Il socialismo nichilista-rivoluzionario nella Russia Zarista
La perdita dei valori morali e l’avanzata del nichilismo portarono molti Russi ad aderire ad un socialismo sempre più violento, che avrebbe finito per spalancare le porte al regime comunista

Rispetto ad altre Nazioni Europee, la situazione sociale ed economica della Russia della seconda metà dell’Ottocento era del tutto particolare in quanto il popolo viveva in condizioni di estrema povertà ed oppressione esercitata dal potere politico. Per questo, attorno al 1860, emergeva la corrente ideologica del «nichilismo» che trovava subito intellettuali disposti ad abbracciarlo con entusiasmo ma che, a causa delle vigenti condizioni di censura, poterono condurre la loro lotta solo in forma di critica letteraria: la letteratura veniva giudicata valevole in quanto soddisfaceva l’esigenza della critica e dava espressione alla realtà sociale.

Il termine «nichilismo» è stato coniato dallo scrittore russo Ivan Sergeevic Turgenev (1818-1883) nel romanzo Padri e figli (1862):

«“È un nichilista”, ripeté Arkadij.

“Nichilista”, articolò Nikolaij Petrovic. “Dal latino nihil, nulla, per quanto possa giudicare; dunque codesta parola indica un uomo che... che non riconosce nulla?”.

“Dì: che non rispetta nulla”, ribatté Pavel Petrovic e daccapo mise mano al burro.

“Che considera tutto con occhio critico”, osservò Arkadij.

“E non fa lo stesso?”, domandò Pavel Petrovic.

“No, non fa lo stesso. Il nichilista è un uomo che non si inchina davanti ad alcuna autorità, che non accetta neppure un principio sulla fiducia, di qualunque rispetto sia circondato questo principio”».

Il termine nichilista passò poi alla pubblicistica del tempo, «si è fatto strada nel Romanticismo e nell’Idealismo, ha contaminato il pensiero sociale e politico francese e tedesco, ha animato l’anarchismo e il populismo del pensiero russo, ha proclamato la morte di Dio con Nietzsche, aprendo quella cultura della crisi connotata da relativismo, scetticismo e disincanto» (U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Serie Bianca Feltrinelli, Milano 2007, pagina 20).

Tra gli autori che hanno interpretato le situazioni sociologiche e politiche russe attraverso il concetto di nichilismo, importante è N. G. Cernysevskij (1828-1889) che dovette subire venti anni di carcere e di esilio in Siberia per una condanna basata su una documentazione probabilmente falsificata. Scrisse Il principio antropologico in filosofia in cui presentò il suo materialismo: la filosofia vede l’uomo allo stesso modo della medicina, della fisiologia e della chimica. Egli considerava il sistema agricolo russo come base di partenza per lo sviluppo di un socialismo agrario: la «obscina» (il comune) era basata su un sistema comunitario della terra appartenente al comune, nel quale la terra era proprietà di tutti ma ogni membro della comunità godeva il diritto di uso nella forma comune o di uso temporaneo privato; concepiva la Russia come una federazione poco centralizzata di tali comuni di cooperative produttrici in campagna ed in città. Fu anche autore di un romanzo utopistico il cui titolo divenne tradizionale tra i rivoluzionari russi: Che fare? (titolo dato anche da Lenin ad una delle sue opere più significative).

Tipico rappresentante del nichilismo rivoluzionario è P. N. Tkacev (1844-1885). Discendente da una famiglia nobile impoverita, fin da quando era un giovane studente partecipava ai circoli rivoluzionari di San Pietroburgo. Emigrato nel 1873 in Svizzera, pubblicava il periodico «Nabat» («La campana d’allarme») nel quale propugnava la rivoluzione politica e la conquista del potere da parte di una minoranza rivoluzionaria. Perciò il partito socialista doveva essere severamente disciplinato ed organizzato centralisticamente. Nel perseguimento dei suoi fini, esso poteva usare tutti i mezzi.

Queste correnti di pensiero spiegano e rendono possibile il percorso poi seguito da Lenin, che traduceva nella pratica ciò che questi autori avevano insegnato nella teoria. Tipico suo precursore fu S. G. Necaev (1847-1882): figlio di un operaio, entrato in contatto con i circoli rivoluzionari di Leningrado e di Mosca, per l’uccisione di uno studente considerato traditore nel 1873 fu incarcerato sino alla morte. Fondò a Mosca un circolo rivoluzionario («La società dell’ascia») e progettava di far nascere in tutta la Russia una rete di cellule rivoluzionarie congiunte tra di loro da una strettissima disciplina. In lui, cospirazione e rivoluzione diventavano fini a se stesse e perdeva completamente di vista la questione fondamentale su che cosa dovesse essere realizzato positivamente dopo la distruzione. La rottura di ogni morale metteva in guardia perfino l’anarchico Bakunin (1814-1876) nei confronti delle sue teorie.

Ha avuto notorietà anche per un Catechismo del rivoluzionario scritto proprio con Bakunin: «Il rivoluzionario è un uomo già condannato; non ha interessi personali, né affari, né sentimenti, né legami, niente che gli sia proprio, neppure un nome. Tutto in lui è dettato da un solo esclusivo interesse: la rivoluzione. […] Egli ha rotto ogni legame con l’ordine pubblico e col mondo civilizzato, con ogni legge, ogni convenzione e condizione accettata ed altrettanto con ogni moralità. […] La sola scienza che conosce è la distruzione e, per essa, egli deve essere pronto a perire lui stesso e a far perire di sua mano tutto quello che ne impedisce il raggiungimento» (questo aiuta a capire, almeno in parte, la crudeltà e la violenza dei bolscevichi durante la rivoluzione e può essere la dimostrazione di quale peso hanno le idee una volta calate in una generazione). Il «nichilismo» teorico, nelle mani di Bakunin si trasformava facilmente in «populismo»: una tendenza dirompente per la vita sociale. Il populismo russo era poi diviso in due correnti principali: l’una che seguiva proprio Bakunin, l’altra che stava sotto l’influsso di P. L. Lavrov (1823-1900) e di N. K. Michajlovskij (1842-1904). È nella lotta contro il populismo bakuniano che il marxismo fece il suo ingresso nella vita culturale russa.

Il pensiero di Lavrov, conosciuto come «metodo soggettivo», era diverso da quello degli altri intellettuali e, per certi aspetti, costruttivo. Ufficiale di Stato Maggiore, quando entrò in conflitto con i suoi superiori a causa delle sue convinzioni liberali, Lavrov venne mandato al confino: nel 1870 fuggì a Parigi e rimase all’estero fino alla morte. Ancora al confino scrisse Lettere sulla storia e sviluppò le sue idee filosofiche sul periodico «Vpered» («Avanti») che pubblicò a Zurigo negli anni 1873-1876. Lavrov partiva dall’idea che la storia è essenzialmente progresso: il fine di questo progresso sta nella realizzazione della verità e della giustizia («pravda») nell’ordine sociale. Questo portava alla creazione di una società fondata sulla cooperazione di tutti alla piena evoluzione fisica, intellettuale e morale di ogni singolo membro. Se la storia è da concepirsi come un tale progresso, nella scienza storica la valorizzazione soggettiva acquista un significato essenziale. I fatti storici vengono apprezzati e giudicati in quanto promuovono oppure ostacolano il raggiungimento del fine del progresso storico. Secondo questo «metodo soggettivo» nella scienza storica e sociale, gioca un ruolo essenziale non solo la categoria dell’«essere» ma anche quella del «dover essere». Contro questa dottrina si accentrerà la polemica dei marxisti.

Le origini di un movimento marxista russo si trovano fuori dalla Russia, negli emigrati, non tanto perché la dottrina di Marx fosse sconosciuta in Russia (la prima traduzione del Capitale in lingua estera fu in russo, cinque anni dopo la pubblicazione dell’edizione tedesca del 1872), quanto perché rimaneva, allora, un affare accademico: il carattere deterministico del suo sistema corrispondeva poco all’idealismo etico dei giovani rivoluzionari russi e la sua dottrina economica sembrava poco applicabile alle condizioni della Russia in quanto Paese prevalentemente agricolo e, oltretutto, con un sistema agricolo molto antiquato. Inoltre era vivissima nei rivoluzionari russi la fede nella capacità del sistema agricolo russo organizzato socialmente («obscina») di condurre al socialismo scavalcando il capitalismo.

Solo quando l’economista russo Orlov ebbe dimostrato scientificamente che la «obscina» era in via di decomposizione, i rivoluzionari russi, imbevuti dell’ideologia populista, trovarono l’accesso alla teoria marxista.

Questo cominciò ad avvenire nell’ultimo decennio del XIX secolo, alle soglie dell’azione di Vladimir Ilijc Uljanov (1870-1924), noto con lo pseudonimo di Lenin. Questi era figlio di un professore di ginnasio; l’avvenimento decisivo nella sua vita fu la condanna a morte di suo fratello nel 1887, a causa della partecipazione ad un attentato alla vita dell’Imperatore: la morte del fratello lo convinse che la via del populismo terroristico non era la strada giusta per l’emancipazione del popolo. Nel 1888-1889 cominciò a studiare le opere di Marx, divenendo marxista convinto. Arrestato nel 1895 e condannato a quattro anni di prigionia in Siberia per aver cercato di riunire i diversi gruppi marxisti della capitale in un’unica organizzazione, iniziò un’intensa attività letteraria per diffondere le proprie idee. Non poté partecipare, nel 1898, alla fondazione del Partito a Minsk, nel quale entrò l’anno successivo. Al secondo congresso del Partito, nel 1903, si discusse aspramente se il Partito dovesse essere un partito di massa secondo il modello delle socialdemocrazie occidentali oppure un partito di élite costituito da rivoluzionari di professione, idea propugnata da Lenin; alla votazione, Lenin rimase in minoranza: quando però, poco dopo, il gruppo dei delegati ebrei abbandonò il congresso, i seguaci di Lenin ebbero la maggioranza (in russo «bol’sinstvo», da cui il termine «bolscevismo»); in seguito il Partito assumerà la struttura voluta da Lenin.

Durante la rivoluzione russa del 1905 nacquero i «soviet» («consigli»), comitati sovra-aziendali che avanzavano rivendicazioni di ordine economico e di ordine politico. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, sorsero «soviet» anche di soldati e di contadini; in seguito allo scioglimento della «Costituente» ed alla proclamazione della «Repubblica Socialista Russa dei Soviet», furono creati molteplici «soviet» di categoria (forze armate, industria, ferrovie, eccetera) che assumevano funzioni dell’amministrazione statale. Questa democrazia diretta di «soviet», giungendo sino all’anarchia, ebbe il suo sbocco nella guerra civile che causò grandi stragi. Al termine della guerra civile, parallelamente all’affermarsi del potere del Partito bolscevico come unico partito, i partiti non comunisti furono esclusi anche dai «soviet». L’opposizione degli esclusi raggiunse il culmine nell’insurrezione di Kronstadt (marzo 1921) e fu qualificata da Lenin come anarchico-sindacalista e controrivoluzionaria. Dopo Kronstadt i «soviet» cambiarono sostanzialmente il loro carattere originario divenendo sempre più organi esecutivi alle direttive del Partito. La Russia faceva così il proprio ingresso in quella che sarebbe presto divenuta la fase più cupa della sua storia.

(maggio 2016)

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