Confidenze politiche del Generale Pasquale Paoli
Quando l’erudizione era uno strumento di governo

Siamo ormai abituati a pensare alla politica come ad un unicum con le questioni economiche e poco riflettiamo su come gli intellettuali e studiosi in passato siano riusciti, attraverso l’erudizione, a gestire le questioni politiche dall’interno, in modo così profondo da costruire con le loro pubblicazioni a sfondo erudito un vero e proprio linguaggio della politica.

La lettura delle opere di uno storico come Luigi Cibrario[1], che si prefisse con alcune sue pubblicazioni di mettere in luce reperti storici utili alla dinastia sabauda per arginare, nella lotta politica, l’ufficialità strutturata e congelata delle misure giuridiche d’antico regime, ci appare ufficialmente «innocua ed insignificante», mentre ad attenta lettura organizzata come una sorta di «codice segreto» che gli «addetti ai lavori»[2] ben sapevano leggere.

Nel 1828 Luigi Cibrario pubblicò una raccolta di lettere[3] tra cui due del Generale Corso Pasquale Paoli. Celebre per aver dato l’opportunità alla Corsica nel XVIII secolo, per un breve periodo, di affrancarsi dalla dominazione genovese, proclamando di fatto l’indipendenza isolana, il Repubblicano Paoli avrebbe dovuto essere stato stato, ufficialmente, un avversario politico del Sovrano Sabaudo d’antico regime, viste anche le sue idealità repubblicane, che fecero peraltro da modello in tutta Europa, persino durante la Rivoluzione Francese, quando il Generale era ormai esiliato a Londra, dopo la disfatta delle sue truppe. Giuseppe Mazzini ed i più importanti rivoluzionari repubblicani fecero di lui nel XIX secolo il portabandiera e l’apripista di quegli ideali, repubblicani appunto, che nel XVIII secolo Paoli aveva saputo valorizzare.

Ma le lettere che lo storico sabaudo Luigi Cibrario ci presenta vanificano questa ufficialità.

La prima è indirizzata ad un religioso lucchese, tale Maestro Ghelsucci dei Servi di Maria (Chierici Regolari della Madre di Dio), siti sia in Lucca che in Roma ed in Genova. I serviti avevano un ruolo preminentemente culturale, gestendo a piene mani nella Repubblica Lucchese l’istruzione ed anche alcune pubblicazioni. In effetti il Generale Paoli nella lettera fa esplicita richiesta al Maestro Ghelsucci di curare una sua pubblicazione relativa ad un editto politico per la riapertura delle scuole in Corsica. La lettera è datata 18 novembre 1764. Il rivoltoso Paoli si rivolge al religioso in maniera molto confidenziale ed amichevole, ma soprattutto con osservazioni politiche assai sbalorditive, elogiando al Maestro un militare, il cavaliere Baldassarri, morto proprio quell’anno, cui il Governo rivoluzionario corso doveva molto, e che l’encomio profuso al religioso attesta come un fido seguace delle stesse volontà del Maestro Ghelsucci. Il Baldassarri si prodigò per far emergere il Governo rivoluzionario e repubblicano nella sua Isola con indefessa prodigalità, combattendo quei Genovesi che a lungo avevano reso i suoi antenati soggiogati al loro dominio. La parola «libertà», che echeggia continuamente nella lettera, appare in sintonia col religioso, cui il Paoli si rivolge.

Ma chi mai poteva essere quel religioso così «rivoluzionario»? E, soprattutto, rivoluzionario lo era davvero o forse i parametri storici con cui leggiamo sovente le vicende del periodo non corrispondono alle reali aspettative e suggestioni della stessa Chiesa Cattolica?

L’Ordine dei Chierici Regolari, fondato a fine Cinquecento in Lucca con Casa Madre in Roma ed altra Casa in Genova, ebbe in Lucca come obiettivo sin dall’inizio di combattere quel protestantesimo dilagante che in Europa stava facendo proseliti. Ben sappiamo che Lucca ebbe costanti rapporti con alcune Piazze d’Oltralpe per fini commerciali, e ancora nel Cinquecento alcuni suoi interessi economici sicuramente coincidevano con quelli d’Oltralpe. Come dimenticare la conversione «in massa» al protestantesimo di molte famiglie lucchesi potenti, che poi si trasferirono definitivamente all’estero, in particolare a Ginevra? Ed i Chierici Regolari, vista la loro funzione di garanti della Controriforma (di fatto i Padri Gesuiti in Lucca non presero mai piede, data la loro presenza) non poterono non mediare con chi stava depauperando le risorse della Repubblica Lucchese, esportando fior fiore di capitali all’estero, causa ufficiale il loro trasferimento per motivi religiosi.

Padre Ghelsucci avrebbe potuto essere una mosca bianca in mezzo a membri dell’Ordine certamente non favorevoli alla visione politica del Generale Paoli. Ma la pubblicazione in atto richiesta al religioso dal Generale è ufficiale, e pertanto approvata all’unanimità dall’Ordine. Come spiegarsi questa particolare situazione? E soprattutto, che nesso può avere con i Savoia e con gli interessi eruditi di Luigi Cibrario?

Lucca nel XVIII secolo era una Repubblica «in rovina», che certamente non avrebbe mai voluto perdere la sua indipendenza ed ancor meno il suo carattere di Repubblica aristocratica. L’ideale repubblicano, se visto con gli occhi di chi viveva sul territorio nel periodo, andava a collimare con le esigenze oligarchiche del piccolo Stato. Il fatto poi che gli interessi dell’Ordine piuttosto che della Repubblica Lucchese in Genova fossero da sempre rimarchevoli, attesta ulteriormente il bisogno ufficioso di tener testa a Genova, diventando, azzardo, quest’ultima, quasi una spina nel fianco della ormai moribonda Repubblica Lucchese. Insomma, «Mors tua, vita mea».

Questa potrebbe essere un’ipotesi per spiegare i legami del Paoli con Lucca, naturalmente da verificare.

I Savoia nel 1828 con Carlo Felice (il 1828 è l’anno di pubblicazione delle lettere da parte del Cibrario) cercavano, ed è documentabile, di potenziare il loro accesso al mare, col preciso obiettivo di rafforzare la flotta sabauda nel Mediterraneo. Il richiamo ai rapporti di Pasquale Paoli con Lucca potrebbe ricondurci all’epoca in cui gli stessi Savoia avevano già come obiettivo strategico quello di rafforzarsi sui mari, a detrimento dell’allora Repubblica di Genova, sempre per ottenere il fatidico sbocco strategico sul Mediterraneo. A fine Settecento un celebre erudito lucchese, il marchese Cesare Lucchesini, frequentò gli ambienti sabaudi a lungo, anch’egli non certamente per esclusivi intenti letterari, visto il ruolo politico che svolse in Patria.

Ed i rapporti di Lucca con la Corsica, dato il nutrito gruppo di esuli che qui da sempre si recavano, sia per ragioni politiche che economiche, non poteva essere comunque insignificante. Coincidenza d’interessi? Direi di sì. Ma Roma non fu estranea a tutto questo.

Riporto in proposito un passo della lettera: «Bisogna che la Libertà stia sul punto di perfezionare il suo Tempio, situato sopra asperrima montagna, ove non hanno gambe per arrivare gli infingardi, i deboli e gli oziosi. Bisogna che la Libertà sia sul punto di perfezionare il suo Tempio, quando la Provvidenza ne congeda i principali architetti [il riferimento è al decesso del colonnello Baldassarri]. Forse perché l’amore del popolo s’affatichi a far sì che le statue di questi entrino a formare una parte principale della decorazione dell’edifizio [relativo alla conquista della Libertà]».

Non bastano dunque per Pasquali Paoli i richiami e gli affaticamenti dell’esercito per riuscire nell’intento di creare una forza politica nuova, di stampo repubblicano. È necessario l’affaticarsi di tutto il popolo. Solo allora la Provvidenza agirà, secondo il Generale, in modo concreto, per far trionfare la Libertà. Ma è evidente che non ci sarebbe Provvidenza se qualcuno a Roma, quanto meno, non simpatizzasse con Lei. E questo qualcuno non può non far parte delle stesse gerarchie.

I nomi non sono facilmente identificabili. Ma qualche anno dopo il Cardinale Sardo Luigi Amat, fatto Cardinale da Papa Gregorio XVI, fu nominato Legato a Bologna da Papa Pio IX negli anni rivoluzionari per poi venir rimosso dall’incarico nel 1848.

Luigi Amat nel 1844 proteggeva i rivoluzionari repubblicani, in specifico Luigi Carlo Farini che era esiliato clandestinamente in Lucca con la sua famiglia, protetto dal Duca Carlo Ludovico di Borbone. Il Farini di nascosto frequentava Pisa, dove incontrava, in casa D’Ancona, il Cardinale Amat. E frequentava, sempre in sordina, anche Firenze. Questo è quanto riporta lo stesso D’Ancona nelle sue memorie.

Gli ambienti lucchesi con cui il Farini ebbe contatti in quegli anni sono gli stessi che descrive Pasquale Paoli nella lettera al Maestro Ghelsucci.

Si tratta, con Amat, peraltro, di un Cardinale Sardo, ossia appartenente alla cerchia dei religiosi «progressisti» del Regno Sardo, fra cui annoveriamo anche il Cardinale Giovan Pietro Losana, che nello stesso periodo in cui operò Amat, con Lucca e i medesimi ambienti ebbe prolifici rapporti. Egli simpatizzò a lungo con i rivoluzionari d’ogni estrazione, anche vicini alle posizioni protestanti. E tali simpatie sono riconducibili ad anni antecedenti l’opera politica di questi Cardinali. Mi riferisco a Padre Lanteri ed alla sua opera mediatrice a fine Settecento.

Tutto confermerebbe la fluidità, almeno in via ufficiosa, della Chiesa Cattolica fino al 1848.

Il terrore di Pio IX di perdere il sostegno dei territori tedeschi, ed un massiccio ingresso del mondo protestante in Italia dovettero a quel punto far la differenza. La stessa nascita di «Civiltà Cattolica» nel 1850 è riconducibile a questa inversione di rotta.

È doveroso a questo punto però introdurre la seconda lettera di Pasquale Paoli raccolta da Luigi Cibrario. Questa, datata 4 ottobre 1768 (la disfatta delle forze rivoluzionarie corse è ormai vicina), è rivolta al signor Ristori Corso, in Bastia, Capitano di Cavalleria in Francia e comandante di Furiani per i Corsi. Qui viene messa in luce l’estrema correttezza ideale del Paoli, che mai venne meno ai suoi propositi repubblicani. Egli rimase inflessibile ad ogni richiamo delle Potenze ma, pare dalla lettera, sperò fino all’ultimo, in un accomodamento con Genova. Quali i riflessi di tutto ciò per lo Stato Sabaudo nel 1768?

Alcuni riferimenti al bisogno di emergere come potenza marittima nel Mediterraneo della dinastia sabauda li ho accennati. Ma c’è sicuramente dell’altro.

Una frase del Generale, anche in questa seconda lettera, campeggia su tutte: «Si dice che io [Pasquale Paoli] sollecito gli altri Principi ad interessarsi negli affari del Regno [Francese]: non me ne faranno un delitto. Se fossi padrone del tuono, del tuono mi servirei per la Libertà della Patria». Un’autentica ammissione verso un tentativo di soluzione politica, forse anche diplomatica, che non esclude quindi affatto l’intervento di Casa Savoia, in veste di mediatrice sia con la Francia che con Genova, essendo lo Stato Sabaudo uno Stato cuscinetto, con precisi e documentabili legami soprattutto con Londra. E Londra era all’epoca la vera padrona dei mari, incluso il Mediterraneo, dove cercava sempre di rafforzare la sua inestimabile potenza.

La stessa fragilità politica romana (qualche anno dopo le vicende rivoluzionarie e l’avvento napoleonico lo dimostreranno) doveva misurarsi certamente con le Potenze «emergenti» (e lo Stato Sabaudo si poneva in questa veste), con la Cristianissima Potenza Francese e soprattutto con la protestante Londra. Un puzzle ad incastro obbligato, che durante il primo Risorgimento e fino al 1848 continuerà a produrre i suoi effetti.

Rimando in proposito alle ricerche che ho effettuato durante la mia tesi di laurea sui legami tra Corsica, Stato Sabaudo e Repubblica Lucchese, emerse attraverso la figura di un Padre Gesuita locale trasferitosi in Piemonte nel 1820, poi padre rivoluzionario nella Corsica degli anni Quaranta.[4]


Note

1 Luigi Cibrario, storico ed erudito piemontese, amico personale di Carlo Alberto di Savoia, ma soprattutto uomo politico a servizio della Casa Sabauda.

2 Mi riferisco naturalmente ai patrioti di ogni colore che volevano scardinare il sistema d’Antico Regime.

3 Luigi Cibrario, Lettere inedite di Principi e di uomini illustri, raccolte e pubblicate da Luigi Cibrario a Torino nel 1818 per l’Alliana a spese di P. G. Pic., Libraio della Regia Accademia delle scienze.

4 Padre Gioacchino Prosperi, rintracciabile in rete.

(ottobre 2014)

Tag: Elena Pierotti, Italia, Risorgimento, Pasquale Paoli, Ottocento, Luigi Cibrario, dinastia sabauda, Corsica, Giuseppe Mazzini, Padre Ghelsucci, Lucca, Chiesa Cattolica, Chierici Regolari, Carlo Felice, Luigi Amat, Luigi Carlo Farini, Casa Savoia.