Giuseppe Garibaldi, diversamente da altri
grandi personaggi del Risorgimento non era di
estrazione borghese ed è stato l’uomo che ha
maggiormente coinvolto gli uomini delle classi
popolari nell’azione politica senza comunque
dare sostegno a movimenti politici in
contrasto con le classi superiori. Garibaldi
negli anni successivi alla sua morte è stato
adoperato da gruppi politici diversi, in
particolare possiamo ricordare il Fronte
Popolare che nel 1948 lo scelse come proprio
simbolo elettorale. La sua vita tumultuosa e
le sue prese di posizione a volte atipiche
hanno creato incertezza fra gli storici per la
sua collocazione.
Lo storico socialista Giampiero Carocci
riteneva che Garibaldi fosse monarchico
popolare, altri fra i quali Giorgio Spini lo
hanno ritenuto un socialista moderato, per
l’ex partigiano, storico e giurista Alessandro
Galante Garrone era un democratico liberale.
Giuseppe Galasso sottolineava come Garibaldi
avesse portato dalla sua parte i contadini ma
anche i proprietari terrieri ed infatti
Antonio Gramsci accuserà Garibaldi di aver
favorito gli industriali del Nord e di aver
trascurato la questione contadina al Sud.
Garibaldi, secondo Francesco De Sanctis era un
pragmatico, amava le idee semplici, ed agiva
in maniera temeraria senza intraprendere
particolari calcoli politici. La sua opinione
è stata condivisa da molti altri studiosi che
lo hanno definito semplicemente come un
politico aperto alla questione sociale.
Sicuramente Garibaldi interessato a migliorare
la difficile questione sociale italiana lo era
stato, ma tale impegno era condiviso anche da
uomini della destra come il cavouriano Stefano
Jacini, il deputato ed economista Leopoldo
Franchetti, lo studioso e politico Pasquale
Villari, il Ministro Sidney Sonnino, lo
studioso meridionalista Giustino Fortunato.
La prima iniziativa politica intrapresa da
Garibaldi fu l’adesione alla «Giovine Italia»
e la partecipazione al moto antisabaudo del
1834 organizzato da Giuseppe Mazzini. Dopo il
suo clamoroso fallimento, per sfuggire alla
condanna riparò in America Latina dove
combatté a favore del Rio Grande do Sul contro
l’Impero del Brasile, iniziativa che non aveva
un grande significato politico e
successivamente a favore degli Uruguayani
contro lo spietato dittatore Rosas. Nel 1848
(amnistiato) ritornò in Italia con alcuni
volontari per partecipare alla Prima Guerra
d’Indipendenza sebbene non avesse in simpatia
Mazzini in quanto ritenuto un dottrinario
illuso, né Carlo Alberto dal quale come egli
stesso racconta, venne accolto freddamente.
Partecipò quindi alla difesa della Repubblica
Romana e successivamente cercò di prestare
aiuto a Venezia, ultima città in guerra con
l’Austria. Costretto a riparare in Liguria
subì un arresto ma importanti personalità
della sinistra e della destra parlamentare
ottennero la sua liberazione. Per un certo
periodo ritornò nelle Americhe, ma cinque anni
dopo fu di nuovo nel nostro Paese, dove
pubblicamente si allontanò dalle posizioni di
sinistra, si oppose alla spedizione e alla
sollevazione dei contadini in Calabria
promossa dal socialista Carlo Pisacane, per
aderire alla Società Nazionale di Cavour
diventandone vice presidente. Partecipò alla
Seconda Guerra d’Indipendenza e
successivamente intraprese quella che fu la
sua più grande iniziativa, l’Impresa dei
Mille. Interessante notare che in Sicilia pur
prendendo alcune iniziative a favore dei ceti
popolari (abolizione della tassa sul macinato
e concessione di alcune terre demaniali ai
combattenti) condannò duramente i contadini a
Bronte che attentavano alla proprietà privata
e avevano ucciso diversi proprietari terrieri
ed infine va ricordato che si oppose solo
parzialmente alle assegnazioni a singole
aziende dei cosiddetti terreni destinati ad
uso comune, questione che successivamente
divenne una delle cause del brigantaggio. La
sua grande impresa avvenne in nome di Vittorio
Emanuele II col quale ebbe un intenso scambio
epistolare dal quale emerge la sua ammirazione
verso il Sovrano. Quando Napoli venne liberata
presentò il nuovo Sovrano alla folla per
acclamarlo. Rinunciò a qualsiasi incarico o
titolo e come era nel suo carattere impulsivo,
si ritirò immediatamente a Caprera.
Negli anni successivi si allontanò dai
moderati mostrando insofferenza verso la
classe politica, mentre la sua fama si
accresceva a livello internazionale,
apprezzato dal liberale Lord Palmerston,
mentre il Presidente della Repubblica Abraham
Lincoln richiese la sua partecipazione come
generale nella lotta ai sudisti. Non meno
importanti furono le numerose richieste dei
circoli operai che richiedevano al generale di
assumerne la presidenza. Subito dopo
l’unificazione del Paese venne eletto deputato
ma per un tempo brevissimo, contestò la
cessione della sua città Nizza alla Francia,
il mancato incorporamento dei suoi combattenti
nell’esercito regolare e diede immediatamente
le dimissioni. Nel 1862 si ebbe la
riunificazione delle associazioni mazziniane e
di quelle garibaldine nella Società
Emancipatrice Italiana, il nuovo
raggruppamento politico intendeva promuovere
il suffragio universale e la liberazione di
Roma e Venezia. Garibaldi ebbe un colloquio
con il Re e il nuovo capo di governo Urbano
Rattazzi il cui esatto contenuto non è noto ma
si suppone che l’eroe ritenesse di essere
autorizzato a intraprendere un’iniziativa per
la liberazione di Roma. Nello stesso anno
raccolse un certo numero di volontari in
Sicilia, fra i quali vi furono numerosi preti,
studenti, pittori, letterati, ma venne fermato
dall’esercito regolare sull’Aspromonte, dove
diede immediatamente ordine di cedere e non
rispondere al fuoco. Fu ferito, arrestato e
liberato poco dopo per l’intervento del Re.
Nel 1864 Garibaldi partecipò con Mazzini alla
Associazione Internazionale dei Lavoratori,
meglio conosciuta come Prima Internazionale.
Mazzini e proudhoniani vennero immediatamente
esclusi dal congresso per le loro posizioni
contrarie alla lotta di classe violenta,
Garibaldi non subì la stessa fine, ma non
mostrò segni di simpatia verso i due leader
emersi in quel consesso, Karl Marx e Michail
Bakunin.
Successivamente riprese la sua attività
all’interno della Massoneria, venne nominato
nel 1864 grazie anche all’intervento di
Francesco Crispi Gran Maestro del Grande
Oriente Italia in un periodo in cui i
socialisti non erano rappresentati
nell’associazione. In tale veste cercò di
riunificare la fratellanza che si era divisa
in numerosi raggruppamenti. Nonostante il
triste episodio dell’Aspromonte, nel maggio
1866 organizzò disciplinatamente il corpo
volontari per la Terza Guerra di Indipendenza.
Molto interessanti per definire la
personalità politica di Garibaldi, le sue
proposte presentate nel settembre 1867 al
Congresso internazionale di Ginevra per la
Pace e la Libertà, un incontro in cui
parteciparono grandi personalità come lo
scrittore Victor Hugo e il filosofo liberale
John Stuart Mill:
1. Tutte le nazioni sono sorelle.
2. La guerra tra di loro è impossibile.
3. Tutte le contese che sorgeranno tra le
nazioni dovranno essere giudicate da un
congresso.
4. I membri del congresso saranno nominati
dalle società democratiche dei popoli.
5. Ciascun popolo avrà diritto di voto al
congresso, qualunque sia il numero dei suoi
membri.
6. Il Papato, essendo la più nociva delle
sette, è dichiarato decaduto.
7. La religione di Dio è adottata dal
congresso e ciascuno dei suoi membri si
obbliga a propagarla.
8. Supplire il sacerdozio delle rivelazioni e
della ignoranza col sacerdozio della scienza e
della intelligenza.
9. Propaganda della religione di Dio,
attraverso l’istruzione, l’educazione e la
virtù.
10. La repubblica è la sola forma di governo
degna di un popolo libero.
11. La democrazia sola può rimediare ai
flagelli della guerra.
12. Lo schiavo solo ha il diritto di far la
guerra al tiranno.
La partecipazione al Congresso non distrasse
l’eroe dal proposito, realizzato subito dopo
la sua conclusione, ad una azione armata per
la liberazione di Roma. Venne arrestato una
prima volta a Sinalunga (nonostante le
proteste di 25 deputati), riprese il
tentativo, ma vedendo che i Romani non avevano
dato vita ad un’insurrezione interna dovette
desistere.
Nel 1871 il Generale partecipò alla sua
ultima azione militare, prendendo parte alla
guerra franco-prussiana, in difesa della
neonata Repubblica Francese, sorta dopo la
sconfitta di Napoleone III. Non partecipò alla
Comune di Parigi (duramente condannata da
Mazzini), ma espresse stima per l’ardore dei
Parigini. Venne eletto all’Assemblea Francese
nella lista dei radicali dove si espresse a
favore del ritorno di Nizza all’Italia,
respinta la richiesta diede immediatamente le
dimissioni.
Negli anni successivi alla costituzione
dell’Internazionale, la principale
organizzazione operaia nel nostro Paese era
data dal Patto di fratellanza tra le Società
operaie di mutuo soccorso costituito da
Mazzini, ma si profilava la nascita di
movimenti più estremisti. Nel 1872 alla
Conferenza di Rimini delle associazioni
italiane che partecipavano all’Internazionale,
Garibaldi contestò le posizioni bakuniniane di
una parte dei presenti senza ovviamente
manifestare una qualche simpatia per il
socialismo autoritario di Karl Marx che in
precedenza si era espresso verso di lui con
disprezzo.
Nello stesso anno Garibaldi partecipò al
Congresso di Roma del gruppo che
successivamente diede vita al partito radicale
che si era posto come principale scopo il
suffragio universale, l’istruzione laica e
gratuita, il decentramento amministrativo,
l’abolizione della tassa sul macinato,
l’abolizione della pena di morte. Due anni
dopo il nostro eroe venne rieletto alla Camera
dove espose un progetto per la bonifica delle
paludi dell’Agro Pontino e addirittura lo
spostamento del corso del Tevere per evitare i
periodici allagamenti della città di Roma,
alla fine si concorderà per la realizzazione
degli alti muraglioni per impedire lo
straripamento del fiume.
Nonostante l’evidente spostamento verso la
sinistra radicale parlamentare, il governo di
destra Minghetti nel 1874 propose per i
grandissimi servigi resi alla nazione una
rendita annua di 50.000 lire a favore di
Garibaldi, che con alcune titubanze accettò
dichiarando che sarebbero serviti a migliorare
la situazione del Tevere.
Nel 1879 Garibaldi, ormai gravemente infermo,
partecipò alla costituzione della Lega della
Democrazia insieme con altri esponenti
democratici radicali come Felice Cavallotti e
Agostino Bertani. Tale movimento riprendeva il
programma del 1872 ma con alcuni punti più
estremisti, l’abolizione del giuramento di
fedeltà dei deputati alla monarchia, la
laicizzazione dello Stato, la confisca e la
distribuzione dei beni ecclesiastici. Fu il
suo ultimo atto politico, tre anni dopo
sopraggiunse la morte nell’«eremo» di Caprera.
Garibaldi, come egli stesso scrisse, non era
un grande amante degli studi, ci ha lasciato
comunque alcune opere letterarie, interessanti
per la comprensione della sua personalità.
Nelle sue Memorie
si definisce «repubblicano quindi, essendo
questo il sistema della gente onesta, sistema
normale voluto dai più, e per conseguenza non
imposto colla violenza e coll’impostura.
Tollerante, non esclusivista, non capace
d’imporre per forza il mio repubblicanesimo».
In un’altra sua opera, Ricordi
e Pensieri, l’autore si esprime a
favore dei governi liberali: «La Repubblica
Svizzera — e la Monarchia Inglese —
rappresentano il bene — non il bene perfetto —
perché questo pare non conciliarsi colla
natura umana — ma quel tanto di bene che tiene
l’individuo nella sua dignità — e che lo mette
in caso di dire: — Il Governo è cosa mia — non
io cosa del Governo», tuttavia nella stessa
opera afferma: «Il mio convincimento circa al
bene d’una Dittatura elettiva, data da molto
più tempo... ma per Dittatore si vuole un uomo
onesto». In altri scritti minori, sempre molto
coloriti, insiste molto sull’opera nefasta del
clero in generale e mostra attenzione alla
situazione degli operai senza comunque
esprimersi contro le classi borghesi. In una
lettera diretta alla Società Operaia di Genova
del 1863, scrive: «Lavoro, Patria, Libertà:
ecco il programma vostro, operai, e di tutti
gli uomini che non credono creato il mondo per
satollare la loro ingordigia e la loro
ambizione» e in due missive del 1871 si
espresse sulla Comune di Parigi e sulla Prima
Internazionale, nella prima diretta al
direttore del giornale «La Roma del Popolo»
Giuseppe Petroni scrisse: «Io desidero non
succeda all’Internazionale, come al popolo di
Parigi, cioè di lasciarsi sopraffare dagli
spacciatori di dottrine onde essere spinti a
delle esagerazioni, e finalmente al ridicolo;
ma che studi essa bene gli uomini, che devono
condurla sul sentiero del miglioramento morale
e materiale, prima d’affidarvisi... Si
contenti l’Internazionale di ciò che è diritto
per lei, senza toccare alla proprietà e alla
eredità degli altri», nella seconda lettera
diretta al marchese Giorgio Pallavicino
afferma: «E se avessi saputo in febbraio,
quando lasciai l’Assemblea di Bordeaux,
ciocché in marzo doveva aver luogo a Parigi,
io certamente mi sarei recato in quella
capitale per propugnarvi la causa della
giustizia traviata dai soliti dottrinari... Io
non tollero all’Internazionale, come non
tollero alla monarchia, le sue velleità
antropofaghe. E così come manderei in galera
chi studia tutta la vita il modo di estorcere
la sussistenza agli affamati per pascere
grassamente i Vescovi, io vi manderei pure gli
archimandriti [capi congregazione, nota
dell’Autore] della Società in
quistione, quando questi si ostinassero nei
precetti: guerra al capitale; la proprietà è
un furto; l’eredità è un altro furto, e via
dicendo».