La reggia dell’Invidia
I patrioti italiani a Londra in una pubblicazione del 1838 di Pier Angelo Sarti

Grazie ad un documento presente nell’Archivio di Stato di Lucca dell’editore Pietro Rolandi, fuoriuscito piemontese a Londra, amico e collaboratore di Carlo Cattaneo sul Politecnico, ho potuto prendere visione di uno scrittore pressoché sconosciuto, certamente al grande pubblico. Si tratta di Pier Angelo Sarti, che nel 1838 presso l’editore londinese Thomas Brettell pubblicò un libricino in versi, per complessive quattro quartine, dal titolo La reggia dell’Invidia.

Sulla falsariga dell’illustre Divina Commedia, in modo assolutamente ironico ma ben calibrato, il Sarti denunciò la triste condizione di coloro che, come lui fuoriusciti italiani a Londra nei primi anni del XIX secolo, mossi da rancori ed invidie personali, non perorarono sempre in modo del tutto efficace la complessiva causa nazionale.

Quando pensiamo al nostro Risorgimento, così come si preparò «fuori d’Italia», pensiamo ai grandi personaggi storici che hanno rappresentato una pietra miliare del complessivo percorso unitario: mi riferisco a Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Carlo Cattaneo, tutti in modo diverso legati alle vicende londinesi del tempo. In verità essi furono accolti e sostenuti nella capitale inglese da quei primi patrioti degli anni Venti che posero le fondamenta per costruire i rapporti politici tra gli ambienti londinesi e quelli della Penisola, essenziali nel proseguo delle questioni nazionali. Gli Inglesi cercarono a lungo di ottenere il controllo del Mediterraneo, anche nel periodo immediatamente successivo alle vicende rivoluzionarie e napoleoniche. I loro sforzi sarebbero stati in ogni caso vani senza il prezioso apporto e la collaborazione di quegli Italiani, provenienti da tutto lo Stivale, che si sollevarono contro la dominazione austriaca, già nei primi momenti successivi alla Restaurazione. Di alcuni di loro si occupa Pier Angelo Sarti. Certamente lo fa a modo suo, mettendo così in evidenza quanto partigiano anch’egli fosse in quel difficile momento storico; in questo sì, ma ritengo solo in questo, di dantesca memoria. L’attacco più riuscito fu quello al vecchio Angeloni, che rappresentò proprio per Mazzini un valido sostegno nei primi anni di esilio londinese.

Luigi Angeloni era nipote del notaio Filippo Ricciotti, a sua volta bisnonno di Nicola Ricciotti, che sarebbe morto con i fratelli Bandiera. Dopo aver partecipato attivamente, nel 1798, alle vicende della Repubblica Romana, fu costretto a riparare prima in Corsica, quindi a Parigi. Caduto Napoleone I, fuggì in Inghilterra, senza mai trascurare la passione letteraria, e schierandosi con gli accademici dell’Accademia della Crusca nel dibattito sulla purezza della lingua italiana. Pier Angelo Sarti prese le parti di Gabriele Rossetti, il famoso Vate e patriota, anche lui esule a Londra, a cui nel 1837 l’Angeloni aveva sottoposto un suo scritto, a detta del Rossetti contrario agli «interessi nazionali». Il Vate, senza peli sulla lingua, comunicò all’Angeloni che era inopportuno scagliarsi contro i letterati Manzoni, Botta e Levati; per questo si inimicò l’Angeloni. La disputa, come possiamo rintracciare nello scritto del Sarti, prima ancora che letteraria fu politica. L’aperta e totale adesione dell’Angeloni all’idea repubblicana venne ad infrangersi contro i più miti consigli del Rossetti che, pur perorandone la causa, sosteneva l’«essenzialità degli interessi nazionali». Egli scriverà nel 1848 al Ricciardi che non è «d’uopo che per onor d’una Repubblica, la quale può pericolare da un momento all’altro, ci si dimostri tanto di mal animo verso Carlo Alberto, che [in quel momento] è così necessario…».

Gli altri patrioti, di cui il Sarti si appresta, col suo scritto, a sottolineare il ruolo ricoperto, si chiamano Beolchi, Miglio, Sangiovanni, Panizzi.

Antonio Panizzi, il futuro sir Panizzi, nel 1839 fuggirà addirittura dal British Museum, di cui dirigeva la biblioteca, per recarsi a Lucca dal sovrano Carlo Lodovico di Borbone, sostenendone i tentativi d’inserimento, con l’apporto inglese, in un quadro nazionale, forse federale, comunque complesso e in divenire. Carlo Alberto di Savoia mise in rilievo nel 1830, in una lettera inviata ad un altro sovrano della Penisola, Francesco IV di Modena, i tentativi del Borbone di diventare il Re d’Italia!

Nel 1839 Panizzi rischierà grosso. Venne infatti fermato a Genova dalla polizia sabauda, che volle così intimidirlo ed insieme dissuaderlo dai suoi propositi. Egli riuscì fortunosamente a ritornare a Londra e «ad infilarsi al British Museum, senza volerne più uscire!».

I contrasti di cui ci parla Pier Angelo Sarti riflettono complessivamente il difficile momento storico vissuto in quel frangente dalla penisola, di cui anche i più diretti interessati furono ad un tempo vittime e carnefici.

(aprile 2011)

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