità. «Il mio spirito aleggerà tra loro. Lasciarli sarà duro ma non ingiusto, ma soprattutto non lascerò permettere alla paura di influenzare le loro azioni, e mettere l’onore della nazione al di sopra di qualunque cosa al mondo. Infine, far loro prendere coscienza del fatto che il nostro compito, quello di continuare la costruzione di uno stato nazionalsocialista, rappresenta il lavoro dei secoli a venire, che pone ogni singola persona sempre nell’obbligo di servire l’interesse comune e di subordinare il suo vantaggio personale a tal fine». Nel Testamento politico ricorda ai posteri: «Morirò con il cuore pieno di felicità, consapevole delle gesta incommensurabili e dei risultati dei nostri soldati al fronte, le nostre donne a casa, i risultati dei nostri agricoltori e dei lavoratori e dei lavori compiuti, unici nella storia, dei nostri giovani che portano il mio nome».

La questione della pace venne ribadita nel Testamento politico: «Non è vero che io o altri nel 1939 in Germania si volesse la guerra. È stata voluta e promossa esclusivamente da statisti internazionali che erano o di discendenza ebraica o lavoravano per interessi ebraici». Afferma inoltre di avere voluto impegnarsi nella limitazione internazionale degli armamenti, di aver voluto una sistemazione equa del problema tedesco polacco, di essere dispiaciuto della sorte di milioni di bambini ariani.

Hitler appariva ossessionato dalla questione ebraica anche se risulta difficile comprendere i fatti specifici di cui questo popolo si rese responsabile. Sulla questione razziale in particolare si notavano alcune affermazioni poco realistiche e contraddittorie: «Posso assicurare di essere del tutto esente da ogni odio razziale… Il desiderio di rimanere razzialmente pura è una prova della vitalità e della robustezza di una razza. L’orgoglio della propria razza – e questo non implica disprezzo per le altre razze» ma fra le numerose critiche agli ebrei alcune riguardano in maniera piuttosto singolare le questioni fisiche: «Il naso sgradevole, le crudeli perfide narici». In un altro passo descrive con maggiore dettaglio le ragioni del disprezzo verso gli ebrei: «Mi sono fatto l’idea che se le nazioni d’Europa si paragonano a semplici azioni che possono essere comprate e vendute in denaro da questi cospiratori internazionali e dalla finanza, allora questa razza, gli ebrei, che sono i veri criminali di questa lotta omicida, verranno inchiodati alle loro responsabilità».

L’antisemitismo non fu una invenzione di Adolf Hitler, ma comprendere quali furono le azioni negative o considerate tali compiute dalla minoranza etnica in Europa risulta molto difficile. Nel Mein Kampf, scritto nel 1926, si parlava comunque degli ebrei come degli uomini che gestivano in maniera più o meno occulta la finanza, la stampa, la cultura.

Oltre alle responsabilità sulla guerra e l’antisemitismo, gli Appunti di Bormann contengono varie riflessioni sulle principali azioni di guerra, considerazioni sulla ideologia nazionalsocialista e sulla necessità di realizzare un «uomo nuovo» tipica dei movimenti utopisti. «Avremmo dovuto spazzar via, rudemente e senza pietà, la borghesia fossilizzata, tanto priva di anima quanto lo è di patriottismo… Poiché ci mancavano gli uomini modellati secondo il nostro ideale, dovemmo per necessità di cose servirci come potevamo di quelli disponibili. Il risultato è stato ovvio. In seguito a questa discrepanza tra concezione e realizzazione, la politica bellica di uno stato rivoluzionario come il Terzo Reich è stata necessariamente la politica dei reazionari piccolo borghesi. I nostri generali e i nostri diplomatici, con alcune, rare eccezioni, sono uomini di un’altra epoca».

La necessità di una certa purezza dell’essere umano è considerata fondamentale. Fra i mali delle «razze bianche» abbiamo il materialismo, il fanatismo e l’alcolismo. «Ogni popolo che desideri prosperare dovrebbe rimanere legato al proprio suolo. L’uomo non dovrebbe mai perdere il contatto con la terra sulla quale ha avuto l’onore di nascere… Il rigido clima con il quale l’Oriente li pone a dura prova consente loro di conservare le proprie doti di uomini arditi e virili; e i vividi contrasti che vi trovano li aiutano a mantenere intatti l’amore e il desiderio del loro paese. Trapiantate un tedesco a Kiev, e rimarrà un tedesco perfetto. Ma trapiantatelo a Miami e farete di lui un degenerato». Nello stesso scritto abbiamo anche una considerazione sulla religione: «Ma come giudicheremo il cristianesimo, quest’altro rampollo del giudaismo, il quale non vuole impegnarsi più in là della promessa della felicità ai credenti in un altro mondo?». Sebbene anticomunista, Hitler riservava un giudizio non particolarmente negativo sullo stalinismo: «Per un anno intero conservai la speranza che una “entente” appena lealmente sincera, se non amichevole senza riserve, potesse essere stabilita tra il Terzo Reich e la Russia di Stalin. Immaginai che dopo quindici anni di potere Stalin, il realista, si sarebbe sbarazzato della nebulosa ideologia marxista e pensai che la conservasse soltanto come un veleno riservato esclusivamente all’uso esterno. La brutalità con la quale aveva decapitato l’“intellighentsia” ebraica, che gli aveva reso un così segnalato servigio nella distruzione della Russia zarista, mi incoraggiò in tale convinzione».

(agosto 2020)

Tag: Luciano Atticciati, testamento di Hitler, nazismo, nazionalsocialismo, Germania nazista, Martin Bormann, ebrei, ebraismo, antisemitismo, comunismo, capitalismo, Stalin, stalinismo, Churchill, Terzo Reich.