Giovanni Bezzi d’Aubrey, il patriota dimenticato
L’uomo di fiducia di Camillo Benso, conte di Cavour, a Londra, che scrisse un importante memoriale ad Umberto I nel 1878, prima di morire

Perché non celebrare l’uomo di punta del nostro Risorgimento, il Piemontese trapiantato a Londra Giovanni Bezzi d’Aubrey, insigne erudito, lo scopritore del ritratto di Dante al Bargello, lo studioso e uomo politico in stretta relazione con tutta la nomenclatura europea? Bezzi d’Aubrey non rappresenta solo il nostro Paese ma l’intero continente, le sue contraddizioni, le sue paure, di ieri come di oggi. Eppure io stessa, che mi occupo di storia del Risorgimento, di fatto non lo conoscevo. Ho poi scoperto una sua biografia, quasi per caso, l’unica esistente, edita nel 1970 da Adriano Muggia dal titolo emblematico: Giovanni Bezzi, il patriota dimenticato. Adriano Muggia ha scritto la sua opera grazie al ritrovamento tra le carte del Generale ed uomo politico Giuseppe Ottolenghi di appunti sul nostro. Ottolenghi fu nel XIX secolo il primo Generale in Italia di origine ebraica; sposò una Segre, vedova De Benedetti, come lui Ebrea e Piemontese. Credo che in queste ultime note sia contenuta la chiave di ciò che descriverò. Dopo l’Unità Nazionale relazionarsi con l’importante ruolo che in Patria e fuori i cittadini italiani di origine ebraica avevano avuto ed ebbero nel corso del Lungo Risorgimento divenne, soprattutto dopo le note vicende del 1870, motivo di conflitto, d’indagine serrata, anche tra gli storici, e dunque ragione di divisioni interne, che il Paese in quel momento non richiedeva. Credo che queste giustificazioni, certamente non immotivate sul piano storico, causarono l’oblio. Oggi tutto questo può essere, io credo, superato. Perché dalle contraddizioni del passato possiamo tranquillamente ricavare energie per spenderci in una ricerca di identità nazionale, oggi sì, assolutamente motivata.

Il nostro nacque a Desana (Vercelli) l’8 aprile 1796 (nelle carte della nipote Pia Sergiusti sta scritto 1785) da una famiglia dell’alta borghesia piemontese e crebbe a Casale Monferrato, centro assolutamente attivo in un dialogo, anche interreligioso, vivo sul piano culturale ed artistico. All’Archivio di Stato di Lucca c’è un fascicolo corposo a suo nome, donato da sua nipote, la signora Pia Sergiusti, una delle figlie di Teodorina. Pia Sergiusti fu vedova di Lisandro Sergiusti. Quest’ultimo, che appartenne ad una nobile famiglia lucchese, presente in città sin dal 1380, giustifica la presenza delle carte del Bezzi nella cittadina toscana. Del resto lui stesso, come avrò modo di dimostrare, mantenne, come il conte Cavour, vivi contatti con questa realtà geografica.

Ecco quanto ricaviamo da alcuni appunti inseriti nel suo fascicolo personale in Archivio[1]: «Ricevette la sua prima educazione al Liceo Imperiale fondato da Napoleone I – in Casale. Sin dalla prima giovinezza dimostrava un talento svegliatissimo, ma più di tutto per la musica – egli aveva sempre il violino, la chitarra in mano. A quattordici anni era compito violinista. Ad otto anni il padre fiero del talento del figlio lo metteva a piede sopra in tavola; teneva, incantata, la compagnia in casa. La sua famiglia era assai distinta ed a Palazzo Bezzi si davano conversazioni e concerti. Ciò nondimeno egli volle avere una professione, benché figlio unico. Studiò prima la medicina, poi studiò la Legge, allorquando scoppiò la Rivoluzione del 1821. Qui raccontare il fatto del Carabiniere se sembrerà opportuno al dottore di accennarlo. Questo incidente ebbe luogo in una rapida gita che fece a Casale di nascosto, prima della determinazione di fuggire in Inghilterra. La data dell’arresto a Milano da Bolza non hanno saputo dirlo quei signori – poco mi hanno aiutato». Prosegue l’ordinatore delle sue carte in Archivio: «1821 – Battaglia di Novara – Accennare alla gran sua ferita nel petto, a corpo a corpo con un ufficiale austriaco – che durò sotto un ponte sino a che ambedue i combattenti feriti pare in volere, quasi privi di forza, spontaneamente si misero in riposo momentaneo, per riprincipiare la lotta. Se non che in quel momento altri combattenti piombarono sotto il ponte ed i due avversari furono strascicati via coll’impeto della guerra generale. 1822 – Si ricoverò a Ginevra in casa di amici per la guarigione della ferita. Era in allora che contava una sempiterna amicizia col Sismondi.[2] 1823 – Segue il già scritto della fuga in Inghilterra. Arrivato a Londra primo passo fu di presentarsi al Comitato di soccorso per gli Italiani, già esistente dal 1821. Membri di questo Comitato erano parecchi di distintissime aristocratiche famiglie. Tra i moltissimi esuli il Bezzi fu subito conosciuto per uomo fuori dal comune tanto per talento che per potenza di spirito. Si trattava di guadagnare il suo pane. Si raccomandò per farsi maestro delle lingue francesi ed italiane. Trovò subito appoggio e raccomandazione. Ma per lungo tempo esaurito il piccolo peculio che aveva portato con sé dal Comitato svizzero e divisolo con altri compagni di esilio, egli versò in uno stato di miseria che si avvicina alla distruzione. Per tenersi soltanto che decentemente vestito e pagare una meschina camera nei sobborghi di Londra gli rimaneva non abbastanza per soddisfare all’indispensabile bisogno di nutrimento. Se non ché per il fascino del suo temperamento amabile e paziente unito all’indefessa consacrazione al lavoro anche fra le persone di condizione assai inferiore alla sua, incontrava una simpatia che esprimeva in vari valevoli modi di soccorso. Il già scritto dell’incredibile quasi inaudita forza con la quale si diede ad imparare la lingua Inglese. Il rapido passo che fece nell’introduzione nelle più nobili famiglie di Londra. Il vero amore che destò in loro, principalmente nella famiglia del Ministro Lord Grey. La moglie, che Egli sposò dopo il periodo londinese, in Italia, precisò nelle carte di aver ricevuto dal marito, quando ormai erano peraltro felicemente sposati, la notizia della presenza di un figlio illegittimo avuto proprio nel periodo londinese, poi abbandonato dalla madre naturale e seguito in tutto e per tutto dal padre: “Nessun torto fu fatto a me, ma testé che soltanto sette anni dopo la mia unione seppi dal mio caro stesso dell’esistenza di questo figlio. Era nel momento che entrando in una buona eredità io volli che rispondesse alla chiamata di Cavour – piovuto dalle labbra di Panizzi – coi suoi molti ed onorevoli incarichi a Londra, sin ora egli aveva mantenuto il suo figlio illegittimo. La madre, tanto elegante signora che poi si maritò, l’aveva abbandonato, lasciando il peso sulle spalle del padre. Io in allora senza nessun obbligo, nessuna promessa, che mai non me ne fece cenno, gli feci capire che c’era abbastanza per tutti, che ciò che era mio era suo, e che facesse come gli pareva il caso, per quel figlio. Sarebbe quanto Alfredo lo sa. La mia Nina nacque in quell’epoca di dolore”».

Apprendiamo dunque che la chiamata di Cavour in Piemonte, per onorare l’incarico di Parlamentare Subalpino, venne su suggerimento dello stesso Antonio Panizzi, che lo stimava e l’aveva a cuore. Col celebre direttore del British Museum il nostro fu, sin dai primi anni di esilio a Ginevra, in stretta armonia. Vogliamo quindi addentrarci nei primi anni a Londra, quando il nostro fu un faro, un nume tutelare, al pari di Antonio Panizzi, per i fuoriusciti italiani, ed un autentico punto di riferimento per lo stesso Cavour, che nel Piemontese fuoriuscito trovò un uomo colto, sensibile, capace di misurarsi con la società londinese e, soprattutto, come avrò modo di riferire in una annotazione che aggiungerò poi nello scritto, anche spregiudicato, come l’insigne suo mentore, il conte «che fece l’impresa». Le frasi contenute nel fascicolo rinvenuto parlano da sole: «Il Comitato per il soccorso degli Italiani rifugiati.

I sottoscritti italiani residenti in Inghilterra desiderano fare appello ad ogni persona di umani e benevoli sentimenti in pro degli esuli Italiani che hanno trovato un esiglio in questa terra ospitale. Nativi di un clima dolce e geniale, diversi di loro allevati tra i conforti ed i lussi della vita domestica, ora vanno vagando fra le strade di Londra senza casa, sconosciuti, appena vestiti, in mezzo ai rigori della stagione, quasicché consunti di fame. Per la maggior parte sono desiderosi e ben qualificati per varie occupazioni; ma l’ignoranza loro della lingua inglese, la mancanza delle necessarie raccomandazioni che impedisce di valersi delle loro abilità in qualunque utile mestiere; i sottoscritti mossi dall’umanità e dalla carità cristiana si sono costituiti in un comitato; e per aiutare ai bisogni più urgenti cinquanta fra di loro ricevono giornalmente la tenue somma di otto soldi ciascheduno. Colla più rigida economia questa somma da uno scarso posto in comune ogni giorno. Inglesi – Cristiani! I sottoscritti si volgono a voi, con piena fiducia nella vostra benevolenza. E bene conosciuto che alcuni nomi, anche ben colti, hanno tentato di chiudervi il cuore contro i casi tristi dell’Italia, e hanno dipinti come più pericolosi quei disgraziati che hanno combattuto per la loro Patria. – Ma dopo la pubblicazione del signor Gladstone siete capaci di giudicare fra di loro ed i loro avversari. I sentimenti poi di una Nazione libera e potente sono sempre di più dei calpestati dagli stranieri. Non è però nel senso della politica che facciamo appello al vostro aiuto. Siete invitati a cooperare in un’opera di carità, e non pretendiamo di asserire che ognuno di questi disgraziati sia ugualmente meritevole della vostra compassione, ma tutti quanti sono nel più urgente bisogno – e per la maggior parte son ben noti, e uomini di illibata buona fede, fra di loro si trovano Nobili, Probi uomini di scienze, medici ed artisti. – Non è nella vostra natura di guardare troppo minutamente nei meriti di quelli che domandano la carità – basta per voi sapere che sono nella miseria. Voi Inglesi venerate il libro in cui sta scritto che il Vostro Padre in cielo ama lo straniero, amatelo voi pure!». Di questo Comitato il Bezzi era promotore e Presidente, Segretario. Una vicenda aveva particolarmente segnato le questioni di quegli anni dei patrioti italiani a Londra, mettendo in imbarazzo lo stesso Cavour. E bene viene descritto l’episodio. L’intervento del direttore della polizia londinese chiarisce a pieno titolo quanto lo stesso nutrisse per il Bezzi forte considerazione, di concerto con la maggior parte delle famiglie aristocratiche londinesi: «Brano di lettera al Bezzi del capo della Polizia in Inghilterra: Ricevo la vostra lettera col massimo piacere – mi terrò sempre felice di poter aiutare in quanto che potrò alla grande opera della rigenerazione della gloriosa vostra Patria. Sono affatto ignorante degli statistici d’Italia – sarebbe perciò presunzioso in me di stendervi una memoria per lo stabilimento di un corpo di Polizia per la Sardegna, posso soltanto mandarvi gli atti del Parlamento coi quali si stabilì la forza di Polizia in questo Paese d’Inghilterra. Non è possibile nel compasso di una lettera d’entrare in un soggetto tanto importante, ma se il vostro Governo desiderasse maggiore spiegazione alla vostra chiamata, volentieri mi recherei a Torino onde prestarvi l’aiuto di ogni informazione in mio potere».

Questo era stato l’episodio in Londra che in Italia aveva scatenato un’ondata di polemiche: «Il fatto di Carlo Arrivabene[3] è accaduto così. Uno di quei disgraziati assai pregiudicati in Italia venuto un giorno all’alloggio del Bezzi, che si trovava insieme con Arrivabene, chiede di un maggior soccorso dal Comitato di quanto era il suo diritto. – Vedendo negata la sua dimanda, entrò in improperie e minacce, sicché il Bezzi gli intimò di ritirarsi, e lo accompagnò a capo della scala. – Arrivabene osservava – in silenzio ma venuto indietro al Bezzi vide quell’infame tirare proditoriamente il coltello dietro il Bezzi. – In un momento Arrivabene saltò al collo dell’infame, e con buoni colà lo fece rotolare giù dalla porta scale, aprì la porta di casa, e con un altro spinto di piede lo stese fra il fango della strada. – Poi raggiunse in Bezzi – con tutta calma – Era in allora un bel e bravo giovane, dedito al mio Bezzi per benefizii da lui ricevuti». La data di questo fatto, 1851, è prova abbastanza dello sbaglio incorso circa l’anno della deputazione. La cosa non stupisce: «La lettera del Bezzi al Cavour verge soltanto per prova come anche per l’agricoltura, il Cavour si volgeva a lui per aiuto». Così sta scritto nel suo fascicolo personale in Archivio. Siamo in un momento particolare: il 1853. Giovanni Bezzi d’Aubrey, in quel periodo per due legislature Parlamentare Subalpino, riceve un incarico ulteriore che qui non viene menzionato ma che una lettera rinvenuta nelle carte della Marchesa Eleonora Bernardini di Lucca lascia supporre. Nel suo fascicolo personale in Archivio c’è una lettera di Lord Minto al Bezzi: «Nervi, marzo 1853. Caro signor Bezzi, in affari come questi il tempo è d’importanza perciò non ho voluto aspettare la lettera che mi promettete dalla Lady Grey ma questa mane stesso per mezzo di Lord Hudson ho scritto confermando di vero cuore la testimonianza in vostro favore del Lord Londwowne e di Panizzi, testimonianza di altri più valore delle mie. Però la raccomandazione che desiderate al Conte Cavour non era necessario per voi. Io già vi congratulo perché son sicuro che i vostri voti saranno pienamente esauditi. L’amico Minto». Egli era già stato incaricato d’affari a Torino; il successore suo era Hudson. Minto amava assai l’Italia e fu di grandissimo aiuto alla causa dell’indipendenza sua. In quel 1853 iniziò la Guerra di Crimea in cui Cavour si inserì un anno dopo, con un corpo di spedizione sabaudo, allo scopo di far conoscere in Europa le vicende italiane al congresso di Parigi del 1856. Qui prese l’avvio del processo di unità nazionale. In verità il terreno era già stato preparato, se in data 26 maggio 1854[4] Giovanni Bezzi scriveva da Livorno alla Marchesa Eleonora Bernardini di Lucca: «Madame la Marquise, je ne venais que ce matin une reponce de Marseille selon la Lègion étrangere pour Algeri. Il y a souvent mais qu’an m’en fait… Bien fait recevoir pour le bateax annès cematin». Il messaggio viene classificato dalla polizia granducale toscana come sospetto. Le frasi sono in effetti apparentemente «sconnesse», ed il riferimento alla Legione Straniera Francese affatto marginale. Considerando che la Marchesa Eleonora Bernardini è stata un’amica sincera e molto amata dall’ex Imperatrice Giuseppina Bonaparte, prima moglie di Napoleone I e nonna dell’Imperatore Napoleone III. Considerando che l’intera famiglia Bonaparte ha sempre assiduamente frequentato la Marchesa, nei tempi bui così come nei tempi felici.[5] Che quest’ultima ha addirittura coperto i patrioti mazziniani che negli anni Trenta del XIX secolo erano ricercati dalle varie polizie della Penisola, compresi gli stessi Bonaparte, quando questi erano dei rifugiati politici mazziniani nel Ducato Borbonico Lucchese, si evince che la Marchesa, peraltro sempre in sintonia con Casa Savoia,[6] fosse tenuta in seria considerazione dallo stesso Cavour. La Marchesa non era personaggio che si potesse ignorare, nell’intero contesto nazionale. Il principe Metternich, e sappiamo tutti quale abile diplomatico fosse, l’aveva in grande considerazione[7] e, come appare dalle lettere rinvenute, la teneva d’occhio nelle occasioni mondane, questo sempre negli anni Trenta del XIX secolo.[8] Nel 1854 la Marchesa, ormai anziana (morirà in Lucca l’anno successivo), che poco sopportava la dinastia granducale toscana, come traspare sempre dalle sue lettere,[9] fu prodiga di attenzioni sia nel sostegno ad uno Stato Sabaudo in forte espansione che verso l’Imperatore Francese, che non poteva non amare, quasi con affetto materno, visti i suoi trascorsi.[10] Dunque il nostro non era un Parlamentare Subalpino qualsiasi, ma un vero e proprio «agente», un uomo di fiducia di Camillo Cavour, che si spendeva e si era speso al servizio di una nobile causa, quella italiana, a tutto tondo. La stessa appartenenza a Aubrey House, in Londra, spiega il suo comportamento.

Aubrey House, simbolo del parlamentarismo, frequentata dagli ambienti carbonari e liberali in ambito internazionale. Qui troviamo Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi ma anche Antonio Panizzi, Miglio, Beolchi, Gabriele Rossetti. Luogo deputato alla cultura liberale sia in ambito letterario, che artistico e politico. In effetti il nostro frequentò moltissimi intellettuali europei. Come già detto egli era in relazione più o meno coi letterati, artisti, e uomini di scienza tra cui Samuel Coleridge (poeta e filosofo inglese), Lord Macaulay (storico, saggista e politico «whig» inglese), Samuel Rogers (poeta inglese), Georges Grote (storico rinomato), Landor (rinomato letterato, suo amico personale). Di Antonio Panizzi era intimissimo.[11]

Lo storico lucchese Gino Arrighi nel 1960 scrisse un breve articolo dal titolo Un invito conciliazionista di Giovanni Bezzi pubblicato sull’«Eusebiano», settimanale cattolico di Vercelli.[12] Si tratta di un memoriale inedito a Umberto I che il Bezzi scrisse nel 1878, l’anno prima del suo decesso, avvenuto in data 7 febbraio 1879. Gli importanti contenuti del memoriale e le particolari condizioni in cui è stato rinvenuto già di per sé offrono molte spiegazioni. Il memoriale del patriota potrebbe essere stato scritto dallo stesso Cavour, quasi direi il suo intervento quello di un «Cavour dall’oltretomba», l’accorato appello di un uomo che aveva fatto la storia del suo Paese e che, ormai vecchio, avrebbe voluto una conciliazione religiosa e politica all’interno dello stesso, tale da farlo davvero decollare anche in ambito internazionale. Scrive Giovanni Bezzi a Sua Maestà Umberto I: «Sono un esule del 1821 per aver preso parte come federale alla prima infausta battaglia di Novara in quel romantico primordio della liberazione della nostra Patria; passai in Inghilterra credo un non inonorato né sterile esiglio, poiché vidi ivi l’andamento del sistema di governo di quella gran Nazione che sa conciliare il diritto pubblico col privato. Il compianto conte Cavour mi chiamò in Italia nel 1856 e nelle due legislature in che io sedei in Parlamento, mi affidò diverse incombenze particolari collo scopo di sempre più stringere le simpatie fra l’Italia ed il Governo e la Stampa Inglese, e così e prima e dopo la triste Pace di Villafranca mi fu largo della sua benevolenza, mi onorò anzi della sua intrinsichezza e mi manifestava anche alcuni dei suoi più intimi pensieri; la conciliazione della potenza ecclesiastica colla civile, era allora come è tuttavia la difficoltà più irta di quante possano minacciare l’avvenire della Patria e quello di Vostra Maestà che sono una sol cosa, ed essa s’affacciava alla mente di quel sommo Uomo di Stato con tutte le sue complicazioni, e perciò ammirava la perspicace insistenza colla quale il vostro augusto genitore non istancandosi dalle ripetute respinte del mal consigliato Pontefice, ripeteva le sue benevole e soave proposte di accordamento tra i due poteri». Il memoriale è mancante di una parte che lo storico Arrighi non è riuscito a rinvenire. Cosa avrà mai contenuto l’altra parte del memoriale, ossia quella mancante? Non la si trova perché andata smarrita o semplicemente occultata?

Giovanni Bezzi offre comunque in queste frasi preziose indicazioni. Cavour lo richiama in Italia nel 1856, questo quanto scrive. Ma già nel 1848 Bezzi è in Italia e si occupa di giornalismo oltre che di erudizione, come lui stesso afferma. E la politica? È indubitabilmente membro attivo, anche quando non ricopre cariche parlamentari. Lo storico Gino Arrighi nella sua trattazione ricorda che nel dizionario Rosi ha rinvenuto due Giovanni Bezzi. Il Giovanni Bezzi riferimento nella lettera inviata alla Marchesa Bernardini di Lucca in data 26 maggio 1854 è Bezzi d’Aubrey, dunque il Giovanni Bezzi vercellese in quanto chi, se non lui, poteva avere questa grande familiarità con la Legione Francese e dunque con gli ambienti cari a Napoleone III? Non avevano forse vissuto a Londra, a contatto con i patrioti italiani, proprio i Bonaparte negli anni in cui Bezzi ivi ricoprì un ruolo del tutto speciale? E i Sergiusti, con cui poi la nipote del Bezzi d’Aubrey si sposò, non erano forse in sintonia con il Duca Carlo Ludovico di Borbone, che fu vicino a quei Bonaparte, al punto che, come appare nell’Almanacco di Corte del 1844 il Gonfaloniere era Tommaso Sergiusti? I suggerimenti che la Marchesa Bernardini dava in quegli anni a Padre Gioacchino Prosperi, il sacerdote aristocratico lucchese vicino ai Rivoluzionari Corsi, non rispondevano forse alle prerogative di quei Bonaparte, allora ardenti mazziniani, ospiti del Duca?

Cavour, che in quel frangente voleva entrare nella Guerra di Crimea (siamo nel 1854) corteggiando non solo Londra ma anche Napoleone III, fece, visto il documento, della Marchesa strumento di mediazione, inviando il Bezzi a Livorno in quelle che lo stesso Bezzi definisce nel memoriale «incombenze particolari». Egli cita quelle relative all’Inghilterra e non si sbilancia sulla Francia. Ma l’avere a cuore il Bezzi, al termine dei suoi giorni, proprio la questione conciliazionista è prova evidente di quanto egli si spese in tale opera, che vide Napoleone III al centro delle trattative tra Papato e Casa Savoia.

Giovanni Bezzi dunque, fattosi cittadino inglese, cultore della figura del sommo Poeta, che nel 1840 venne a Firenze, ove nel palazzo del Bargello scoprì il ritratto di Dante ad opera di Giotto.[13] Che nel 1848, concessa la Costituzione nel Regno Sabaudo, ritornando in Italia, stringendosi sempre più a Cavour, con lui in corrispondenza, fu chiamato a collaborare nella stampa liberale. E non si trattò di un fatto di circostanza, ma di sostanziale ed essenziale interesse politico. A lui si affidarono nomi come i patrioti già menzionati Miglio, Beolchi, Panizzi, Rossetti. Ma soprattutto Giuseppe Garibaldi e nel primo periodo londinese anche Giuseppe Mazzini. Dante ed ancora Dante. Per tutta Europa il nostro fu un autentico simbolo della letteratura dantesca e della lingua e cultura italiana. Ma anche un simbolo per un Napoleone III, che certamente non disdegnò l’origine liberale delle sue idee, lui (Bezzi) che si era formato in epoca napoleonica nel Liceo di Casale, istituito dall’Imperatore Napoleone I. Non patriota dimenticato, il nostro, ma ad imperitura memoria.


Note

1 Archivio di Stato di Lucca, Carte Giovanni Bezzi, dono professor Ezio Ricci, inventario volume II, numeri 34-46, numero 721, protocollo 1954, numero 42 (Legato Cerù).

2 Filosofo e letterato svizzero.

3 Celebre patriota esiliato.

4 A. S. L. Dono Carafa, fascicolo II, Carteggi, filza numero 4, riferimento 1326.

5 Zibaldone Lucchese, Tomo I, pagina 238; Bollettino Storico Lucchese, Anno IV, 1932, pagine 187-202; A. S. L. Carte Bernardini, lettera del 4 aprile 1808; lettera del 20 giugno 1809; Masson, Napoléon et sa famille, volume V, pagina 51; A. S. L. Carte Mansi, filza 4, riferimento 206.

6 A. S. L., Carte Manzi, filza 4, lettera del 23 settembre 1838.

7 Ibidem.

8 Ibidem.

9 Ivi.

10 A. S. L., Dono Carafa, fascicolo II, filza numero 4, riferimento 1326.

11 A. S. L., Carte Bezzi.

12 Da «L’Eusebiano», settimanale cattolico dell’Arcidiocesi Vercellese, Anno III, numero 28, Vercelli 7 Aprile 1960.

13 Firenze Sansoni 1903, pagina 533 e Manuale di Letteratura Italiana I 275 e volume VI, 339, con molti rinvii bibliografici.

(giugno 2016)

Tag: Elena Pierotti, Risorgimento, Giovanni Bezzi d’Aubrey, Ottolenghi, Segre, De Benedetti, Casale Monferrato, Sergiusti, Cavour, Novara, Sismondi, Ginevra, Lord Gray, Londra, Arrivabene, Lord Minto, Eleonora Bernardini, Algeri, Napoleone, Umberto I, Guerra di Crimea, Garibaldi, Mazzini, Dante.