Giovanni Gentile, «Archivio di Corsica», 1932
Non solo irredentismo

Giovanni Gentile scrisse nella rivista «Archivio di Corsica», anno 1932, diretta da Gioacchino Volpe, che se avesse ritrovato le carte di Nicola Cattaneo dei Cattaneo di Corsica avrebbe riscritto la storia d’Italia. Giovanni Gentile non mentiva.

Chi era Nicola Cattaneo? Era cugino di Felice Baciocchi, cognato di Napoleone I, poiché il Baciocchi, anche lui Córso, aveva sposato Elisa Bonaparte, una delle sorelle di Napoleone. E sarebbe diventato un Principe consorte che resse il Principato di Lucca dal 1805 al 1815. I Cattaneo di Corsica avevano una qualche parentela con Carlo Cattaneo, Milanese ed emblema del laicismo repubblicano federale del secolo XIX? Probabile. Ne farò cenno più avanti.

C’è un breve fascicolo (tre documenti) presente all’Archivio di Stato di Lucca sulla famiglia Cattaneo, Nicola compreso. Nicola Cattaneo fece parte dell’Armata di Gioacchino Murat quando questi tentò di mantenere il Regno di Napoli, dopo la disfatta napoleonica, e poi di costruire, impresa andata a vuoto, uno Stato Nazionale Italiano nel 1815. Il fascicolo si trova in Lucca perché Nicola Cattaneo ivi morì nel 1874 in Sant’Alessio, a soli tre chilometri dalla città. Questi documenti descrivono il valore militare di Nicola Cattaneo e dei suoi congiunti, senza tuttavia addentrarsi nei particolari circa le imprese militari e politiche a cui sicuramente Giovanni Gentile con la sua affermazione faceva riferimento.

La volontà di costruire un’identità córsa fu propria di tutti gli Isolani, anche bonapartisti, che avevano un ruolo decisivo sull’Isola bella. Personaggi avvicinati a più riprese da un personaggio «chiave» nella Lucca del XIX secolo: Padre Gioacchino Prosperi, definito il predicatore della Corsica, vissuto dal 1795 al 1873. Finito nel dimenticatoio esclusivamente per ragioni politiche e non certo per il suo significativo ruolo di agente massone, come un documento presente nel suo fascicolo all’Archivio di Stato di Lucca lo definisce.

Di lui ho scritto parecchio poiché si tratta del protagonista della mia tesi di laurea, e grazie a lui ho potuto avvicinare quelle frange bonapartiste cui egli aveva aderito e che aveva a sua volta avvicinato.

Prosperi di fatto è un conte lucchese che ha preso i voti in Sant’Andrea al Quirinale a Roma nel 1815 divenendo Padre Gesuita. Fa parte di una nobile famiglia lucchese di antiche origini. Nel XIX secolo sono dei cattolici liberali. Ma dobbiamo precisare. Il cattolicesimo liberale in Lucca ha delle peculiarità che non sempre sono state ben delineate. Lucca era da sempre di fatto una città-stato. E lo resterà fino al 1847, anno in cui il Duca Carlo Ludovico di Borbone-Parma cederà la città in anticipo di un anno rispetto alle decisioni prese al Congresso di Vienna al Sovrano del Granducato di Toscana Leopoldo II di Asburgo-Lorena. Questo ufficialmente per bancarotta.

Una città-stato per reggersi in piedi quasi per mille anni dovrebbe aver avuto quanto meno un esercito. Per quanto i capitali accumulati in Lucca prima col Ducato Longobardo, potente durante l’Alto Medioevo, poi dalle famiglie di banchieri che si nobilitarono e divennero la spina dorsale della città non potevano bastare, per quanto massicce, a reggere in piedi, senza un suo esercito, per così tanto tempo, la città-stato.

Solitamente gli storici sostengono che la città di Lucca era pienamente in decadenza per questioni anche finanziarie, a partire dal Quattrocento. Ciò non spiega, ritengo, a sufficienza, come la città sia rimasta indipendente, di fatto, ancora per quattro secoli.

Quindi, in ultima analisi, ritengo che il cattolicesimo lucchese delle famiglie che rappresentavano appunto l’ossatura della città, non fosse solo bianco, ma direi bianconero. De resto anche durante il Medioevo Lucca si era sempre barcamenata tra Papato e Impero e ciò le aveva procurato oneri e onori. Tale comportamento fu un sostegno politico per mantenere a lungo la sua indipendenza. Uno Stato «canaglia», mi si passi il termine, per dirla con una terminologia recente. Probabilmente sì.

Prendiamo a esempio Padre Gioacchino Prosperi, il protagonista della mia tesi di laurea.

Una famiglia, la sua, che affondava le radici in epoca medievale e nella prima età moderna. Non sappiamo se i Prosperi Lucchesi (erano conti, così afferma lo stesso religioso in una sua lettera) della sua famiglia sono gli stessi Prosperi Lucchesi che nel Quattrocento lasciarono la città per recarsi a Ferrara e qui divenire in breve tempo i principali feudatari estensi, mantenendo proprietà in Lucca fino ai nostri giorni. Il Professor Paolo Zanardi Prosperi di Ferrara, erede di questo gruppo parentale, non ha potuto indicarlo stanti i pochi documenti che ha consultato al riguardo, nella sua pubblicazione dal titolo Tra Lucca e Ferrara. Molti tuttavia sono gli indizi che farebbero pensare a una comunione tra questi due rami di Prosperi in Lucca. Non ultima l’ubicazione di talune proprietà.

Lo spostarsi di queste nobili famiglie lucchesi da un territorio a un altro era cosa abbastanza comune. E lo si fece sempre, più massicciamente nel Cinquecento, con la riforma protestante. In molti infatti in Lucca aderirono ai principi della riforma e dovettero fuggire all’estero, soprattutto a Ginevra. Mantenendo però contatti con la madrepatria e con chi qui era rimasto; non allontanandosi quindi dai luoghi di origine, perché si apparteneva alla medesima famiglia. Alcune famiglie celebri che subirono questa sorte sono i Burlamacchi, i Calandrini, solo per citare qualcuno.

In Lucca non prese piede l’Ordine Gesuita, e dunque il Tribunale della Santa Inquisizione di fatto «lavorò di meno». Chi sostituì i Padri Gesuiti nel compito di vigilare sull’ortodossia dei suoi cittadini fu un Ordine Religioso di Serviti che in città vide la sua fondazione nel 1574, i Chierici Regolari della Madre di Dio. Ciò a riprova di una certa indipendenza della città da Roma, naturalmente non nominale ma forse sostanziale. Sicuramente la capacità di barcamenarsi la fece da padrona. Tuttavia il denaro accumulato nel Medioevo, le rimesse di denaro che sicuramente arrivarono da Ginevra e da quei luoghi dove le famiglie nobili cittadine si recarono, causa la riforma protestante, la proverbiale propensione al risparmio dei Lucchesi, tutto ciò non basta a definire un’indipendenza millenaria senza un esercito.

Perché allora, potremmo chiederci, che ce ne facciamo noi di un esercito se questi sono vissuti per mille anni affidandosi a mercenari e a strategie che sicuramente a noi contemporanei sfuggono parzialmente, tanto che la storiografia non ha saputo adeguatamente definirle?

La storiografia ufficiale non parla neppure delle rimesse dei Lucchesi ormai stabilitisi a Ginevra, dicendo che nella fuga tali famiglie furono costrette a portarsi via notevoli capitali e che per questo impoverirono la città. Ritengo che se i rapporti tra i vari rami familiari ci furono, e ben sappiamo che restarono, allora una qualche partita di giro doveva pur esserci, e su questo non mi trovo d’accordo con la storiografia ufficiale.

Mi sembra gioco-forza, anche se nero su bianco niente sin qui è stato «dimostrato».

Possiamo subito capire tuttavia da queste poche pennellate che il cattolicesimo e poi cattolicesimo liberale lucchese, non fu a senso unico, ed ebbe molti risvolti italiani ed europei. Ecco perché l’ho definito bianconero prima ancora che bianco. Le vicende del religioso Padre Prosperi, vissuto nel XIX secolo, bene illustrano questo mio pensiero.

Isola Rossa, il Niolo, queste sono solo due delle regioni córse che Padre Prosperi suggerisce nelle sue peregrinazioni «missionarie» a sfondo politico. E l’editore Fabiani di Bastia, per cui pubblicò La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, una garanzia per tutti i rivoluzionari della prima metà del XIX secolo, Córsi e non.

Un breve «excursus» storico dunque, prima di ritornare alla frase, direi essenziale, di Giovanni Gentile, cui ho fatto cenno.

La Corsica del XVIII secolo apparteneva alla Repubblica di Genova. Nel 1768, anno antecedente la nascita di Napoleone Bonaparte, l’Isola fu ceduta alla Francia. Per un solo anno dunque Napoleone poté essere cittadino francese, e accedere all’accademia di Brienne, divenendo il condottiero e Imperatore dei Francesi che tutti conosciamo. Suo fratello maggiore, Giuseppe, nato l’anno precedente, nel 1768, non era cittadino francese.

Per molto tempo la famiglia Bonaparte, come molti altri notabili dell’Isola, sostenne il Generale Córso Pasquale Paoli e la sua lotta per un’indipendenza della Corsica, prima da Genova e poi dalla Francia. Interessi particolaristici spostarono i Bonaparte sul fronte avverso al Paoli in un secondo tempo. La conquista francese della Corsica, proclamatasi Stato Indipendente, fu contrastata da Pasquale Paoli. La famiglia Bonaparte in un primo momento lo sostenne, poi per difficoltà particolaristiche legate anche a vicende familiari come la morte dello stesso padre dell’Imperatore, portarono la famiglia a lasciare la Corsica per dirigersi in Francia, e precisamente a Marsiglia, abbandonando le precedenti velleità politiche.

Pasquale Paoli aveva fondato a Corte, nel cuore dell’Isola, una Università in lingua italiana per la preparazione delle classi dirigenti córse, che facevano storicamente capo all’Università di Pisa quale sede di istruzione superiore. Anche il padre di Napoleone I, Carlo Maria Buonaparte, e il fratello maggiore dell’Imperatore, Giuseppe, qui si laurearono in Legge.

Pisa del resto era stata punto di riferimento per l’Isola bella non solo sul piano dell’istruzione. I dialetti toscani di tipo pisano avevano fino al XIII secolo sopravanzato su altri, e ingenti fino a quel periodo furono i tentativi di ripopolamento isolano a opera dei dominatori, che appunto erano i membri della città costiera toscana. Questo a partire dall’anno Mille.

Dal XIII al XVIII secolo i Pisani furono sostituiti dai Genovesi, che insediarono interi borghi di lingua ligure. Ricordiamo tra questi Bonifacio e Calvi. Il toscano illustre rimase comunque la lingua ufficiale. La totale abolizione dell’utilizzo dell’italiano si ebbe con Napoleone III. Ancora negli anni 1838-1839 (quando Padre Prosperi faceva la spola «missionaria» con l’Isola) il filologo Niccolò Tommaseo e Salvatore Viale, intellettuale córso suo amico e collaboratore, si dedicarono allo studio e alla valorizzazione del vernacolo córso e della lingua italiana. Ancora in quel periodo, prima sicuramente dell’avvento di Napoleone III al potere, il partito bonapartista córso era in auge sull’Isola, come la vicenda umana e spirituale di Padre Prosperi suggerisce. Nella seconda metà dell’Ottocento, anche se la Corsica non entrò a far parte del progetto unitario italiano, rimase pur sempre una terra caratterizzata da una popolazione di origini italiane in prevalenza, dove il dialetto córso era ampiamente usato. Nel 1889 rientrarono da Londra le spoglie del Generale Pasquale Paoli, il padre della Patria. Per ragioni politiche il Regno d’Italia non chiese la Corsica. Tuttavia ci furono illustri garibaldini di origini córse come Leonetto Cipriani di Centuri (Capo Corso) che divenne Governatore delle Legazioni Pontificie e poi Senatore del Regno Italiano. Egli avrebbe voluto ripetere una piccola spedizione dei Mille quando Garibaldi era presente a Caprera, in Sardegna, approfittando della vicinanza geografica dell’Eroe dei Due Mondi all’Isola bella.

Nel 1896 fu fondata da Santu Casanova (1850-1936) la rivista satirica in lingua córsa «A tramuntana». Egli cercò di conciliare i diversi gerghi del dialetto córso, sostenendo le origini linguistiche isolane. I Casanova sono dei Córsi citati nelle lettere di Padre Gioacchino Prosperi.

Altra rivista è «A Cispa», che altro non è che un lungo fucile usato sia dai montanari che dai banditi.

Erede di questa tradizione fu Petru Rocca, sostenitore dell’indipendentismo córso nella prima metà del XX secolo. Ma anche Ghjuvanni e Anton Filippini. Quest’ultimo fu segretario di Galeazzo Ciano, il genero di Mussolini. Possiamo ricordare sempre nella prima metà del XX secolo l’attivismo politico di Bertino Poli, di Domenico Carlotti, di Marco Angeli, di Petru Giovacchini.

Vi fu Marta Renucci, giornalista francese che sostenne nel XX secolo l’indipendentismo córso (Renucci è un altro cognome presente tra le frequentazioni del sacerdote Gioacchino Prosperi). Marta Renucci fondò la rivista córsa «A Viva Voce», unica in lingua italiana, che vuol sostenere le origini culturali dell’Isola.

Negli anni Trenta del XX secolo Gioacchino Volpe diresse la rivista «Archivio di Corsica», cui collaborò anche Giovanni Gentile. Non si trattò solamente di valorizzare l’autonomia identitaria dell’Isola e l’indipendentismo, che sicuramente il fascismo sposò. La questione veniva da lontano e mai si era sopita.

Dai documenti rintracciati ho rinvenuto che nella prima metà del XIX secolo i Bonaparte fuggiaschi e mazziniani sposarono i valori indipendentisti isolani, prima naturalmente dell’avvento al potere di Napoleone III. L’Italia in quel periodo si apprestava a una lotta indipendentista di stampo federale e con ogni evidenza anche la Corsica e il partito bonapartista allora in auge volevano inserirsi in queste dinamiche politiche. Poi la storia prese una piega diversa. Tuttavia in quel periodo personaggi come Lord Holland, uno dei fondatori a Londra del partito Whig fu non solo vicino alla famiglia Bonaparte, come appare dai documenti, ma a certe velleità politiche. Il partito Whig altro non è che il moderno partito conservatore britannico. Voleva forse negli anni Trenta del XX secolo, un personaggio come Sir Winston Churchill, emulare il suo illustre predecessore? Le simpatie filofasciste di Churchill tutti le conosciamo, almeno finché Mussolini non si avvicinò alla Germania Hitleriana. Possiamo assolutamente ipotizzare che i tentativi di rivisitare storicamente la prima metà del XIX secolo circa la Corsica da parte di storici come Luigi Venturini, Ersilio Michel, Gioacchino Volpe e Giovanni Gentile fossero animati da spinte politiche non solo italiane, ma anche estere. Si sarebbe trattato in ultima analisi di rinverdire i fasti politici della prima metà del XIX secolo, basta leggersi le carte appartenute al religioso lucchese Padre Gioacchino Prosperi.

Delle sue gesta troviamo infatti tracce proprio nelle pubblicazioni del Michel e di Luigi Venturini, suo biografo, ma anche nelle ricerche di Mario Ferrara, peraltro amico del Lucchese Mario Pannunzio, che non era neppure filofascista. Un interesse dunque generalizzato in quel periodo verso una Corsica che forse aveva rappresentato la «genuinità» del Primo Risorgimento Italiano. Quando tutti indistintamente collaborarono per cacciare il comune nemico austriaco, mazziniani democratici e cattolici liberali votati a sacrificare certe prerogative pur di valorizzare principi sacrosanti.

Una lettura a senso unico di quelle carte, ha indotto la storiografia ad abbandonare una rivisitazione del nostro Risorgimento in un’ottica più completa e allargata dell’attuale. Dove tutti coloro che non facevano Asburgo desideravano staccarsi da Vienna e ricostruire una identità nazionale comune e unica al tempo stesso. Corsica inclusa.

Quando Padre Prosperi dice che «il laicismo italo-sardo era ancora fastidiosamente vantaggioso» include con tutta probabilità nel novero delle sue «frequentazioni» anche un Carlo Cattaneo, sicuramente chi aderiva ai suoi valori. Diverse, molto diverse, erano le priorità del rosminiano Padre Gioacchino Prosperi, però non era possibile in quel periodo prescindere da una collaborazione fattiva di frange politiche così diverse.

Analogamente nella prima metà del XX secolo la Corsica nel Mediterraneo appariva agli occhi degli Inglesi e non solo dell’Italia una possibilità per controllare la Francia e il suo potere nel Mediterraneo. Come escluderlo? Un «continuum» storico, dunque, dove sicuramente i Bonaparte non la facevano più da padroni. Semmai potevano rappresentare sul piano storico la primitiva ricerca di un assetto politico dell’Isola bella e italiano diverso da come poi si profilò.

(aprile 2021)

Tag: Elena Pierotti, Corsica, Pasquale Paoli, Napoleone Bonaparte, Giovanni Gentile, Archivio di Corsica, Giuseppe Garibaldi, Padre Gioacchino Prosperi, Leonetto Cipriani, Galeazzo Ciano, questione corsa.