La «Spedizione dei Mille»
Breve sintesi sulla conquista del Regno delle Due Sicilie

La «Spedizione dei Mille» è stata uno degli avvenimenti più significativi della storia del nostro Paese in quanto ebbe l’effetto di creare un’Italia unita sotto il profilo territoriale. Ancora oggi molti studiosi si domandano come sia stato possibile che un’invasione comprendente poco più di un migliaio di uomini sia riuscita nell’arco di pochi mesi a porre termine all’esistenza di un Regno.

La spiegazione va in parte ricercata nel periodo di crisi che stava attraversando il Regno delle Due Sicilie. Nonostante sia indubitabile che la Monarchia Borbonica sia stata sottoposta a un’ingiusta demonizzazione al punto da essere stata definita la «negazione di Dio»[1]; è tuttavia altrettanto vero che, alla vigilia dell’Unità, il Regno del Sud si trovava ad attraversare una fase di declino.[2] La molla che fece scattare il crollo della Monarchia fu lo scoppio di un’insurrezione a Palermo il 4 aprile 1860 che, sebbene venisse presto repressa dall’esercito, ebbe però l’effetto di scatenare una serie di rivolte e disordini sull’isola.[3] Ciò indusse Garibaldi, dopo non poche esitazioni e insistenze, a capeggiare una spedizione avente l’obiettivo di unificare l’Italia.

Ultimata la raccolta di armi e volontari con la tacita approvazione del Governo Sardo,[4] la spedizione dei Mille partì da Quarto nel maggio 1860 e raggiunse in pochi giorni il porto di Marsala. Lo sbarco sull’isola dei volontari venne favorito dal fatto che, al momento dell’attracco, la flotta borbonica esitò ad attaccare il nemico per il timore di colpire le due navi inglesi sopraggiunte sul posto per difendere gli stabilimenti britannici per la produzione di vino lasciati sguarniti.[5] Il primo scontro contro un manipolo di truppe borboniche si ebbe a Calatafimi dove l’esercito garibaldino, con il sostegno di alcune squadre di insorti siciliani, ottenne una prima vittoria. Il combattimento, se dal punto di vista strettamente militare ebbe scarsa rilevanza (si contarono una sessantina di morti tra borbonici e garibaldini), ebbe invece un’enorme importanza dal punto di vista propagandistico poiché, come ricordò Garibaldi nelle sue memorie, ebbe l’effetto di demoralizzare il nemico e di incoraggiare alla rivolta la popolazione siciliana.

Dopo la battaglia di Calatafimi, i Mille marciarono verso Palermo. Con un’abile mossa, Garibaldi riuscì a eludere la colonna borbonica inviata ad affrontarlo, facendo distaccare un piccolo manipolo di uomini, così che riuscì ad arrivare in città mentre la carovana avversaria era ancora impegnata nell’inseguimento dell’altra schiera nemica. Nella battaglia per la conquista di Palermo, Garibaldi poté contare sull’appoggio della popolazione locale che, dopo i primi successi dei garibaldini, scese a combattere per le strade innalzando barricate e mettendo in seria difficoltà i soldati del Regno delle Due Sicilie. Dopo alcuni giorni di duri combattimenti, le due parti si incontrarono per discutere un armistizio sopra una nave britannica e, nel corso di lunghe trattative, il 6 giugno la guarnigione borbonica acconsentì infine a lasciare la città.

Dopo questa vittoria, la spedizione di Garibaldi venne favorita dall’arrivo, a varie ondate, di altri 20.000 volontari partiti dal Regno di Sardegna per dare manforte ai Mille (rinforzi molto utili poiché la leva obbligatoria decretata in Sicilia da Garibaldi ottenne scarsi risultati). Inoltre, il condottiero poté giovarsi della mobilitazione del mondo rurale che sperava con la Rivoluzione di migliorare la propria condizione sociale.[6] A contribuire allo sfaldamento del Regno delle Due Sicilie, paradossalmente, fu anche lo stesso Re dell’Italia Meridionale, Francesco II, che nel tentativo di fermare l’avanzata garibaldina decise, il 25 giugno 1860, di introdurre un regime liberale (atto che segnò invece il crollo definitivo del suo Regno).[7]

La successiva battaglia che permise a Garibaldi di conquistare l’intera Sicilia fu quella di Milazzo. Con l’aiuto dei nuovi volontari, i garibaldini diedero l’assalto alla città che venne tenacemente difesa dai borbonici. Nonostante alla fine della lotta questi contassero un numero notevolmente inferiore di morti e feriti rispetto ai nemici, i soldati di Francesco II – asserragliati all’interno della fortezza e privi di rinforzi – non ebbero altra scelta che trattare la resa. Se da un lato Garibaldi dimostrò buone capacità combattive, dall’altra parte, l’esercito borbonico manifesterà invece una scarsa capacità bellica (a dire il vero, proveniente non dai soldati semplici quanto piuttosto dai comandanti militari) arrivando anche a lasciare il campo al nemico: lo sbarco dei volontari nell’Italia peninsulare non venne ostacolato dalla Marina Napoletana, simpatizzante per la causa liberal-nazionale; e i Generali Fileno Briganti e Nicola Mendez, inviati a contrastare Garibaldi sbarcato in Calabria, si arresero il 23 agosto senza neanche combattere.[8]

Di fronte a questo clima di caos e disgregazione provocato in buona parte dalla sua svolta, Francesco II venne convinto dai suoi consiglieri a lasciare Napoli per concentrare la difesa nei pressi delle fortezze di Capua e Gaeta. Dopo la partenza del Sovrano, Garibaldi farà il suo ingresso nella capitale dell’Italia Meridionale acclamato da una folla esultante di Napoletani. Paradossalmente, per l’Eroe dei Due Mondi sarebbe però presto iniziata la battaglia più difficile di tutta la campagna perché con Francesco II erano rimasti infatti i soldati più validi e motivati e, a differenza di quanto accadde in Sicilia, nelle regioni settentrionali del Regno Borbonico la Monarchia poté contare sul forte sostegno della popolazione locale. Nell’ottobre 1860 ebbe luogo la battaglia del Volturno dove, nonostante l’inferiorità numerica (50.000 soldati borbonici contro 30.000 garibaldini), Garibaldi riuscì a respingere l’assalto nemico effettuato per tentare di riconquistare Napoli. Il trionfo militare non fu dovuto solo alle abilità strategiche del Nizzardo, ma anche ai ritardi nell’offensiva nemica e alla mancata coordinazione dimostrata dall’esercito borbonico durante la battaglia. Eppure, nonostante la vittoria, l’esercito di Francesco II, ancora quasi intatto nei suoi effettivi, e sostenuto dalle popolazioni locali, rimaneva un avversario troppo forte per i volontari. Motivo per cui Garibaldi decise di rimanere sulla difensiva[9].

A decretare la disfatta definitiva del Regno Borbonico fu però l’intervento dell’esercito sabaudo che a settembre, dopo previa autorizzazione da parte dell’Imperatore Napoleone III, aveva deciso di raggiungere Garibaldi passando attraverso le regioni dello Stato della Chiesa.[10] L’incontro tra il Re Piemontese e l’Eroe dei Due Mondi si ebbe a Teano. Garibaldi, fedele al motto della sua campagna «Italia e Vittorio Emanuele», consegnò al Sovrano le sue conquiste. Al Generale furono offerti doni e onorificenze (rifiutati da quest’ultimo), ma la sua richiesta di mantenere il comando dell’esercito dei volontari gli fu rifiutata e, al contrario, gli venne comunicato che le ultime operazioni di conquista sarebbero state effettuate dai soldati dell’esercito del Regno di Sardegna.[11] Amareggiato, Garibaldi partirà pochi giorni dopo verso l’isola di Caprera. Gli ultimi territori rimasti ai Borbone verranno conquistati nei mesi seguenti dalle truppe sabaude: Gaeta, l’ultima roccaforte a cedere, cadrà nel febbraio 1861 dopo una dura resistenza, e Francesco II partirà in esilio con la sua Regina verso le regioni dello Stato Pontificio di Papa Pio IX. Nel marzo di quell’anno verrà ufficialmente proclamato il nuovo Regno d’Italia.

L’unificazione italiana è ancora oggi un tema che suscita forti dibattiti e vivaci discussioni tra chi giudica questo avvenimento necessario e inevitabile per raggiungere la modernità e l’indipendenza del Paese, e chi invece pensa che questa fu una disgrazia che causò massacri e saccheggi[12]. Di fronte a questi giudizi, vale forse la pena ricordare l’ammonimento dello storico François Furet che affermava che il modo migliore per non comprendere il proprio passato era quello di esaltarlo o demonizzarlo.


Note

1 La definizione è dell’Inglese William Gladstone, che passò tre mesi a Napoli nel 1851. I suoi attacchi contro la Monarchia Borbonica ebbero un ruolo fondamentale nello screditare e isolare il Regno delle Due Sicilie, sebbene parte delle sue dichiarazioni, che poi ritrattò, si basassero esclusivamente su dicerie o esagerazioni come, ad esempio, l’affermazione che nel Regno del Sud vi fossero tra i 20.000 e i 30.000 prigionieri politici. Confronta Densi Mack Smith, Il Risorgimento Italiano, Laterza, Roma 1999, pagina 269.

2 Per la verità, gli inizi del Regno di Ferdinando II (1810-1859) erano stati segnati da una serie di innovazioni molto importanti per l’economia e lo sviluppo; ma dopo la repressione dei moti del ’48 il Sovrano adottò una serie di provvedimenti illiberali revocando la Costituzione precedentemente concessa e scatenando una serie di misure repressive che provocarono, tra l’altro, l’esilio di circa 850 esponenti della migliore intellettualità meridionale che trovarono riparo in Piemonte, Inghilterra e Francia, e che contribuirono a diffondere all’estero un’immagine negativa sul Regno del Sud. La politica economica di modernizzazione venne inoltre abbandonata: le grandi imprese ferroviarie iniziate o progettate negli anni precedenti vennero in gran parte lasciate cadere, gli investimenti in viabilità e per le infrastrutture portuarie diminuirono, l’istruzione pubblica venne del tutto negletta e il sostegno all’imprenditoria trascurato. In aggiunta, lo strumento militare iniziò a dare segni di logoramento, anche a causa dell’esilio di alcuni tra i docenti più validi, e la mancanza di energici Ministri della Guerra aumentò i fenomeni di corruzione. Nonostante l’esercitò contasse ufficialmente circa 100.000 soldati effettivi, in realtà, almeno un terzo di essi esisteva solo nei libri paga o fu destinato a scomparire nelle retrovie. Ad aumentare le difficoltà del Regno fu anche la salita al Governo di Francesco II nel 1859 che, a differenza del padre, mostrava un carattere timido e insicuro. Il nuovo Sovrano si rivelò incapace di uscire dall’isolamento internazionale promosso dal suo predecessore: nell’estate del 1859 vi fu una vera e propria offensiva diplomatica da parte delle potenze europee (in particolare dell’Inghilterra) che vedevano nella conservazione del Regno delle Due Sicilie una possibile utilità per i loro interessi, ma Francesco II non colse questa occasione e continuò invece a perseverare nel proprio atteggiamento isolazionista. Sul declino del Regno del Sud si veda Gianni Oliva, Un Regno che è stato grande, Mondadori, Milano 2012, pagine 221-230.

3 I Siciliani detestavano il Governo di Napoli, dal quale si sentivano trattati come una colonia. Lo scontro risaliva fin dai tempi di Ferdinando IV di Borbone (1751-1825) che, rifugiatosi sull’isola a seguito dell’avanzata francese, era entrato in contrasto con la feudalità locale. Dopo la Restaurazione, il Sovrano aveva abolito la Costituzione siciliana e aveva esteso all’isola gli ordinamenti amministrativi meridionali ricalcati sul modello napoleonico dell’accentramento. Inoltre, ad aumentare le tensioni fu il fatto che, a causa del rifiuto di sottostare alla coscrizione militare, le truppe borboniche presenti in Sicilia erano composte esclusivamente da Napoletani o da corpi esteri. La perdita dell’identità statale venne mal sopportata dai Siciliani che si ribellarono a varie riprese contro il Governo Borbonico già nel 1820, nel 1837 e nel 1848. Confronta Alfonso Scirocco, Garibaldi, Edizioni Laterza, Roma 2007, pagine 234-235.

4 Non è facile dare un giudizio sull’atteggiamento di Cavour nei confronti della Spedizione dei Mille. È indubbio che il conte temeva la reazione delle potenze straniere contrarie all’impresa garibaldina, ma d’altro canto, era cosciente che questa godeva dell’appoggio della popolazione e dello stesso Re Vittorio Emanuele II. Ciò spiega l’ambiguo comportamento del Regno Sardo che, pur ufficialmente condannando la spedizione, non fece praticamente nulla per fermarla.

5 Questo fatto ha portato alcuni studiosi a ipotizzare che l’Inghilterra avesse aiutato volutamente l’Impresa dei Mille perché intenzionata a far crollare il Governo Borbonico. In realtà, il Governo Inglese tenne all’epoca un atteggiamento defilato: Londra temeva che, con l’unificazione della Penisola, Cavour concedesse ai Francesi ulteriori compensi territoriali e paventava un attacco italiano all’Austria che avrebbe potuto scatenare un’altra guerra europea. All’epoca, il Ministro degli Esteri Britannico Lord Russell diffidò il Piemonte dal fornire appoggi ai Mille, chiese a Vittorio Emanuele II di bloccare Garibaldi in Sicilia e infine cercò di formare «in extremis» un’alleanza tra Napoli e Torino. È vero che l’Inghilterra invierà un dispaccio in cui salutò con felicitazione l’unità italiana, paragonandola alla Gloriosa Rivoluzione, ma questo arrivò solamente il 27 ottobre del 1860, ossia un mese e mezzo dopo che Garibaldi era entrato nella capitale borbonica. Confronta Paolo Macry, Unità a Mezzogiorno. Come l’Italia ha messo insieme i pezzi, Il Mulino, Bologna 2012, pagine 40-41.

6 Grande speranza aveva dato, in particolare, un decreto emanato il 2 giugno 1860 da Francesco Crispi, nominato Segretario di Stato da Garibaldi, che assicurava che le terre comuni sarebbero state divise tra i contadini, e una quota di queste sarebbe andata sicuramente a tutti gli agricoltori che si fossero arruolati per combattere contro i Borboni. Tuttavia, il decreto sulla riforma agraria rimarrà largamente inapplicato, e questo provocò un’ondata di agitazioni contadine e occupazioni di terre. La più famosa di queste rivolte ebbe luogo a Bronte, e si concluse con la repressione effettuata dal Generale Nino Bixio che fece giustiziare cinque presunti capi rivoltosi (in realtà, come ha accertato la storiografia odierna, queste persone – fucilate al termine di un processo sommario – erano in realtà innocenti dalle accuse per le quali furono condannate a morte). L’intenzione di Bixio era quella di rassicurare i proprietari terrieri siciliani che la rivoluzione di Garibaldi non costituiva una minaccia per i loro beni, e che il nuovo Governo era in grado di fare rispettare la legge e mantenere l’ordine. Confronta Lucy Riall, Garibaldi. L’invenzione di un eroe, Editori Laterza, Bari 2007, pagine 255-256 e 258.

7 La decisione di Francesco II, sollecitata dai Francesi, di introdurre una Costituzione – oltre a inimicarsi i settori fautori dell’Assolutismo – suscitò la diffidenza dei settori liberali e democratici coscienti del carattere tardivo del provvedimento. Inoltre, la scelta del Re di rimuovere i vecchi dirigenti per sostituirli con quelli di orientamento liberale finì per provocare il collasso delle funzioni pubbliche poiché intere intendenze rimasero prive di titolari. Tra gli effetti più rilevanti di questa svolta vi fu la nomina del giurista antiborbonico Liborio Romano a Ministro degli Interni, che svolgerà un ruolo di primo piano nella caduta dello Stato Napoletano. Romano giungerà a prendere contatti con Cavour e con lo stesso Garibaldi per favorire più rapidamente l’unificazione. Al Nizzardo, il Ministro prometterà di evitare eventuali colpi di coda dei Borbone o sollevazioni popolari, e nell’imminenza dell’arrivo del Generale a Napoli, farà affiggere un manifesto nel quale inviterà la popolazione a salutare il «liberatore d’Italia». Si veda Paolo Macry, Unità a Mezzogiorno, pagine 61-89.

8 Confronta Andrea Possieri, Garibaldi, Il Mulino, Bologna 2010, pagine 177-178.

9 A. Scirocco, Garibaldi, pagine 297-298.

10 Paradossalmente, l’intervento dell’esercito sabaudo venne effettuato non tanto per aiutare Garibaldi, quanto piuttosto per togliergli la guida del movimento nazionale. Cavour temeva infatti che i successi del condottiero avrebbero potuto offuscare l’immagine del Re che, agli occhi dell’opinione pubblica, sarebbe diventato solamente «l’amico di Garibaldi». Inoltre, il Ministro Piemontese era preoccupato dall’intenzione manifestata più volte dal Generale di non fermarsi alla conquista del Regno delle Due Sicilie, ma di marciare direttamente su Roma, rischiando in questo modo di provocare un intervento militare della Francia, protettrice dello Stato Pontificio. Tuttavia, nonostante sia noto il reciproco disprezzo tra i due principali protagonisti del Risorgimento, Cavour, in una lettera al suo collaboratore Costantino Nigra, ebbe ad affermare che Garibaldi aveva «reso all’Italia i più grandi servigi che un uomo potesse renderle: ha dato agli Italiani la fiducia in se stessi, ha dimostrato all’Europa che gli Italiani sapevano battersi e morire sui campi di battaglia per riconquistarsi una patria».

11 Il trattamento riservato ai volontari da parte dell’esercito piemontese rasentò l’ingratitudine. Sebbene lo scioglimento dell’esercito garibaldino potesse essere giustificato per ragioni politiche (tranquillizzare le potenze europee che avevano mal sopportato l’Impresa dei Mille), non fu invece comprensibile l’ostentato disprezzo manifestato dagli ufficiali sabaudi verso i volontari. L’ingratitudine mostrata fu tale da scandalizzare persino lo stesso Vittorio Emanuele II: in una lettera a Cavour il Re, pur esprimendo un giudizio assai negativo su Garibaldi («questo personaggio non è affatto così docile né così onesto come lo si dipinge, e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato fatto qui, ad esempio l’infame furto di tutto il denaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui, che s’è circondato di canaglie, ne ha seguito i consigli e ha piombato questo infelice Paese in una situazione spaventosa»), scrisse che: «Questi sventurati [i garibaldini], che a torto o a ragione credevano di aver fatto grandi cose, sono trattati come cani. [Il Generale] Fanti li trattava in pubblico con sovrano disprezzo (l’ho visto malmenare dei mutilati che chiedevano l’elemosina)… Ciò che occorreva fare tutti lo sapevano, compresi i sodati di Garibaldi, i quali erano pronti a subirlo; ma si sarebbe dovuta salvare l’apparenza della loro dignità militare». Citato in Denis Mack Smith, Garibaldi, Arnaldo Mondadori Editore, Milano 1993, pagine 285-386.

12 Mentre i sostenitori del Risorgimento pongono generalmente l’accento sugli aspetti modernizzanti portati dal nuovo Stato unitario (introduzione del diritto di voto, lotta all’analfabetismo, costruzione di nuove infrastrutture...), i critici evidenziano sopratutto i feroci massacri delle truppe sabaude nelle regioni meridionali effettuati nella cosiddetta lotta al «Brigantaggio» (che molti storici odierni definiscono invece come una vera e propria guerra civile). Oggetto di dibattito tra gli studiosi è anche la «Questione Meridionale» tra quanti ritengono che il divario economico tra Nord e Sud fosse presente già prima dell’Unità, e chi invece pensa che questo fu un prodotto che avvenne in seguito all’unificazione politica della Penisola.

(novembre 2019)

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