Revisionismo storico o lettura di documenti tenuti nei cassetti?
Quando non basta imbattersi in documenti scottanti per poter pubblicare verità storiche troppo compromettenti

Provate a immaginare questo. State preparando una tesi di laurea su un personaggio risorgimentale rivoluzionario quando improvvisamente vi rendete conto che quel personaggio è cugino dei vostri nonni e che le vicende riguardanti la tesi in oggetto, la quale peraltro si occupa di questioni nazionali, coincidono in tutto e per tutto con le vicende della vostra famiglia, e più in generale dell’intera Penisola. Può sembrare paradossale? Forse.

Anch’io lo avrei pensato, ma mi è accaduto e dunque adesso penso in modo ben diverso rispetto all’epoca antecedente la mia tesi. Quanto mi è accaduto desidero condividerlo, nella speranza che qualcuno possa finalmente prendersi cura di certi personaggi e soprattutto di determinate situazioni.

Ci sono famiglie per cui raccontare certe verità storiche anche ai propri figli equivarrebbe a dover rivoluzionare l’intero assetto storiografico di un Paese, sicuramente il nostro, per cui tacere diventa giocoforza. Tuttavia io credo che nulla è per sempre, e il destino e/o causalità possono giocare scherzi da prete; in questo caso è proprio il termine giusto. Ma andiamo per gradi.

Gioacchino Prosperi, Padre Gioacchino Prosperi, il protagonista della mia tesi, il sacerdote rivoluzionario lucchese vissuto nel XIX secolo, di matrice rosminiana, definito il «Prete della Corsica» per il suo lungo peregrinare nell’Isola Bella, pur non essendo un Padre Agostiniano, era particolarmente legato ad alcuni Padri Agostiniani Lucchesi, anch’essi decisamente rivoluzionari. Questo intorno alla metà del XIX secolo.

Lucchesi rivoluzionari, i fratelli Giambastiani, quattro per la precisione, non svolgevano tutti lo stesso mestiere: due di loro erano appunto Padri Agostiniani mentre gli altri due rispettivamente un ingegnere e un impresario teatrale.

Con chi collaboravano all’epoca questi Padri e i loro fratelli? Tra le loro frequentazioni colui che diverrà il prodittatore della Sicilia ai tempi di Garibaldi, il patriota barghigiano, avvocato Antonio Mordini, a cui il Generale affidò l’Isola quando, dopo le vicende rivoluzionarie del 1860, dovette proseguire il suo cammino lungo la Penisola per incontrare Vittorio Emanuele II, come vuole la tradizione, a Teano.

Negli anni Quaranta del XIX secolo però sia i fratelli Giambastiani che Antonio Mordini erano in contatto diretto con Giuseppe Mazzini e, meglio ancora, con quell’ala radicale mazziniana ma al tempo stesso possibilista verso le soluzioni federali e/o monarchiche della questione italiana, facente capo alla così detta Lega Italica, al cui vertice troviamo i fratelli Fabrizi.

Le lettere parlano chiaro. Originari di Sassi Eglio, in Garfagnana, non distante quindi dalla Barga di Antonio Mordini e dalla Lucca di Padre Prosperi e dei fratelli Giambastiani, questi patrioti mazziniani tenevano serrati contatti non solo con i personaggi menzionati, ma anche con alcuni loro cugini lucchesi, che di cognome facevano Pierotti, dei quali un ramo di famiglia era a sua volta imparentato e/o legato proprio col Padre Prosperi della mia tesi.

Aspiravano tutti quanti, questi patrioti, a cercare vie d’uscita compromissorie nelle vicende nazionali italiane del periodo, in particolare soluzioni di stampo cattolico liberale, anche perché questa era, da sempre, la loro matrice familiare. Mazziniani e liberali: una contraddizione in termini? Niente affatto. Mazzini aveva studiato a Genova dai Padri Scolopi e molti di questi cugini dei Fabrizi erano Padri Scolopi. Se Giuseppe Mazzini frequentò a lungo Lucca e in particolare certi ambienti, una ragione ci sarà. D’altra parte non erano forse sempre stati i Padri Scolopi Lucchesi in contatto con gli ambienti genovesi? Questo risulta dalle carte.

Quattro fratelli, i Fabrizi, che fecero la storia d’Italia e di cui si parla poco in ambito nazionale, ancora oggi, per opportunità politica.

Che cosa facevano questi personaggi? Tenevano le fila con le principali case regnanti italiane del tempo (siamo negli anni Quaranta), in particolare con i Borbone di Napoli, con i Borbone Parma, cugini dei Borbone di Napoli; questi ultimi furono prima nel Ducato di Lucca e successivamente in quello di Parma, secondo quanto stabilito a Vienna nel 1815.

Ma ancora: i patrioti menzionati tenevano i contatti con gli ambienti facenti capo alla Corona Inglese. Anche in questo caso ci sono assolutamente le prove documentabili.

Tutti insieme appassionatamente. Certo, il condominio, chiamiamolo così, era particolarmente affollato e complesso, ma tutti collaborarono senza sosta, con assoluta dedizione, e dati certi di compromissione. Fino a quando?

Sicuramente fino al 1855, quando Papa Pio IX, pressato da inconciliabili situazioni interne al suo Stato, quello Pontificio, e insieme internazionali, fece altre scelte, là dove anche l’Inghilterra decise, sempre nel corso di quel decennio (1845-1855), di allontanarsi dalla causa originaria italiana e più in generale dalla Penisola perché impegnata nel Mediterraneo Orientale, facendo così naufragare, l’uno e l’altra definitivamente, le speranze in un’Italia libera dallo straniero austriaco, Italia di matrice federale.

Un impegno troppo oneroso per la Corona Inglese, quello nel Mediterraneo Occidentale, che già intorno al 1845 aveva dovuto fare i conti con situazioni troppo esplosive in Medio Oriente per continuare a occupare un posto preminente.

Fu allora che iniziarono i veri guai per il complessivo movimento nazionale eterogeneo che contraddistingueva i patrioti italiani di ogni colore ed estrazione, l’un contro l’altro armati ma sempre pronti a trovare, almeno fino a quel momento, soluzioni compromissorie, in Patria e fuori.

Ognuno di questi patrioti cominciò a giocare in proprio le carte poste sul tavolo, e la situazione precipitò. Se non fosse stato per l’abilità strategica di Cavour, oggi forse saremmo ancora agli Staterelli di allora, e qualche volta ci siamo sorpresi tutti a chiederci se sarebbe stato un bene o un male. Un bene sicuramente no, un male, forse, non del tutto.

Quali sono le verità scomode che non vengono descritte dalla storiografia ufficiale?

Pochi storici affrontano per esempio le motivazioni per cui a un certo punto la Corona Inglese (tra il 1820 e il 1840) aveva puntato gli occhi per una eventuale unità federale della Penisola Italiana più sui Borbone che non sui Savoia, che entrarono in corner nel processo rivoluzionario. Ci sono storici che sostengono il contrario, ossia che i Borbone di Napoli rappresentassero una minaccia per gli Inglesi. Dalle carte rinvenute non risulta, tutti coloro che di casata non facevano Asburgo aspiravano a cacciare lo straniero in un’ottica federale e l’Inghilterra non poteva che essere in tal senso una garanzia. Le carte di una nobildonna lucchese del tempo tendono a confermarlo.

Ma soprattutto gli storici poco affrontano di come, sempre la Corona Inglese, di concerto con gli Stati Uniti, in crescita in quegli anni per potere politico in ambito internazionale e sempre più legati alla stessa Inghilterra «whig», non intendesse mettere affatto da parte il valore strategico del ruolo che nella Penisola stavano giocando ancora i napoleonidi superstiti.

Se gli Inglesi non si erano fidati nel 1815 di Gioacchino Murat, al punto che Lord Bentick a Genova quell’anno aveva posto il suo veto sulla possibilità che lo stesso divenisse il Re d’Italia, non sostenendo le richieste degli agenti di Murat Binda e Macirone, che raggiunsero in incognito lo statista Bentick in Genova; e ciò anche perché le mire di Re Gioacchino erano troppo spinte, ossia unitarie, ciò non significava che non prendessero in seria considerazione il ruolo rivoluzionario che rivestivano sullo Stivale i Bonaparte superstiti.

Gli Inglesi vedevano di buon grado una soluzione federale e non persero mai di vista Giuseppe Bonaparte e i suoi eredi, ma anche Luciano Bonaparte, e i figli di quest’ultimo, per tale scopo. Nel corso del Risorgimento essi furono degli accesi rivoluzionari italici e in Italia posero in alcuni casi la loro residenza.

I figli di Giuseppe ebbero la meglio prioritariamente negli Stati Uniti. Un suo nipote, qualche anno dopo, fondò l’FBI e l’ex agente murattiano Giuseppe Binda, forte dei suoi legami con i napoleonidi e con gli ambienti «whig» inglesi, ottenne poi, grazie al Governo Americano, un ruolo di spicco nelle vicende politiche italiane del tempo. Di quanto sto affermando ho prove documentabili.

Luciano Bonaparte e i suoi figli, rimasti stabilmente in Italia, tennero sempre i contatti sia con questi personaggi risorgimentali, apparentemente ancor oggi nell’ombra, che con i loro cugini d’oltreoceano.

Troviamo tra questi personaggi spie internazionali, come lo fu ad esempio Ermete Pierotti, l’ingegnere di cui poco si parla ma che ha tutti i suoi documenti al Pef di Londra e che da una pubblicazioni tedesca recente pare essere stato addirittura una spia dello Zar. Questo personaggio, come altri suoi cugini, godeva di coperture illustri ed era incensato, nonostante le difficoltà che avrebbe necessariamente potuto incontrare, visti i suoi trascorsi. Perché poteva permettersi di «restare nell’ombra», qualunque cosa facesse? Non sottovaluterei il fatto che stiamo parlando di scienziati, perché questa era per la maggior parte dei personaggi coinvolti la professione preminente, e il loro ruolo scientifico sopravanzava, ritengo, tutto il resto. All’interno di quei congressi degli scienziati italiani del tempo, che i Sovrani della Penisola organizzavano un po’ ovunque, d’impronta eminentemente politica, portarono avanti le loro idee e le loro azioni. Sopravanzava il loro ruolo di scienziati e naturalmente sopravanza tutt’oggi, visto l’interesse che ancora suscita il loro operato. Ma solo, purtroppo, è giusto ricordarlo, tra gli addetti ai lavori.

C’erano altri personaggi celebri coinvolti? Sicuramente. Stiamo parlando di famosi artisti, soprattutto musicisti, come Gioacchino Rossini, di cui quest’anno peraltro si festeggia il bicentenario della morte, che familiarizzò senz’altro con Padre Prosperi. I contatti col mondo del melodramma c’erano, e lo stesso Padre Prosperi lo menziona nelle lettere. Conoscenza diretta, suppongo di sì.

Padre Prosperi era cugino di Luigi Rodolfo Boccherini e di Alessandro Manzoni, ciò tende a confermarlo. Anche i Pierotti, suoi cugini, ebbero legami documentabili con l’intera famiglia Puccini.

Non c’erano solo musicisti, anche illustri letterati. Un nome su tutti spicca, accanto a quello di Manzoni: Giosuè Carducci. Egli, col padre, il medico Michele, lo ritroviamo negli annali di questi personaggi. In buona compagnia, con Salvatore Viale e Niccolò Tommaseo.

Ci sono poi gli Arrivabene, i Rossetti, lo stesso Giuseppe Mazzini, ed editori famosi come il Piemontese Pietro Rolandi, tra le frequentazioni dei nostri.

Ma anche i De Agostini Torinesi, antesignani di quel giornalismo di nuova matrice liberale che ho avuto modo di rintracciare, grazie a preziosi documenti rinvenuti.

Non solo, gli stretti legami di queste famiglie e di questi contesti erano persino con i Bonaparte superstiti, a partire da Luciano, dalla sua famiglia, passando per il futuro Napoleone III, toccando paradossalmente l’ex Imperatore, prima della sua infausta morte, sull’isola di Sant’Elena. Tutto documentabile.

Uno dei medici che curò Giuseppe Garibaldi quando restò ferito fu un patriota originario di Castiglione Garfagnana, anche lui appartenente alla famiglia Pierotti, che visse persino per un certo periodo in India. Chissà se anche questo amore per l’India aveva a che fare con i profondi legami intessuti con la Corona Inglese! In quale misura questi cattolici liberali particolarmente rivoluzionari sollecitarono lo stesso Papa Pio IX nelle note vicende, almeno fino al 1855? Parecchio direi. Non dimentichiamo che il Papa a lungo ventilò la possibilità di trovare punti di convergenza con l’anglicanesimo e più in generale col mondo protestante, tentativo che poi fallì. Ritroviamo comunque Padre Prosperi, accusato a più riprese pubblicamente di giansenismo, durante i lavori preparatori del Concilio Vaticano I, nel 1869, proprio in Vaticano, alla presenza e in amicizia con Papa Pio IX.

Mancarono sicuramente gli strumenti al momento dell’Unità Nazionale per trovare altre soluzioni alla complessiva situazione politica italiana che andassero in direzione cattolico liberale e nel 1855 il Pontefice col Concordato con l’Austria e gli Stati Tedeschi aveva anche per questo abbandonato definitivamente la causa nazionale.

Ma quel Risorgimento fu fatto e continuò a essere fatto da chi non si accontentava dei luoghi comuni, di compromessi senza un processo di continuità col passato. I cattolici liberali, che pure uscirono politicamente dal processo unitario, di fatto nell’ombra sempre vi restarono, e non ebbero assolutamente quel ruolo così marginale che la storiografia ufficiale loro ancora attribuisce.

Certo, un seguace di Guerrazzi come fu nel 1848 il mio quadrisavolo Cesare, non ebbe più voce in capitolo nelle sue arti compromissorie tra ambienti curiali e rivoluzionari, anche perché si macchiò, così pare, nel suo caso, di vicende personali che lo portarono in altra direzione. Ma suo cugino Ermete, lui sì, nonostante da valente ingegnere fosse stato buttato fuori dall’esercito sabaudo proprio nel 1848 e, senza colpo ferire, si fosse recato in Palestina al servizio del Pascià, sempre come ingegnere, rientrò quasi subito in Europa dopo le vicende rivoluzionarie di quegli anni, e frequentò tutte le Corti Europee, compresa quella italiana, divenendo poi, questo vogliono i documenti, addirittura una spia russa. Non pare da queste poche note che se la passassero poi così male questi transfughi delle possibili e ormai superate ex soluzioni federaliste italiane!

Come mai, mi chiedo? Forse sapevano troppo? Il cugino Paolo Fabrizi, il medico, per capire, uno dei celebri quattro fratelli, lui pagò, in parte, lo scotto delle sue frequentazioni rivoluzionarie dell’età giovanile. Fu il più giovane a morire, dei quattro, e venne pressoché dimenticato.

I suoi fratelli però, soprattutto il maggiore, restarono a lungo nel neonato Parlamento Italiano e, pur non brillando di luce propria come avrebbero dovuto, ebbero sempre un alto profilo. È stata poi la storiografia, soprattutto quella del XX secolo, a dimenticare questi personaggi scomodi. Ecco perché oggi la maggior parte della popolazione, a parte gli addetti ai lavori, non conosce significativamente questi personaggi e, di riflesso, le vicende più intime della nostra storia nazionale.

Mi sono permessa, con queste brevi note, di suggerire la lettura di alcuni miei brevi saggi, che sono pubblicati gratuitamente in rete, su boorp, con nutrita bibliografia, per poter documentare quanto ho affermato, con dovizia peraltro di particolari e documenti, mi sia concesso. Ma soprattutto per poter finalmente rinvenire qualche storico e/o cultore della materia, meno condizionato di chi per mestiere deve sollecitare sempre e solo certe posizioni, potendo, anche in privato, avere un reale scambio di battute e di vedute su vicende sempre spinose ma anche decisamente interessanti.

(gennaio 2019)

Tag: Elena Pierotti, Risorgimento Italiano, Fabrizi, Mazzini, Pierotti, Mordini, Garibaldi, Bonaparte, Carducci, Pio IX, De Agostini.