Di Padre Gioacchino Prosperi e del suo libro sulla Corsica[1]
L’irredentismo italiano dal XIX al XX secolo: un contesto trasversale

Non intendo qui esaminare il movimento irredentista sotto il profilo economico e politico in senso stretto, né soffermarmi su quegli aspetti che più comunemente vengono affrontati del vasto fenomeno che nacque e si diffuse nell’ultimo terzo del XIX secolo. La mia breve disamina vuol essere solo un’osservazione di carattere storico-culturale, alla luce di un libricino casualmente rinvenuto. L’irredentismo in Italia ebbe valenza anti-austriaca poiché rivendicò le regioni del Trentino e della Venezia Giulia, nonché Fiume e la Dalmazia, rimaste sotto l’amministrazione asburgica dopo la III guerra d’indipendenza del 1866. Spesso gli argomenti economico-politici mettono a fuoco il complessivo movimento, che affondò le sue radici sia nel primo Risorgimento che in epoca post-risorgimentale, senza soffermarsi sufficientemente sul filo conduttore comune: perché vi aderirono sia monarchici che repubblicani, sia uomini che divennero fascisti che intellettuali antifascisti.

E questo, chiamiamolo «senso di appartenenza», è proseguito sino almeno alla metà del XX secolo: a ricordarcelo l’epoca fascista, che fece di Malta, ancora durante il Secondo Conflitto Mondiale, motivo d’attrito con la Gran Bretagna, per le ripetute rivendicazioni d’annessione all’Italia.

L’aver approfondito le vicende del professor Luigi Venturini, che afferì agli ambienti livornesi, sia di piena adesione al fascismo che antifascisti, ma con matrici comuni, mi ha permesso di tentare un’interpretazione più personalizzata della complessa questione. Venturini fu amico e collaboratore del Livornese Ersilio Michel, eroe della Prima Guerra Mondiale, cultore ed insigne storico degli archivi corsi. L’irredentismo, almeno in un primo tempo fu trasversale, niente di paragonabile ad un esclusivo impegno politico.

Ho rintracciato un libricino del 1926 del Venturini, giornalista che scrisse poi, negli anni Trenta, sul «Popolo d’Italia» e che fece parte dell’ambiente culturale livornese di quegli anni. La pubblicazione si intitola Di padre Gioacchino Prosperi e del suo libro sulla Corsica, edita presso la società Tyrrenia di Milano.

Qui, prendendo a pretesto le vicende di un religioso lucchese che negli anni Quaranta del XIX secolo divise il suo ministero sacerdotale tra Lucca e la Corsica, sostenendo in sordina le rivendicazioni irredentiste bonapartiste di quegli anni sull’isola, per un più generale movimento nazionale, all’epoca federalista, ci illumina «dall’interno» su ciò che fu il senso dell’irredentismo nella sua più pura accezione, in un unicum che va dal XIX al XX secolo.

Dico dall’interno perché egli (Venturini) conobbe e frequentò i Lucchesi conte Sardi e dottor Morroni, che ebbero contatti con Giovanni Sforza, lo storico che sposò la Lucchese Elisabetta Pierantoni. Genitori entrambi di quel Carlo Sforza, primo Ministro degli Esteri della nostra neonata Repubblica, ed egli sì, fervente antifascista.

Giovanni Sforza, appartenente al ramo cadetto degli Sforza di Milano, era amico personale, prescindendo dalle convinzioni politiche, di Costanzo Ciano, che proprio a Lucca, in località Ponte a Moriano, vicino alla residenza dei Pierantoni, aveva una proprietà.

Altro Livornese del tempo, vissuto a Lucca in quel periodo, il professor emerito Augusto Mancini, rettore dell’ateneo pisano, questi decisamente antifascista e mazziniano, ma vicino culturalmente agli stessi ambienti.

Il mazzinianesimo nella sua accezione più ampia, trasversale se vissuto come punto di partenza per un senso profondo d’italianità, rappresentò in quel frangente un vero e proprio sottofondo politico. E così le vicende del Cattolico liberale Padre Prosperi, relative al secolo antecedente, apparentemente lontane, ottanta anni dopo le vicende narrate dal religioso patriota, vollero essere espressione di valori condivisi.

Quali i temi cari all’irredentismo? Certamente il senso di Nazione, di patria, di comunione spirituale e fraterna, ma soprattutto culturale, religiosa e linguistica del popolo italiano. Sì, idea di popolo, tanto astratta e multiforme quanto corposa e «fisica» nella sua accezione più propria. Gli uomini del secolo lungo in questo non furono molto diversi dagli uomini del secolo breve.

Scrive in proposito Venturini, riportando le frasi di Padre Prosperi, contenute nella sua pubblicazione originaria, cui Venturini fa riferimento, e che risale al 1844[2]: «[…] Ma la Corsica sarebbe stato il Paese più felice del mondo se la sua posizione geografica non l’avesse resa appetibile a tante bramose canne. Ed è vero! Di qui i suoi mali. Di qui, anche, la funzione dello spirito di parte, fiero fino alla ferocia. Ed anche questo è quasi vero…».

Nella descrizione di tale ferocia si vuol precisare che «[…] lo spirito di vendetta che pare esista ancora [in Corsica nel 1844] è un effetto anche questo dell’abitudine contratta da tanti secoli di respingere la forza colla forza e di farsi giustizia di per se stessi, mentre nessuno prese mai sinceramente le parti loro».

Italiani anche in questo i Córsi, poiché il loro aspetto fiero e truce «[…] lo troviamo forse più truce in tanti paesi d’Italia. L’abitante delle montagne lombarde, del contado di Spoleto, di Otricoli, di Civitacastellana, d’Acquapendente e d’altri paesi non ha in verità l’aspetto più simpatico dei Córsi».

I temi dell’irredentismo ci sono già tutti: le vicissitudini storiche subite dalla Penisola; il relativo degrado sociale vissuto dopo i fasti del Quattrocento e del Cinquecento; il «far da soli» in ogni circostanza; in ultima analisi, l’arte d’arrangiarsi.

La purezza della lingua ed il bisogno di definire una matrice culturale comune fanno da sfondo a tutte le prese di posizione degli intellettuali italiani, a partire proprio dall’epoca in cui visse Padre Prosperi, che con minuzia le descrisse.

Niccolò Tommaseo con Salvatore Viale, quest’ultimo intellettuale corso, amico del Tommaseo, che lottò per gli ideali di «libertà» che Prosperi già propinava, fecero della lingua italiana la ragione primaria e giustificativa delle loro rivendicazioni.

Padre Prosperi, in modo suggestivo come lo era il personaggio, riferì che «i Córsi nascono Italiani e col latte succhiano l’italiano idioma».

Venturini, ottanta anni dopo, pur definendo in modo giocoso la particolare personalità del religioso, ne prende le parti sul piano ideale.

Egli scrive infatti (di padre Prosperi): «L’isola la visitò quasi tutta, avvicinando quasi tutti, con quella disinvoltura di modi e quella franchezza di parlare che dovevano essere in lui prerogative spinte molto innanzi. Certamente, l’impressione che il Prosperi ritrasse dalla Corsica e dai suoi abitanti fu fortissima, una impressione fatta di riconoscenza, di vanità, se vogliamo, soddisfatta, ma soprattutto d’amore. Non so quanto i Córsi siano stati conquistati dalle parole del Prosperi – davvero lo furono molto – ma è che egli fu trascinato da un’ondata di affetto per i Corsi che stupisce e commuove. Dopo il disperato amore che alla Corsica portarono il Tommaseo e il Guerrazzi, bisogna proprio mettere anche il buon Prosperi!».

Sentimento, senso di appartenenza, solidarietà, partecipazione, lingua e cultura. Temi essenziali per definire questi valori, che affiorano nella descrizione proposta e che sono presenti ancora nel 1926, anno di pubblicazione del testo di Luigi Venturini. Ma anche profonde contraddizioni.

Perché rivendicare dei territori significò doversi sobbarcare conflitti e lacerazioni, costi materiali ed umani non indifferenti. Di questo non Padre Prosperi, e nemmeno Luigi Venturini si preoccuparono.

E qui si aprirebbe un capitolo ancor più complesso da argomentare, questo sì di natura economica e politica.


Note

1 Luigi Venturini, Di padre Gioacchino Prosperi e del suo libro sulla Corsica, Milano, Società editrice Tyrrenia, 1926.

2 Gioacchino Prosperi, La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, Bastia, tipografia Fabiani, 1844.

(novembre 2011)

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