Un nonno, un padre ed un figlio: Lorenzo, Cesare e Giuseppe
Vicende storiche di una famiglia aristocratica nella Lucca del XIX secolo

Quelle che sto per descrivere sono vicende che posso dire di vivere «da vicino». Ne sono venuta casualmente a conoscenza, grazie alla mia tesi di laurea e ad uno stato di famiglia che avevo ricevuto da una zia, senza indicazioni precise, dopo la morte di mio padre. Le vicende storiche di questo Paese si intrecciano quasi sempre con una millenaria storia, di cui qui non farò cenno, non tanto per opportunità politica, che ritengo dovrebbe da noi assolutamente venir messa da parte, quanto perché concentrarsi sul XIX secolo e sui tre personaggi che propongo significa in questo caso garantire una maggiore lucidità descrittiva e chiarificatrice di eventi e situazioni.

Le vicende partono dunque dal 1767, anno di nascita di Lorenzo Pierotti,[1] che muore a metà del XIX secolo. È presente una sua lettera alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, scritta in data 1° gennaio 1815 ed inviata a Pisa, a Carlo Zucchelli, noto artista canoviano[2], in strettissimi rapporti con Pelagio Palagi, l’architetto che ristrutturò tutta Torino durante il regno di Carlo Alberto di Savoia, compresa la Palazzina di Stupinigi. Ed infatti la lettera in questione proviene dalla collezione di Pelagio Palagi.

Lorenzo nella missiva rende noto espressamente l’intervento del conte Lazzeri a Torino, futuro capo della polizia sabauda negli anni Trenta del XIX secolo, nel naturalizzare di fatto un fuoriuscito, probabilmente un patriota, proprio in Piemonte.

Possiamo dunque percepire dalla lettera che il conte Lazzeri, in quel periodo giovanile legato all’allora principe di Carignano, sosteneva sottobanco i fuoriusciti della Penisola, ricercati magari in via ufficiale dalle varie polizie dei Regni allora presenti. Le simpatie giovanili di Carlo Alberto per gli ideali rivoluzionari non sono mai state sottese. Siamo peraltro in un periodo molto particolare al momento della stesura della lettera. Napoleone I non è ancora fuggito dall’Elba ed il Congresso di Vienna, che si era interrotto nel 1814 per le note vicende imperiali, riprenderà solo successivamente, proprio nel giugno del 1815.

Perché un aristocratico come Lorenzo, che viveva in una cittadina apparentemente ininfluente come Lucca, avrebbe dovuto tramare in simili questioni? La risposta è semplice: perché legato ai Bonaparte.

In Lucca, subito dopo la caduta di Napoleone I, il Sovrano Carlo Ludovico di Borbone ospitò i fuggiaschi mazziniani Bonaparte[3] ripetutamente, proprio grazie a Lorenzo e ai suoi familiari, che li ospitarono segretamente in Benabbio, presso Bagni di Lucca, dove avevano delle proprietà, in accordo col duca.[4] Questi rapporti coi Bonaparte, mi è stato riferito da fonte che vuol restare anonima, erano serrati anche ai tempi di Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone I, che regnò in Lucca fino al 1812.

Posso confermare che ancora nel 1874 la famiglia di Lorenzo, che viveva in Sant’Alessio di Lucca, aveva come «ospiti» graditi sia i cugini dell’Imperatore, e precisamente Nicola Cattaneo dei Cattaneo di Corsica,[5] nipote di Felice Baciocchi, che ivi morì proprio quell’anno, sia il professor Riccardo Felice, rettore dell’Università di Pisa e stretto collaboratore dello scienziato e patriota Carlo Matteucci. Riccardo Felice ebbe residenza e morì in Sant’Alessio qualche anno dopo il Cattaneo.

Per quale ragione la storiografia ufficiale ha di fatto ignorato tutto questo?

Per chiarirne il motivo narrerò le vicende del figlio di Lorenzo, Cesare. Nato nel 1808 e deceduto ultranovantenne, nel 1901, Cesare era un rivoluzionario. Fu coinvolto nel 1848 in Firenze nelle vicende degli «amici del popolo», vicende che furono espressione dei sommovimenti nel Granducato sino all’avvento del triumvirato Mazzoni, Montanelli, Guerrazzi. Di lui abbiamo una lettera, sempre alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, del 1860 circa. In quella data Cesare chiese l’intervento di Tommaso Corsi, suo amico e protettore, per liquidare in qualche modo il suo burrascoso passato. Di lui ci parla in una pubblicazione dal titolo Il Quarantotto in Toscana Ferdinando Martini. Alla data 20 gennaio 1849 Martini ricorda che un «popolano», tale Cesare Perotti, venne arrestato perché coinvolto in uno spiacevole «incidente di percorso» degli amici del popolo.

Martini pubblicò la sua opera intorno al 1920 e non raccontò, presumo per ragioni d’opportunità politica, come andarono esattamente le vicende. Soprattutto non chiarì fino in fondo le questioni relative al’episodio ed al protagonista. Lo ha fatto, viceversa, in modo garbato il professor Bertini, docente del dipartimento di Storia dello Stato dell’Università di Firenze, in data recente, e precisamente in una sua celebre pubblicazione sul bicentenario della nascita di Guerrazzi.

Qui egli ci ricorda che Cesare Pierotti,e non Perotti, forse in Martini scritto così per vizio di forma, aristocratico e non popolano, venne arrestato ma non condannato dall’allora Sovrano del Granducato di Toscana Leopoldo II d’Asburgo-Lorena. E ciò per ragioni di opportunità politica. Sottolinea il professor Bertini che detto Cesare avrebbe fatto il doppio gioco.

Non possiamo tralasciare a questo punto l’appartenenza della famiglia di Cesare all’area cattolico liberale, allora assolutamente emergente rispetto a quella mazziniana. A suo modo Cesare era però un mazziniano, mentre il padre, e poi, come avrò modo di descrivere, il figlio, con ogni probabilità non lo furono.

O meglio, i confini tra queste due realtà politiche, quella cattolico liberale più progressista e quella mazziniana erano, paradossalmente, così flebili, da dover in qualche modo la storiografia successiva all’Unità «improvvisare» assonanze storiche sempre non così conformi alle vicende che l’intera Nazione Italiana mise in campo, soprattutto al momento della sua formazione.

Timore nel dover descrivere situazioni compromettenti? Anche, ma non solo. Sono giunta alla conclusione che spesso si trattò di dover perorare cause politiche tra loro in conflitto, e perciò difficilmente inquadrabili in un unicum descrittivo.

Il figlio di Cesare, Giuseppe, era nato nella prima metà del XIX secolo, la data presunta è il 1827. E deceduto nel 1884, quindi prima della morte del genitore. Non avendo avuto io spiegazioni precise sull’identità dei personaggi presenti nello stato di famiglia cui ho fatto cenno, ho dovuto dedurre, da tutta una serie di documenti rinvenuti, che l’identità del suddetto Giuseppe coincide con l’identità del pittore Giuseppe Pierotti. Stesso nome, stessa realtà geografica di provenienza, stessa data di nascita e di morte. Di Giuseppe esiste un autoritratto agli Uffizi e, osservandolo, non ho potuto fare a meno di rinvenire precise somiglianze.

In ogni caso il pittore era amico di Lambruschini (l’abate), di Gino Capponi, di Antinori e soprattutto di Cosimo Ridolfi. Gli eredi Ridolfi hanno recentemente donato un dipinto del pittore Pierotti, che è di loro proprietà, a Palazzo Medici Riccardi, in Firenze.

Questo nel 2010, in occasione di un’esposizione per celebrare il Risorgimento in Toscana. Nel dipinto troviamo Cosimo Ridolfi con i figli, con Lambruschini, Antinori e con Gino Capponi nella tenuta di Meleto,[6] accanto allo stesso pittore.

Sono riuscita a rinvenire due lettere di Giuseppe, sempre alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Il pittore Pierotti era un cattolico liberale, vicinissimo a Gino Capponi, cui indirizzò una delle due lettere per ricordargli di alcuni scavi archeologici del periodo in Castelnuovo Garfagnana, cui entrambi i due aristocratici erano particolarmente interessati, perché qui alcuni cavalieri del 1200 erano stati rinvenuti assieme ai cimeli del tempo. L’attribuzione di quei cavalieri alla famiglia del pittore piuttosto che a quella dei Capponi veniva sentita dai due protagonisti come una questione rilevante. Scrisse infatti Pierotti all’amico Capponi testuali parole: «Capponi mio, il cavaliere è tuo, non è mio».

Nella lettera non sono contenuti precisi riferimenti politici ma, visto il rilievo politico di Gino Capponi, la stessa «intimità» tra i due ivi presente la dice lunga su presunti richiami politici.

Pierotti in quegli anni viveva a Firenze come possiamo dedurre dalla successiva lettera rinvenuta, inviata al pittore Telemaco Signorini. Qui compare infatti l’indirizzo dell’abitazione di Pierotti in Firenze: Via delle Ruote, Fortezza da Basso, luogo frequentato dagli artisti.

Doveva egli versare in una qualche ristrettezza economica poiché chiese espressamente a Telemaco Signorini di piazzargli alcune opere, e lo pregò gentilmente, ma con insistenza, di aiutarlo. La sua famiglia era numerosa e, per giunta, caduta «in disgrazia», considerando il passato politico del padre Cesare, anch’egli in difficoltà sempre per le note vicende del Quarantotto.

Cesare scrisse al Corsi da Cremona, e c’è da giurare che si «nascondesse» o fuggisse dai creditori, se è vero che all’Archivio Statale di Lucca a suo nome ci sono una serie di «fallimenti» anche societari. Senza contare quanto l’intervento a lui favorevole di Leopoldo II avrebbe potuto avere una qualche conseguenza finanziaria.

Del pittore Giuseppe troviamo oggi opere sparse un po’ dappertutto, compreso il Duomo di Milano, il Canada e gallerie d’arte a Washington. Non saprei riferire quanto seguito all’epoca egli potesse vantare, anche perché non esistono riferimenti a lui dedicati.

Ma ciò che è significativo è che l’appartenenza del pittore Giuseppe all’area cattolico liberale, in un primo tempo emergente, non può trarre in inganno sulla reale portata degli eventi politici; come prima riferivo, la complessità degli eventi era tale che non esisteva un filo conduttore, come spesso la storiografia ufficiale ha voluto viceversa imporre. Del pittore Pierotti troviamo tracce anche in Barga e a Castelnuovo, tra i patrioti mazziniani, appartenuti anch’essi alla medesima famiglia.

Questo quadro di riferimento ci porta a riflettere sulla reale portata dell’Unificazione Nazionale Italiana e sul ruolo esercitato dalla «provincia» in tal senso. Non dimentichiamoci che il prodittatore della Sicilia ai tempi della spedizione dei Mille fu il garibaldino di Barga Antonio Mordini, cui Garibaldi lasciò l’isola, una volta allontanatosene. Ma Mordini era in stretta relazione con questi personaggi.

Ed illustri membri della medesima famiglia sedettero in Parlamento a Roma dopo l’Unificazione.

Non si tratta tanto di soffermarci sulle bugie più o meno ingenue che in questi ultimi due secoli sono state sostenute, quanto riflettere sul perché oggi, che non navighiamo sicuramente in acque tranquille, qualcuno non si prenda la briga di rileggere alcune pagine, per regalarci un’identità nazionale più aderente al nostro passato, e dunque più rispondente ai reali bisogni dell’oggi.

Si tratta, nel mio caso, solo di un accenno per perorare la causa di questo bisogno che, come semplice cittadina, mi sento di sostenere.


Note

1 Lorenzo Pierotti, aristocratico lucchese vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo.

2 Il riferimento è allo scultore Canova, vissuto tra XVIII e XIX secolo.

3 Luciano Bonaparte e, forse, questo con beneplacito d’inventario, lo stesso futuro Imperatore Napoleone III, allora ardente rivoluzionario.

4 I riferimenti li troviamo nel testo Da Menabbio a Benabbio, pubblicato recentemente col contributo del comune di Bagni di Lucca. Non c’è qui espresso riferimento a fatti e persone ma in Benabbio la famiglia più influente risulta essere quella di Lorenzo.

5 Nicola Cattaneo è il patriota mazziniano di cui Giovanni Gentile ebbe in un documento a dire che se avesse ritrovato le sue lettere avrebbe riscritto la storia d’Italia.

6 Meleto è celebre soprattutto per le sperimentazioni agricole fatte da Cosimo Ridolfi nelle sue proprietà nel XIX secolo.

(febbraio 2015)

Tag: Elena Pierotti, Risorgimento, Ottocento, Italia, Lucca, Unità, Meleto, Lorenzo Pierotti, Nicola Cattaneo, famiglie aristocratiche lucchesi, XIX secolo.