Romanticismo e patriottismo
Valori tradizionali del migliore Risorgimento

La crisi dell’Illuminismo e delle pregiudiziali razionaliste che avevano animato la grande Rivoluzione, ma il cui fondamento egualitario era stato fortemente scosso dalla folgorante esperienza napoleonica, trova nuove soluzioni originali nel complesso fenomeno romantico, i cui momenti qualificanti possono cogliersi, in Italia come nel resto d’Europa, a cominciare dalla Germania, nel ritorno alla tradizione, nell’affermazione di un profondo senso della storia, e non certo ultima, nella diffusa condivisione del principio di nazionalità, anche nei tanti territori governati dallo spirito autoritario della Restaurazione e dall’assolutismo della Santa Alleanza.

L’ambiente culturale italiano era stato predisposto positivamente, già da diverso tempo, all’accoglienza di questa nuova atmosfera politica e psicologica, ed a quella di un’estetica letteraria sensibile all’apertura sociale ben oltre i limiti ristretti dei vecchi salotti: basti pensare alla fondamentale opera di Giambattista Vico, che aveva scoperto il ruolo maieutico della storia superando il freddo razionalismo cartesiano in una visione ascensionale dell’umanità, chiamata ad abbandonare progressivamente l’epoca ferina, dapprima per «avvertire con animo perturbato e commosso» ed infine a «ragionare con mente pura» nell’ambito di un percorso etico, prima che intellettuale.

Con la grande stagione romantica, in Italia si assiste ad una fioritura del pensiero, ivi compreso quello politico, di crescente valenza popolare anche nell’ambito letterario, come attestano, fra i tanti esempi significativi, quelli di Giovanni Berchet, Silvio Pellico e Massimo D’Azeglio: il primo, assai sensibile al tema dell’esilio e della diaspora, proposto con accenti di forte commozione nei Profughi di Parga; il secondo, alle tristi vicissitudini dei patrioti trascinati in catene nelle fortezze austriache descritte con crudo e coinvolgente realismo nelle Mie Prigioni; l’ultimo, alla reminiscenza dell’antica virtù di petrarchesca memoria, anche dal punto di vista militare, che fece del suo Ettore Fieramosca un successo editoriale senza precedenti. In queste opere, come in quelle somme di Ugo Foscolo o di Alessandro Manzoni, è facile cogliere un’aspirazione patriottica ed un idealismo nazionale che trascendono la sfera estetica ed appartengono prioritariamente a quella civile e morale, pur senza trascurare una ricerca di valore stilistico felicemente coniugata con la capacità di parlare intensamente al cuore italiano.

La questione dell’esilio – particolarmente avvertita anche in tempi più recenti se non altro per il grande dramma giuliano, istriano e dalmata culminato nella tragedia delle foibe e nell’esodo plebiscitario dei 350.000 – si inserisce in una tradizione non soltanto italiana, come dimostra l’alto esempio di Lord George Byron, ma raggiunge vertici di strazio squisitamente romantico nell’opera del Berchet, negando a priori ogni possibile suggestione conciliatrice: non a caso, rivolgendosi all’avversario, il protagonista gli riconosce di essere «un giusto» ma soggiunge che la cosa è ininfluente, in quanto egli è «figlio d’una terra esecranda». Nella prospettiva del nuovo millennio, queste pregiudiziali sembrano superate, perché si possono sublimare nella dimensione dell’Europa Comunitaria, ma il ricordo dei frequenti genocidi e dei delitti contro l’umanità che continuano a perpetrarsi nel mondo, spesso colpevolmente dimenticati per tanto tempo come quelli di cui sopra, resta una ferita aperta.

Non si tratta di un Romanticismo accademico, simile a quello di taluni epigoni. Del resto, come avrebbe potuto essere tale quello del Pellico o di Federico Confalonieri – nobile anima del «Conciliatore» – che avevano fatto esperienza diretta dello Spielberg e delle sue angherie? Come avrebbe potuto indulgere ad espressioni di maniera quel D’Azeglio che viveva l’esigenza di tornare alle gloriose tradizioni patrie con l’ansia partecipe di tanti protagonisti del Primo Risorgimento, destinata a continuare intensamente fino alla proclamazione dell’Unità, o meglio, fino all’acquisizione di Venezia e di Roma? Si tratta, invece, di un Romanticismo fortemente patriottico, che assume una connotazione nazionale specifica, distinguendosi da posizioni illustri ma in qualche misura auliche come quelle di un August Wilhelm Schlegel o di una Madame Anne-Louise De Stael, e che si sarebbe confrontato con le prime suggestioni positiviste, solo dopo il raggiungimento degli obiettivi politici essenziali da parte del giovane Regno d’Italia.

Sin dai primordi, questa interpretazione dell’idea romantica, mutuata dalla cultura tedesca non soltanto letteraria, ebbe specifico vigore ed ampia condivisione soprattutto in Italia, avviando la sua storia verso caratteri che in caso contrario sarebbero stati piuttosto diversi anche se non completamente alternativi; in questo senso, assume rilevanza determinante il programma più avanzato di rivendicazione nazionale in chiave di indipendenza e di libertà dallo straniero, tanto più significativo perché nella prima metà dell’Ottocento la stessa Germania, al pari dell’Italia, era una giustapposizione di Stati, ma non altrettanto sensibili al postulato unitario.

È utile aggiungere che talune proiezioni di queste idealità si sarebbero manifestate a lungo termine anche dopo l’avvento del positivismo, del nazionalismo e dello stesso futurismo: in fondo, se è vero che il Primo Conflitto Mondiale del 1915-1918 fu la «Quarta Guerra d’Indipendenza» – come nella lucida interpretazione di Gilles Pécout – è anche vero che nell’opinione pubblica dell’epoca, ed in talune espressioni dell’interventismo democratico, non mancarono permanenti reminiscenze romantiche. Per averne un’idea, basta scorrere, nell’ambito di una letteratura immensa divenuta sterminata in occasione del centenario, le tante testimonianze lasciate dai combattenti e dai caduti, come quelle riportate da Adolfo Omodeo nei Momenti della vita di guerra: un’opera di alto valore storico ma prima ancora, etico e civile.

Oggi sembrano prevalere relativismo e pragmatismo, non senza talune aberranti infiltrazioni negazioniste se non anche nichiliste, ma quello dell’idealità romantica, opportunamente riveduta ed attualizzata, è un fiume carsico che continua a scorrere: appartenendo all’«ethos» di donne ed uomini di buona volontà, non è infondato presumere che possa tornare alla luce in tempi meno lunghi di quanto si possa credere a prima vista, facendosi arra di un nuovo e consapevole progresso umano e civile.

(luglio 2018)

Tag: Carlo Cesare Montani, Giambattista Vico, Giovanni Berchet, Silvio Pellico, Massimo Taparelli D’Azeglio, Ugo Foscolo, Alessandro Manzoni, Lord George Byron, Federico Confalonieri, August Wilhelm Schlegel, Anne-Louise De Stael, Gilles Pécout, Adolfo Omodeo, idealità romantica, Romanticismo e patriottismo, Primo Risorgimento.