Lenin e la Russia comunista nella testimonianza di Boris Souvarine
Lo scrittore franco-ucraino riportò molti eventi sconvolgenti al tempo di Lenin e Stalin

Boris Souvarine, il cui vero nome era Boris Lifschitz, nacque in Ucraina nel 1895 da una modesta famiglia di operai che negli anni immediatamente successivi emigrò in Francia. Boris, interessato già da giovane alla politica, all’età di vent’anni aderì al Partito Socialista. Simpatizzò subito per la corrente rivoluzionaria, nel 1917-1918 espresse le sue simpatie per la Rivoluzione d’Ottobre e nel 1920 entrò come dirigente nel nuovo Partito Comunista. L’anno successivo rientrò in Russia come rappresentante francese della Terza Internazionale e divenne membro della Segreteria di quella organizzazione. Rientrato in Francia, nel 1926 venne espulso dal Partito Comunista per aver difeso Trotsky, tuttavia non si allineò alla politica dei trotskysti e rimase isolato pur rimanendo pienamente comunista e si diede alla pubblicazione di alcune opere sul travagliato mondo marxista. Nel 1930 scrisse la sua opera più importante, Stalin, e negli anni successivi si spostò progressivamente su posizioni anticomuniste, pur rimanendo simpatizzante della Sinistra.

Con Stalin Souvarine traccia una storia approfondita e completa dello stato russo degli ultimi decenni, utilizzando molte delle sue esperienze personali in quel Paese e quelle con gli emigrati russi in Europa Occidentale. L’opera non è incentrata esclusivamente sulla figura del dittatore georgiano ma analizza tutti i grandi leader del bolscevismo. All’interno del Partito Socialdemocratico emerse rapidamente la figura di Lenin favorevole alla «concentrazione di tutte le funzioni nelle mani di un ristrettissimo gruppo di rivoluzionari di professione» che sapessero darsi una organizzazione militare e metteva in luce già negli anni della gioventù che il proletariato senza tale guida avrebbe finito per dar vita a semplici organizzazioni sindacali senza particolari connotati politici. L’autoritarismo e le tendenze intransigenti di Lenin si conciliavano con un approccio pragmatico nell’azione politica in senso stretto, non escludeva momentanee collaborazioni con forze più moderate e accettava il fatto che il suo gruppo politico si sostenesse con le rapine che molti invece rifiutavano e in un caso oggetto della rapina furono i fondi di cui disponeva il Partito Socialdemocratico. Nonostante le posizioni radicali, i bolscevichi partecipavano alle elezioni politiche, disponevano di un piccolo gruppo parlamentare e un collaboratore di Lenin, Malinowskij, collaborò con la polizia politica zarista, l’Ochrana, per mettere in difficoltà i menscevichi. Tuttavia la forza dei bolscevichi era data secondo il nostro autore dal fatto che «formavano una confraternita molto chiusa... In questo Paese in disfacimento, Lenin disponeva della sola forza reale e attiva, tenace, disciplinata».

Nel 1914 si ebbe la guerra, gestita malissimo, che gettò nel discredito il Governo, malvisto da parte di tutte le classi sociali. Quando il pane venne a mancare a Pietrogrado sorsero le proteste popolari alle quali si unirono i reparti inviati per reprimerle. Si costituì un Governo Socialista che vedeva singolarmente l’opposizione dei bolscevichi, Kerensky non ebbe le capacità di prendere provvedimenti efficaci e di questo ne approfittò Lenin per porsi come alternativa e proporre al Paese la pace (ovvero la trasformazione della guerra fra nazioni in guerra di rivoluzionari contro le classi borghesi) e assegnazioni di terre ai contadini, affermazioni che ebbero per un certo periodo notevole presa fra soldati e lavoratori agricoli. Lenin parlò addirittura di autodeterminazione dei popoli non russi facenti parte dell’ex Impero, affermazioni che vennero smentite nei mesi immediatamente successivi.

Souvarine mise in luce un aspetto di Lenin già notato da altri storici, le promesse demagogiche che venivano puntualmente eluse, nelle Tesi di Aprile si parlava di soppressione della polizia, dell’esercito e della burocrazia, esattamente il contrario di quanto successivamente realizzato.

Nei mesi successivi alla Rivoluzione d’Ottobre, Souvarine ci dà la seguente descrizione: «Nelle città affamate la produzione industriale si avvicina a quota zero... I soviet un tempo eletti dai lavoratori e poi dalla loro minoranza più attiva, dall’inizio del terrore furono designati direttamente o indirettamente dai comitati del Partito... Contravvenendo ai progetti di controllo operaio delle aziende i comunisti ne decidono la nazionalizzazione... con l’incorporazione dei sindacati nello Stato», contemporaneamente nelle campagne «i contadini nascondono il grano, rifiutano un denaro senza valore, tornano allo scambio diretto... Una serie incontestabile di abusi da parte delle autorità sovietiche fu denunziata e condannata. I contadini riducevano le aree seminate, nascondevano le magre riserve e cominciavano a ribellarsi... Invano la dittatura sovietica credeva di rispondere a tutto con requisizioni e repressioni».

Nell’estate del 1918 Lenin subì un attentato ad opera di una socialrivoluzionaria, «la Ceka risponde con fulminea rapidità. Il terrore rosso si pone apertamente all’ordine del giorno, la legge marziale entra in vigore: cinquecento controrivoluzionari, o presunti tali, sono giustiziati a Pietrogrado, altrettanti a Kronstadt, un centinaio a Mosca, un numero imprecisato in provincia», altri autori hanno fornito stime ancora superiori. Con la definitiva sconfitta della Germania, le nazioni precedentemente facenti parte dell’Impero Zarista vennero immediatamente aggredite per essere inglobate nel nuovo stato. A Souvarine non sfuggiva l’acquisizione di privilegi da parte dei capi bolscevichi e «la rapida degenerazione del Partito e dei soviet in sistema burocratico parassitario... questa nuova casta dotata di piccoli privilegi». Nel 1919 si ebbe la reazione di tutti coloro avevano subito la dittatura, i Bianchi non comprendevano solo i conservatori ma anche gruppi di Sinistra. Souvarine parla a proposito delle violenze di entrambi, di «ostaggi fucilati, prigionieri sterminati, innocenti massacrati, villaggi incendiati» e accenna a un «bolscevismo diventato conservatore».

Molte di queste violenze erano da addebitarsi non a capi locali ma allo stesso Lenin, nel 1921 quando la battaglia contro i Bianchi era stata vinta, affermò: «Eliminare tutto ciò col terrore: procedura sommaria, pena di morte senza appello». In questi anni in Russia venne introdotto il razionamento, Souvarine riporta: «Operai e soldati, i “privilegiati”, vivevano a stento con una miserabile razione», le altre categorie erano costrette a fuggire e molti che non potevano abbandonare il Paese andarono incontro alla morte per fame, cinque milioni furono le vittime della carestia nonostante alcuni aiuti dall’estero. La situazione economica era aggravata dalla stampa illimitata di moneta, mentre tutto il commercio era «ridotto al baratto clandestino» con pene severe per chi veniva scoperto. «Il “comunismo di guerra” fu certamente un tentativo – all’inizio poco consapevole, in seguito volontario e intransigente – di bruciare le tappe per instaurare il socialismo “d’assalto”». Le continue rivolte operaie e contadine ed infine quelle dei marinai di Kornstadt fecero ritenere che il dominio dei bolscevichi fosse vicino alla fine, venne pertanto decisa una politica meno ristrettiva in campo economico. «Con la NEP Lenin fa una concessione in campo economico affinché il suo partito conservi tutti i privilegi politici».

Riguardo ai rapporti fra Lenin e gli altri leader, Souvarine fa notare che «Lenin non giudica Stalin un’aquila ma un uomo di polso. Tuttavia solo dopo molti anni cambierà parere sul conto del “meraviglioso Georgiano”». Da non dimenticare che Stalin divenne Segretario del Partito Comunista nel 1922 sotto la protezione dello stesso Lenin che in qualche modo temeva la superiorità intellettuale di Trotsky. Per Souvarine, Trotsky era un uomo intelligente e molto attivo, ma anche violento e autoritario come tutti gli altri leder comunisti, sostenitore in particolare della estensione della dura disciplina militare ai lavoratori di ogni categoria e di una rigida pianificazione economica, quando nel 1924 si accorse di essere stato posto in minoranza, non seppe impostare una lucida strategia, reclamò un minimo di pluralismo all’interno del partito alternato a momenti di subordinazione verso i nuovi capi comunisti.

Le testimonianze sulla Russia comunista anche da parte di uomini dell’estrema Sinistra (Angelica Balabanof, Victor Serge, Boris Souvarine) avevano messo in luce le brutalità e le coercizioni nei confronti dei lavoratori ad opera non solo di Stalin. Viene da chiedersi come sia stato possibile che in Occidente politici e uomini di cultura abbiano per molti decenni vaneggiato a proposito delle conquiste rivoluzionarie, come ha scritto Hannah Arendt nel Novecento i miti avevano spesso scavalcato la realtà.

(maggio 2017)

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