Lord Henry Holland ed i suoi contatti italiani
Alle radici della nostra Unità nazionale

La nostra Unità nazionale ha radici lontane. Prende le mosse, nel suo divenire, ai tempi della Rivoluzione Francese quando il Britannico Lord Holland, che col suo salotto e la sua ospitalità avrebbe sostenuto i più importanti fuoriusciti italiani a Londra durante il primo Risorgimento, si formò in quei principi di libertà, uguaglianza e fraternità che faranno da modello agli Stati Nazionali Costituzionali in tutta Europa.

Henry Richard, questi i suoi nomi di battesimo, era l’unico figlio di Stefano, secondo Lord Holland, e di Lady Mary Fitzpatrick, figlia di Giovanni, conte di Upper Ossory, nato (Henry Richard) a Winterslow House, Wiltshire, il 21 novembre 1773.

Fu salvato dalla madre da un incendio che distrusse la casa il 9 gennaio 1774. Suo padre morì il 16 dicembre 1774 e sua madre nel 1778. Fu allevato dal nonno materno ed educato ad Eton e nella Christ Church di Oxford. Durante una lunga vacanza nel 1791 si recò a Parigi e conobbe Lafayette e Talleyrand. Ritornò in Inghilterra nel 1792, dopo aver visitato Danimarca e Prussia. Per placare i suoi interessi politici i suoi educatori lo inviarono all’estero nel marzo del 1797. Lord Holland prese il posto di Godfrey Webster nella Camera dei Pari di Londra il 5 ottobre 1796 e il 9 gennaio 1798 fece il suo primo discorso nel dibattito sulle imposte. Appartenne da subito al Partito Whig, liberista. Si batté a lungo per le idee liberali in economia, contro i conservatori, e i suoi interventi vennero raccolti e pubblicati sotto il titolo di Economia di Lord Holland. Si batté pure per riabilitare i Cattolici del Regno Unito. Visitò Gioacchino Murat a Napoli nel 1814. Non fu in linea con le posizioni governative britanniche sulla prigionia di Napoleone I a Sant’Elena. Si trasferì alle Barbados, combattendo la schiavitù e le sue misure repressive. Fu un grande studioso in campo letterario e artistico. Insomma un democratico, diremmo noi oggi, di stampo liberale.

Holland ebbe stretti contatti con l’Italia Napoleonica e post Napoleonica. Le vicende che narrerò pongono l’accento sul ruolo da lui svolto nei contatti politici ai tempi di Murat, quando Re Gioacchino si prefisse di unire la Penisola; e successivamente, quando Lord Holland volle proteggere e sostenne i patrioti italiani fuoriusciti in Inghilterra. Questo negli anni Venti del XIX secolo, a cominciare da Ugo Foscolo per arrivare a Giuseppe Mazzini, che il Foscolo a sua volta introdusse nel mondo inglese. Chi presentò il Foscolo a Lord Holland?

Un amico italiano di Lord Holland, lucchese di origine, che a sua volta era stato molto vicino a Murat e agli ambienti napoleonici: il politico ed agente Giuseppe Binda. Possiamo leggere in Rassegna storica del Risorgimento del 1916[1] delle manovre presenti in quel 1815.

Re Gioacchino si prefiggeva, col concorso dei giovani patrioti desiderosi in tutta Italia di cacciare l’Austria dalla Penisola, col sostegno inglese, di presentarsi come un innovatore anche se, di fatto, gli Inglesi non avevano alcuna fiducia nelle sue potenzialità di catalizzatore.

D’altra parte il Murat stesso, forte di rapporti solidi proprio con Lord Holland, che però era whig ed aveva contro il Parlamento Conservatore, si sforzava in quel periodo di riannodare le relazioni con l’Inghilterra, ufficialmente rotte, e di staccarla dalla solidarietà con l’Austria nel suo riguardo! Faceva perciò incaricare d’una missione segreta presso Lord Bentick il capo sezione del Ministero degli Affari Esteri Giuseppe Binda, persona di sua fiducia e che conosceva il diplomatico inglese Lord Bentick. Il Binda però, mentre da Firenze ove aveva sostato, si dirigeva per Lucca verso Genova, fu arrestato dall’ordine del luogotenente austriaco Werklein e fu trovato latore di carte importanti, fra cui una lettera del Gallo[2] al Binda, in data di Bologna 11 aprile, con cui gli era inviato un duplicato della risposta alla nota del 5 aprile, nel timore che l’originale inviato per parlamentare agli avamposti austriaci giungesse al Bentick troppo tardi; istruzioni ed ordini destinati ad agire sul Bentick, a cui il Murat s’impegnava a dare tutte le possibili garanzie; lettere di Lord Holland al Binda e al Bentick; un progetto di costituzione per il Regno di Napoli scritto da Lord Holland; e infine due lettere sigillate del Gallo al Bentick, che furono rimesse senz’essere aperte al Lord Inglese, che le reclamò.

Il Generale Austriaco Frimont nel riferirne allo Schwarzemberg il 21 aprile commentava che quei dispacci «provavano che Murat tentava tutto per guadagnar gl’Inglesi alla sua causa; ch’era appoggiato in Inghilterra da un grosso partito [il Partito Whig, con il suo capofila Lord Holland], al fine di introdurre in Italia un nuovo ordine di cose: tutto provava, grazie a queste carte, che Lord Holland vi rappresentava una gran parte e che Bentick era al corrente di questo affare, ma che Murat dubitava del suo appoggio sebbene, come il Frimont aveva già scritto il 14 dello stesso mese, Bentick, per quanto nemico dichiarato di Re Gioacchino, fosse pericoloso per l’Austria, essendo un gran partigiano dell’Indipendenza Italiana».[3]

In quel preciso momento i conservatori erano al potere in Inghilterra, da questo punto di vista, i tempi non erano maturi. In ogni caso gli Inglesi Whig, che poco si fidavano di Re Gioacchino, considerato poco risoluto, avevano fiducia nel Bonaparte. L’Imperatore? Non pare, bensì il di lui fratello Giuseppe (che riparerà in Inghilterra in epoca di Restaurazione) e, visto il proseguo degli eventi, presumo in Luciano, altro fratello del Grande Córso, pure lui accolto dagli Inglesi.

Qui mi preme sottolineare alcuni momenti salienti e passaggi del periodo, che ritengo singolari.

1° gennaio 1815: l’aristocratico lucchese Lorenzo Pierotti, visto il proseguo delle vicende, non così distante dalle posizioni liberali di Giuseppe Binda, quando l’Imperatore Napoleone era ancora prigioniero all’Elba, ma con tutta probabilità prendeva contatti per la sua fuga, dimostrò, attraverso una sua lettera, di avere, Pierotti, contatti con i patrioti in Piemonte, e di essere vicino alle posizioni del conte Lazzari, amico personale e fedele collaboratore di Carlo Alberto di Savoia. Un Carlo Alberto non così distante dalle questioni liberali.

Fuggito Napoleone dall’Elba a Parigi, in marzo, in modo rocambolesco, Murat si apprestò ad unificare il Paese, prendendo accordi, proprio in quel periodo, con quelle frange inglesi whig, ancora minoritarie, ma non per questo ininfluenti. Al punto che negli anni successivi saranno proprio questi gruppi ad organizzare e sostenere le premesse per la realizzazione dell’Unità Nazionale Italiana.

Fu Macirone a sostituire il Binda nel suo passaggio attraverso Lucca verso Genova, per portare le nuove di Murat. Qui si trovava il Bentick. Macirone raggiunse il capoluogo ligure, ma non poté convincere Bentick della bontà dell’impresa murattiana, anche perché il solo armistizio dell’Inghilterra non sarebbe bastato a salvare l’impresa di Re Gioacchino.

Ma è su quel «Bonaparte sì», riportato nel testo descritto in Rassegna storica del Risorgimento, anno 1916, che è necessario, ribadisco, soffermarsi. Qualcuno a Londra era convinto che, per fermare in Europa lo strapotere asburgico e borbonico, l’unico argine fosse rappresentato, paradossalmente, dalla dinastia Bonaparte. Solo una Francia ed un’Italia votata agli interessi inglesi nel Mediterraneo potevano, di fatto, cambiare le sorti della politica europea. L’Imperatore dei Francesi aveva avuto e tutt’ora manteneva mire espansionistiche e manie di grandezza ma, visto il contesto, doveva necessariamente ridimensionarsi. E rappresentava, pur sempre, ed a suo modo, lo spirito rivoluzionario agli occhi di molti. Ossia un autentico stacco con le posizioni d’Antico Regime.

La sete di potere dei fratelli Bonaparte poi, il desiderio di porre le fondamenta di un loro personale potere in Italia, a cui l’adesione successiva agli stessi valori mazziniani non fu estranea, seppur in modo ambiguo, dovevano essere per il mondo britannico meno retrivo, una sorta di «garanzia». A ben riflettere, più che paradossale, ciò appare reale. E sono proprio i legami italiani sia degli amici di Lord Holland in Italia, sia dei Bonaparte medesimi, che lo dimostrano.

Le poche forze a Londra, in quel periodo, dalla parte della causa italiana, erano tuttavia ben introdotte ed agguerrite.

Da documenti rinvenuti in sede locale, oltre agli stretti contatti dei Bonaparte col Duca Borbonico Carlo Ludovico, apprendiamo che nel 1831 in Lucca, località Segromigno, c’erano degli abboccamenti settari mazziniani tra eminenti personalità che vivevano in provincia di Lucca, ma avevano contatti a livello europeo.

Scrive al riguardo il dottor Roberto Pizzi: «A Segromigno la villa dell’avvocato Binda era ritrovo di cospiratori. A Seravezza e a Pietrasanta, nel 1831, erano stati arrestati dagli sbirri – come sospetti carbonari – i fratelli Gaetano e Giovan Battista Bichi, Michele Carducci (il padre di Giosuè) e Antonio Gherardi Angiolini, a seguito dell’intercettazione di una lettera compromettente scritta da Gaetano Bichi e Carducci, nella quale si parlava del “Santo Tempio della Libertà”. La polizia ne trasse la convinzione che tutti gli arrestati fossero affiliati ad una società segreta, forse quella dei Militi Apofasimeni, fondata dal nobile piemontese Carlo Bianco di Saint Jorioz».[4]

Nello stesso periodo il Duca Borbonico Lucchese, Carlo Ludovico di Borbone, che inviava quella polizia a controllare i malcapitati, teneva sottobanco documentabili rapporti con patrioti in Londra.

Non solo, ma ospitava i fuggiaschi Bonaparte votati in quel periodo alla causa mazziniana.

Con Carlo Alberto di Savoia ci doveva essere un «ambiguo» rapporto, quasi una sorta di corsa al rialzo per sorprendere il «nemico» sul tempo. Ecco che in una lettera autografa dello stesso Duca senza indicazione di data (ma viste le carte rinvenute, si tratta del decennio che va dal 1831 al 1839) scrive da Villafranca di Nizza al Signore di Collebuono in tono scherzoso: «Ma le pare che io sia un cuoco tale da far la frittata innanzi tempo? E frigger Lei piuttosto che le uova di Gallina? Un buon vicino non fa di questi scherzi!».

Il riferimento è al conte Gallina, che negli anni Quaranta del XIX secolo sarà il braccio destro di Carlo Alberto di Savoia nei contatti con i patrioti nonché propugnatore di una politica economica per il Piemonte di cambiamento. Evidentemente Collebuono temeva che il Duca Lucchese giocasse sporco avvantaggiandosi nei suoi abboccamenti patriottici, rispetto ad altri Sovrani della Penisola, fra cui in prima fila Carlo Alberto, che cercavano timidamente di costituire possibili scenari federalisti, contrastando il dominio austriaco. Ciò pareva avvenire innanzi tempo, non rispettando fino in fondo eventuali patti e/o accordi presi. Questo il senso della lettera, che si aggiunge ad altre di quegli anni dove il Duca, sempre con fare scherzoso, minimizza eventi non andati a buon fine come il mancato arrivo a Lucca del patriota Antonio Panizzi, intimidito a Genova dal Governatore cittadino, pur avendo il Panizzi un lasciapassare britannico ricevuto a Torino. E particolari passaggi di lettere tra il Segretario di Stato del Duca Borbonico Carlo Ludovico, il conte Ascanio Mansi, ed una nobildonna lucchese vicina ai Bonaparte ed invischiata in questioni rivoluzionarie, anche di stampo mazziniano.

Cosa stava succedendo in quel frangente nello Staterello Lucchese e nella Penisola?

Ritorniamo ai congiurati cui ho fatto cenno. I loro nomi, detti così, a parte il padre di Carducci, non dicono niente. Ma se indaghiamo un po’ ci accorgiamo, oltre al Binda, del rilievo dei personaggi.

Gaetano Bichi di Pietrasanta, che appartenne ai conti di Scansano, fu legatissimo al Carducci e durante il Regno d’Italia divenne deputato, sedendo sui banchi della Destra storica.

Antonio Gherardi Angiolini è genero del Cavaliere Luigi Angiolini, uno degli amici più stretti e fidati di Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore dell’Imperatore Francese Napoleone I.

Era stato un abile diplomatico, vissuto a lungo a Parigi dove da una relazione ebbe l’unica figlia Luisetta, che riconobbe e portò in Italia. Luisetta, nata a Parigi nel 1802, ereditò tutti i beni paterni e sposò Antonio Gherardi. Insieme i due coniugi tennero un importante salotto in Seravezza e furono visitati da tutti i più prestigiosi nomi del tempo, a cominciare da Massimo d’Azeglio, Pietro Giordani, Carlo Poerio, nonché numerosi napoleonidi. Era stato il cavalier Angiolini a combinare il matrimonio tra Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, ed il Principe Borghese. Gli abboccamenti a Roma dell’Angiolini evidentemente non si contavano. E così la figlia Luisetta ed il marito Antonio continuarono nelle loro frequentazioni, legandosi particolarmente a Luigi Napoleone Bonaparte, futuro Imperatore dei Francesi col nome di Napoleone III, ed alla di lui moglie Carlotta. Questo in anni successivi. Nel 1831 il Bonaparte stesso è un acceso mazziniano, così come i suoi cugini, e da ricercato viene ospitato in Lucca segretamente, come appare da alcuni documenti.

Luigi Angiolini, padre di Luisetta, non è un personaggio qualsiasi. Mi appresterò a breve a riscoprirne i carteggi. Al momento posso sottolineare che un Binda, in Lucca, circa un secolo prima ai fatti descritti, è un Padre Scolopio. E i Padri Scolopi non dovettero essere del tutto estranei ad alcune vicende risorgimentali. Tra gli arrestati a Pietrasanta c’erano infatti dei sacerdoti ed il ruolo ricoperto dai Padri Scolopi nel periodo in loco fu del tutto rilevante.

In Genova poi, luogo non così distante dai fatti ascritti, e città con cui Lucca ebbe sempre serrati contatti, non fu secondaria, sia sul piano educativo che politico, la presenza dei Padri Scolopi.

In Pietrasanta troviamo, tra i Padri Scolopi, Eugenio Barsanti, inventore del motore a scoppio e maestro di Giosuè Carducci, cui il padre lo affidò sin da giovanissimo.

In Genova lo stesso Mazzini non era stato estraneo allo spirito educativo di quei Padri, così come l’amico d’infanzia Elia Benza che lo seguirà nel suo percorso rivoluzionario.

Come scrive Luigi Cattanei «letteratura e patriottismo, giansenismo e scienze, assistenza e innovazione pedagogica, videro impegnati molti Scolopi Liguri e non solo».[5] Questa tradizione risaliva proprio al Settecento. Un nome tra tutti, Padre Eustachio Degola, che ebbe rapporti con Manzoni, visse in Francia e fu dichiaratamente vicino alle posizioni gianseniste.

Tra Settecento e Ottocento alcuni ambienti ecclesiastici avevano posizioni progressiste tali da influenzare molti dei loro stessi allievi, che poi saranno i patrioti che fecero l’Unità nazionale. Quelle frange più progressiste non furono viste di malocchio sia dai napoleonidi che dagli ambienti protestanti inglesi, pronti a cogliere il cambiamento in atto nella Penisola. Perché di autentico cambiamento si trattava, forse talvolta scollegato, un po’ confuso, ma certamente ben radicato e genuino.

I cattolici liberali non furono dunque né visionari né così frammentati, come la storiografia ufficiale dopo il 1848 li dipingerà; né lontani da quegli ambienti settari che sin dal Settecento li videro protagonisti. I documenti ci sono, in tal senso, e sono molteplici. Solo il trattato con l’Austria del 1855 tra la Chiesa Cattolica e la Potenza Asburgica cambiò davvero le carte in tavola.

Qualcuno temette una radicale trasformazione del nostro Paese, che poteva a tutti gli effetti avvicinarsi troppo repentinamente al mondo protestante, e per questo frenò bruscamente. Non erano Mazzini e/o Garibaldi ed i rivoluzionari più accesi i veri nemici della Chiesa. Forse, e dico forse, lo erano maggiormente quegli Imperi e Stati, fonti di reddito e possibili alleanze politiche. Mi riferisco alla cattolica Austria, vessata dalla protestante Prussia e dall’ortodosso Impero Zarista; e all’Europa Borbonica, che trionfava nel Sud dell’Italia e in Spagna, e cercava di ritornare ad esserlo in Francia, in alternativa ai concorrenti Bonaparte. Con loro il mondo romano dovette fare i conti. Ritengo che furono i fragili equilibri interni romani a frenare l’avanzata di condizioni innovative ma troppo radicali, all’epoca, in ambito cattolico. In questo modo l’avvicinamento che c’era stato tra protestantesimo e Cattolicesimo dovette fare passi indietro. L’Unità Italiana fu investita, nel suo divenire, da tali necessità. E se per un certo periodo le frange mazziniane più moderate avevano rappresentato un anello di congiunzione col mondo cattolico, in un secondo tempo furono riconvertite o vennero considerate del tutto inopportune. I salotti artistici, letterari ma insieme politici furono il vero crocevia dei passaggi e delle prese di posizione politiche di quegli anni. Un esempio fra tutti in Italia: il salotto di Luigi Angiolini, simile nella forma e nei caratteri a quello di casa Holland, in Inghilterra, seppur in versione «ridotta».

La figura di Luigi Angiolini è essenziale in questo contesto. Il diplomatico Angiolini, a fine Settecento prima al servizio degli Asburgo-Lorena, poi dei Borbone di Napoli, andò in missione in un viaggio in giro per l’Europa ed ebbe contati serrati proprio con la nomenclatura inglese. Questo a fine Settecento. Legami e/o contatti col giovanissimo Lord Holland? Al momento, non avendo ancora visionato il suo carteggio, non sono in grado di dirlo. Ma già la sua biografia attesta i rapporti con i più eminenti membri della Royal Society inglese, cui lo stesso Holland non poté essere estraneo. Essendo Luigi Angiolini anglofilo per cultura, poté conoscere approfonditamente il mondo inglese, che adorava e della cui esperienza pubblicò le lettere scritte. La strettissima amicizia che si creò in seguito con Giuseppe Bonaparte, pur non avendo l’Angiolini accettato le profferte di Napoleone I in un primo momento, ma essendo rimasto fedele agli Asburgo-Lorena, avrebbe potuto proiettarlo ancor più verso Londra quando Giuseppe Bonaparte, dopo la caduta del fratello Imperatore, qui trovò rifugio.

Cattolico di ampie vedute nel rapporto con gli altri credi, non poté essere ignorato dal Duca Borbonico Carlo Ludovico in odore di protestantesimo, ancor prima di diventare Duca. L’Angiolini aveva ampie conoscenze anche della Corte Borbonica Napoletana, con cui Carlo Ludovico era in vincoli di parentela. L’Angiolini morì nel 1821 quando, di lì a breve, Carlo Ludovico si sarebbe apprestato a sostituire la madre Maria Luisa. Il salotto della figlia dell’Angiolini, Luisetta, sostituì egregiamente e fuori da ogni dubbio, l’opera paterna.


Note

1 Rassegna storica del Risorgimento, anno 1916, pagina 103 e seguenti.

2 Marzio Mastrilli, marchese poi duca di Gallo (diplomatico borbonico che poi passò a collaborare con Giuseppe Bonaparte nel 1806 e successivamente con Murat nel 1808. Quest’ultimo lo creò duca).

3 Rassegna storica del Risorgimento, citata.

4 Roberto Pizzi, Squadre e Compassi, Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, pagina 53.

5 Luigi Cattanei, Scolopi liguri del primo Ottocento tra educazione, assistenza e letteratura, Biblioteca Franzoniana, 2015.

(settembre 2015)

Tag: Elena Pierotti, Unità, Risorgimento, Ottocento, Italia, lord Henry Holland, Rivoluzione Francese, Unità nazionale, Lady Mary Fitzpatrick, Wiltshire, Godfrey Webster, Camera dei Pari di Londra, Italia Napoleonica, Gioacchino Murat, Ugo Foscolo, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Binda, Inghilterra, Lord Bentick, Partito Whig, Lucca, Lorenzo Pierotti, Unità Nazionale Italiana, Carlo Ludovico di Borbone, Bonaparte, Carlo Alberto di Savoia, Antonio Panizzi, Gaetano Bichi di Pietrasanta, Antonio Gherardi Angiolini, Napoleone Bonaparte, Massimo d’Azeglio, Pietro Giordani, Carlo Poerio, Luigi Napoleone Bonaparte, Genova, Padri Scolopi, Eugenio Barsanti, Mazzini, Elia Benza, Luigi Cattanei, Padre Eustachio Degola, Austria.