Vita e leggenda di Capitan Bavastro
Il corsaro della «Superba»

La vita e le gesta di Giuseppe Bavastro, il più famoso corsaro genovese del XIX secolo, sono a tutt’oggi quasi del tutto sconosciute. Nato il 10 maggio 1760 a Sampierdarena da una famiglia della buona borghesia nizzarda, fino da giovane Giuseppe Bavastro dimostrò un carattere indipendente e ribelle. Abbandonata prestissimo la scuola (per tutta la vita rimarrà analfabeta), egli preferì infatti imbarcarsi ed intraprendere la vita di mare. Nel 1782, si sposò con una bella ragazza, la stessa di cui pochi anni prima si era invaghito inutilmente il suo grande amico Giuseppe Massena, futuro Generale di Napoleone e difensore di Genova. E il padre, sapendolo ancora senza arte né parte, dapprima lo cacciò di casa, ma poi, impietositosi, diede al figliolo un po’ di denaro consigliandolo di darsi al commercio. A Genova, Bavastro armò quindi una goletta da cento tonnellate, iniziando a trafficare con la Sicilia per conto di alcuni mercanti liguri. E durante questo periodo, il giovane Bavastro iniziò a farsi le ossa combattendo contro i pirati algerini che a quel tempo infestavano il Mediterraneo. Fra il 1792 e il 1800 Capitan Bavastro riuscì ad incrementare notevolmente la sua attività, diventando presto piuttosto ricco. Alle soglie dei quarant’anni, quando tutto lasciava pensare che l’ex scavezzacolli navigasse verso una quieta ed agiata esistenza, egli cambiò improvvisamente rotta: un po’ per noia e un po’ per il gusto del rischio.

Nel 1800, Bavastro si trovava a Genova allorquando la città, difesa dalle truppe francesi dell’amico Massena, venne stretta d’assedio dalle truppe austriache e bloccata dal mare da una squadra britannica. E vista l’emozionante situazione, Bavastro offrì a Massena i suoi servigi, dapprima guidando piccole imbarcazioni attraverso il blocco inglese con compiti informativi e di esplorazione e successivamente mettendosi al timone di una rabberciata galera, la Prima, l’unica nave da guerra di cui disponeva il Massena. Il 20 maggio 1800, il neo capitano di vascello Bavastro uscì arditamente dal porto, affrontando spavaldamente la flotta nemica e riuscendo a danneggiare gravemente l’ammiraglia Audacions. Infuriato, il comandante Beaver al timone della fregata Aurora, decise di abbordare la Prima, che, dopo un lungo e sanguinoso combattimento all’arma bianca, venne catturata. Bavastro comunque la scampò buttandosi in acqua e raggiungendo a nuoto la riva. Ottenuto per meriti di guerra il grado di capitano di fregata onorario della Marina Francese, dopo la caduta di Genova, Bavastro si ritrovò però quasi in povertà; situazione che lo spinse a darsi alla guerra di corsa a favore della Francia. Armato uno sciabecco, l’Intrepido, con quattro cannoni da otto libbre e cinquanta uomini di equipaggio, Bavastro si lanciò d’impeto nella guerra al traffico nemico. Dopo due mesi di infruttuosa crociera fra Tarifa e Tangeri, all’alba del 19 marzo 1803, l’Intrepido avvistò finalmente un convoglio di trenta mercantili di varia nazionalità, attaccando e saccheggiandone diversi. Poi, non ancora soddisfatto, si lanciò all’inseguimento di due navi corsare inglesi di Southampton da poco entrate nel Mediterraneo per molestare il traffico francese. Abbordato e catturato il primo corsaro e lasciatovi a bordo un ridottissimo equipaggio di preda, egli riprese il comando dell’Intrepido, raggiungendo ed abbordando con successo il secondo vascello. Il duplice, vittorioso combattimento dell’Intrepido non passò inosservato e Napoleone Bonaparte, allora Primo Console, conferì al Genovese Bavastro il grado di capitano di fregata ausiliario (o di complemento). Nel 1805 il neo capitano armò un secondo e più grosso Intrepido, dotato questa volta di quattordici cannoni e ottanta uomini d’equipaggio, riprendendo la guerra di corsa. Sgominata una flottiglia di pirati nordafricani nelle acque di Gibilterra, raggiunta un’insenatura dell’isola di Minorca, Bavastro riuscì a catturare la lancia armata della fregata inglese Phoenix con a bordo tre ufficiali e venti marinai, venendo però subito puntato dal vascello nemico. Ma proprio quando la fregata fu quasi addosso all’Intrepido, Bavastro virò improvvisamente di prora, schivando l’attaccante. Quindi, con rapidissima mossa, si mise sulla scia della fregata, attaccandola e bersagliandola alle terga con i pezzi di prora e costringendo infine il comandante inglese ad una tregua.

Bavastro accettò di restituire tutti i prigionieri fatti a Palma di Maiorca in cambio però di un numero doppio di prigionieri francesi. Tornato a Nizza, Bavastro si concedette un breve riposo, e quindi si trasferì ad Ancona, dove armò un altro sciabecco, il Massena, e due trabaccoli, il Pino e il Verdier. La flottiglia del Genovese si mise a perlustrare l’Adriatico e al largo di Lissa si scontrò con tre brigantini e due polacche battenti bandiera austriaca. Pur di fronte a forze tanto superiori, Bavastro serrò le distanze, abbordando il più grosso dei brigantini e quindi le due polacche e mettendo in fuga le altre unità austriache. Condotte le sue prede ad Ancona, Bavastro le mise subito in vendita ricavandone un notevole gruzzolo.

Nel gennaio del 1806, Massena chiamò a Napoli il corsaro genovese, offrendogli il grado di comandante della corvetta Fama, già appartenente alla Marina Borbonica. Per amicizia, Bavastro accettò pur non essendo affatto incline a militare per una Marina regolare. Tanto è vero che pochi mesi più tardi egli rinuncerà all’uniforme, rientrando ad Ancona.

Nella primavera del 1807, Bavastro è di nuovo sul ponte di una unità corsara, la polacca da sedici cannoni Principe Eugenio, con un centinaio di uomini d’equipaggio. Come primo colpo, al largo di Barcellona, il corsaro ligure cattura un vascello inglese pieno di ricche mercanzie, e il 10 giugno ingaggia un combattimento con un brigantino corsaro nemico, il Fanny, da diciotto cannoni, che cattura e conduce a Tarragona. Quest’ultima preda gli frutta trecentomila franchi, somma favolosa per quei tempi. Poco tempo dopo però il Principe Eugenio viene sorpreso con equipaggio ridotto nell’insenatura di Begù dalla fregata inglese Seahorse. Vana risulta la resistenza dell’unità corsara che viene catturata, mentre Bavastro e i superstiti dell’equipaggio raggiungono a vigorose bracciate la costa. II rovescio subito non scoraggia però il corsaro. Raggiunta Barcellona, vi recupera il Fanny, lo risistema e lo ribattezza Josephine. Prima della fine dell’anno Bavastro incontra ancora una volta una fregata inglese, probabilmente l’Imperieuse da trentotto cannoni, del celebre Lord Cochrane. Pur sapendo che i comandanti inglesi delle unità del Mediterraneo hanno da tempo ricevuto l’ordine di «scovare il Genovese e di appenderlo ad un pennone», Bavastro accetta la battaglia, giocando d’astuzia e d’abilità. Egli conduce la Josephine sopra alcuni bassifondi dove la fregata non può avventurarsi. Quindi mette in panna e si prepara a ricevere degnamente l’attacco delle lance armate nemiche, che quando giungono a tiro vengono investite da una micidiale bordata a «mitraglia». Invano, alcune scialuppe si aggrappano al bordo, ed altrettanto invano i marinai inglesi tentano la scalata della murata. Inesorabili colpi d’ascia troncano infatti le mani e le dita di quelli che si afferrano ai bastingaggi, mentre la moschetteria fa strage. Le lance inglesi, ingombre di morti e feriti debbono quindi allontanarsi e Bavastro, gonfio d’orgoglio, imboccato il portavoce urla: «Dite a Lord Cochrane che se a voi ho tagliato le mani a lui taglierò i coglioni». Inutilmente però abbiamo cercato traccia di questo episodio nelle memorie dell’Ammiraglio di Sua Maestà Cochrane. Tra il 1808 e il 1812, lungo la costa iberica, Bavastro sostiene le difficili operazioni dell’esercito napoleonico, svolgendo anche la mansione di capitano di porto a Santarem. Essendo rimasto vedovo, a Malaga il corsaro, che ha ormai cinquant’anni, sposa una giovane orfana e mette su una sontuosa dimora. Ma il richiamo del mare è troppo forte. Dopo poche settimane, il corsaro attacca un trasporto di truppe inglesi e se ne impadronisce, anche perché i Britannici vanno presto in panico. Quando uno degli ufficiali inglesi fa il gesto di consegnare al Ligure la sua spada, questi, gelido, gli dice: «Tenetevela, signore, voi non siete del mestiere. Non mi sembra di avervi visto combattere e quindi non posso considerarvi mio nemico».

Nel 1812, Bavastro intuisce che l’astro napoleonico sta per tramontare e quindi abbandona la Spagna al seguito delle forze francesi, lasciando la moglie che si rifiuta di seguirlo e rimettendoci tutta la fortuna accumulata con l’attività corsara. Prima a Nizza e poi a Genova invano cerca qualcuno che gli anticipi i capitali per armare un ennesimo corsaro e fare qualche colpo prima della disfatta finale della Francia. E dopo alterne vicende, nel 1815 ecco ancora Bavastro sulla breccia, prima a Napoli e poi in Adriatico al servizio di Murat. Alla sconfitta di questi, il Ligure si reca ad Algeri a litigare con le autorità locali per riscuotere la propria parte di certe prede condotte in quel porto negli anni fortunati. Qui si stabilisce per qualche tempo e dà consigli al Bey su come difendersi da un eventuale attacco di una flotta nemica. Ma quando l’Ammiraglio Inglese Lord Exmouth bombarda Algeri con la sua squadra (27 agosto 1816), Bavastro assiste impassibile all’episodio come se si trattasse di uno spettacolo pirotecnico. A cinquantotto anni, di cui diciotto passati a combattere per mare, gli viene consigliato da un amico di mettersi in pensione e di non provocare ulteriormente la sorte. Ma il vecchio corsaro non riesce a stare senza far nulla. Racimolati alcuni dei suoi migliori marinai di un tempo e con i soldi recuperati ad Algeri, noleggia un bastimento e raggiunge così il Venezuela, dove offre al Generale Simon Bolivar i suoi servigi nella lotta per l’indipendenza di quel Paese dal dominio della Spagna. Nel febbraio 1819, Bavastro, al comando della fregata Bellona, partecipa ad una spedizione contro Cumanà, facendo saltare in aria un forte spagnolo, quindi, alcuni mesi dopo, assume il comando di un piccolo bastimento corsaro, la Poupe con il quale riesce a catturare una magnifica nave corsara francese battente bandiera spagnola. Nel 1820 il Ligure, al comando del brigantino Boyacà (dieci cannoni da diciotto libbre ed uno da otto libbre), sovrintende al blocco di Cartagena, formidabile piazzaforte spagnola. Ma per motivi che mai saranno chiariti, l’anno seguente Bavastro abbandona il blocco e, raggiunta Cuba, consegna il suo brigantino alle autorità spagnole dell’isola. Passa poi a New Orleans, ma di lui si perdono le tracce. Rientrato in Europa nel 1826, Bavastro, ormai decisamente avanti con gli anni, progetta ancora una spedizione marittima. Nel 1830 apprende che la Francia si prepara a fare guerra al Bey di Algeri e riesce a farsi aggregare allo Stato Maggiore dell’Ammiraglio Duperrè in qualità di «officier pratique». Conquistata Algeri, Bavastro ne diviene comandante del porto. E più tardi è nominato cadì, cioè giudice. Il suo aspetto imponente e le sue sentenze equanimi gli fanno acquistare molto prestigio e gli Algerini, di cui Bavastro conosce a perfezione la lingua, lo considerano una specie di marabutto o santone. Con lettere patenti del 5 agosto 1832, Luigi Filippo, che già gli aveva conferito il grado di ufficiale della Legion d’Onore, gli accorda la cittadinanza francese. Ai primi del marzo 1833, Bavastro, ritornando dalla sua quotidiana cavalcata, viene preso da un improvviso malore e cade, rimettendosi però in sella e raggiungendo la sua villa. La morte lo coglie il 10 dello stesso mese. Sembra che pochi attimi prima di spirare, il vecchio corsaro abbia ancora avuto la forza di chiedere: «Aprite la finestra, voglio rivedere per l’ultima volta il mare».

Articolo in media partnership con «Storia Verità»
(giugno 2013)

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