Pagine eroiche nella storia del Servizio Ausiliario Femminile (1944-1945)
Nobile sentire e forte agire

In Italia, la storia della Seconda Guerra Mondiale è stata caratterizzata da notevoli esempi di eroismo al femminile, quasi senza precedenti: fra l’altro, per l’ampiezza di un fenomeno come quello del Servizio Ausiliario costituito con Decreto Legislativo 18 aprile 1944 numero 447 della Repubblica Sociale Italiana, agli ordini del Generale Piera Gatteschi Fondelli, unica donna ad avere raggiunto tale alto grado della gerarchia militare. Nonostante la breve vita del Corpo, che fu operativo per oltre un anno sino al termine del conflitto, e si avvalse di altri quattro Ufficiali superiori, tutti al femminile, le donne inquadrate nel Servizio, dopo i sei corsi di formazione che si protrassero in tempi successivi fino al marzo 1945, furono quasi 10.000, ed in molti casi lasciarono testimonianze di elevato valore.

Piera Gatteschi Fondelli

Il Generale Piera Gatteschi Fondelli passa in rassegna le Ausiliarie, novembre 1944

Oggi, essendo possibile ed auspicabile un giudizio finalmente oggettivo, avulso da pregiudizi e strumentalizzazioni, è giusto ricordarle a futura memoria, se non altro per la rigorosa disciplina morale, ma nello stesso tempo, organizzativa e funzionale, che fu tipica delle Ausiliarie. Si deve aggiungere che le formazioni del Servizio Ausiliario Femminile agirono nell’ambito di un’ufficialità contraddistinta dalla divisa e da regolari inquadramenti, ma nello stesso tempo disarmata, quasi a sottolinearne la funzione di supporto, diversamente da quanto accadde nel campo partigiano.

Le donne italiane avevano già dato importanti dimostrazioni di patriottismo con le tante eroine del Risorgimento, e nella Prima Guerra Mondiale con l’umile e generosa epopea delle «portatrici» carniche e cadorine, suffragata, sia pure con incredibile ritardo, dalla Medaglia d’Oro al Valor Militare che venne conferita negli anni Novanta dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro alla memoria di Maria Plozner Mentil, caduta nel 1916 sul fronte alpino di Paluzza, non lontano da Passo Monte Croce e dal Sacrario di Timau dove venne sepolta.

Tuttavia, non si era mai verificato un fenomeno di larghe adesioni come quello, rigorosamente volontario, che fu carattere essenziale del Servizio Ausiliario Femminile fra il 1944 ed il 1945. Se non altro per questo, è congruo proporre all’attenzione degli ignari e degli immemori una pagina di storia che testimonia l’esistenza di valori importanti ed «universali» come quelli dell’onore e della coerenza, anche nell’ambito femminile.

Arruolamento Ausiliarie

Arruolamento Ausiliarie, Torino, 1944

Ausiliaria della Decima MAS

Un'ausiliaria della divisione Decima MAS, zona di Gorizia, gennaio 1945

Gli esempi del comportamento di tante Ausiliarie all’insegna del nobile sentire e del forte agire vivono senza significativa visibilità nella tradizione orale e nella memorialistica perché le sorti belliche e l’ostracismo degli anni successivi non consentirono di mettere in luce adeguata gli episodi salienti di quella stagione orribile. Motivo di più per onorarle a futura memoria.

Sebbene l’attività del Corpo sia stata circoscritta ad un periodo piuttosto breve ed a funzioni di supporto, furono ben 14 le Ausiliarie che, nonostante le naturali difficoltà organizzative ed infrastrutturali, vennero proposte per una decorazione al valore.

In due casi si ebbero i conferimenti della Medaglia d’Oro. Con la prima, venne insignita l’Ausiliaria Franca Barbier di Saluzzo (Cuneo), figlia di un Colonnello degli Alpini che si era distinto in Dalmazia e sorella di un volontario della Repubblica Sociale Italiana. Catturata in Valle d’Aosta da una formazione partigiana, mantenne un comportamento di grande fermezza e forza d’animo di fronte alle minacciose profferte di passare al nemico; condannata a morte, scrisse alla madre una lettera di alto spessore morale che resta tra le pagine migliori della Repubblica Sociale Italiana, e venne uccisa a Champorcher il 25 luglio 1944 con un colpo alla nuca sparato a bruciapelo dal comandante partigiano della banda, dopo che il plotone di esecuzione si era rifiutato di fare fuoco.

La seconda, invece, fu conferita all’Ausiliaria Angelina Milazzo, nativa di Aidone (Enna) e veterana dell’Africa, che in occasione di un bombardamento alleato avvenuto il 21 gennaio 1945 a danno di un treno viaggiatori presso la stazione ferroviaria di Garbagnate, cadde facendo scudo del proprio corpo a favore di una signora incinta, salvandola dall’incursione nemica assieme alla creatura che aveva in grembo. L’episodio, destinato a grande notorietà del momento, venne illustrato sulla copertina a colori della «Domenica del Corriere» nel primo numero di febbraio.

In entrambi i casi citati, come in tanti altri, gli atti delle Ausiliarie furono improntati ad una nobiltà di sentimenti non disgiunta dal convincimento di dover seguire la propria coscienza, lungi da ogni «se» e da ogni «ma». Spiace, tuttavia, che in altre occasioni la decorazione non abbia fatto seguito alla proposta, sebbene i fatti che ne avevano suggerito il conferimento siano rimasti a testimoniarne il valore, ben oltre la fine delle ostilità.

Al pari di quanto accadde per altri reparti della Repubblica, l’arruolamento volontario era aperto anche a ragazze molto giovani; e non mancarono le giovanissime che si presentarono ai centri di reclutamento e riuscirono ad arruolarsi in via eccezionale, dopo avere superato comprensibili difficoltà.

Non a caso, tra le Ausiliarie che riposano nel Campo Dieci del Cimitero Milanese di Musocco[1] assieme ad un migliaio di caduti della Repubblica Sociale Italiana, figurano adolescenti poco più che bambine, rese mature da una scelta impetuosa ma sicura, all’insegna del patriottismo e del vivo senso dell’onore che una tragica congiuntura politica e militare aveva promosso con adesione spontanea generalmente disinteressata; ed in molti casi, con il conforto di una forte fede cristiana (tra le Ausiliarie scomparse si ricorda anche la terziaria francescana Angela Maria Tam).

Le Ausiliarie cadute, in parecchi casi a guerra finita dopo inenarrabili offese alla loro dignità femminile e sevizie di ogni genere, su cui la memorialistica ha lasciato testimonianze allucinanti[2], si contarono nel numero di parecchie centinaia.

Per alcune di esse non furono possibili nemmeno l’identificazione e l’onorata sepoltura, all’insegna di quell’ancestrale rispetto per la morte sul campo che risaliva a tradizioni millenarie ma che era stato travolto dagli eccessi e dalle efferatezze della guerra civile. Infatti, alcune scomparvero per sempre nelle acque dei fiumi, nel silenzio dei boschi o negli anfratti rocciosi delle montagne, gettatevi impietosamente dai vincitori, ma in qualche caso con una scelta suicida motivata dal comprensibile desiderio di sfuggire ai loro aguzzini.

Le ricerche disponibili, sebbene non ancora esaustive, fanno ascendere ad almeno 420 le Ausiliarie cadute di cui si posseggono dati anagrafici probanti. Tra loro si contano oltre 30 ragazze minorenni appartenenti alle classi d’età comprese fra 15 e 20 anni (all’epoca la maggiore età si conseguiva a 21): basti ricordare le giovanissime Marilena Grill da Torino, Marcella Batacchi da Firenze ed Eleonora Sommariva da Thiene, trucidate come tante altre dopo atroci torture e violenze innominabili, e dopo essere state esposte al ludibrio di una folla massificata, senza un minimo residuo di «pietas».

Si deve aggiungere che la maggioranza assoluta delle Ausiliarie cadute scomparve a guerra finita, dal 28 aprile 1945 in poi, spesso in spregio degli accordi di resa; e che furono tutte massacrate nell’Italia Settentrionale, dove, come si diceva, avevano prestato servizio generalmente disarmato. Una quota significativa, pari a non meno di 28, perse la vita in Venezia Giulia e Friuli, in cui anche le Ausiliarie furono vittime delle foibe e della pulizia etnica programmata dai partigiani di Tito col vile supporto di quelli italiani.

Alcune ragazze del Servizio Ausiliario Femminile condannate a morte dai partigiani con la consueta prassi sommaria, riuscirono a lasciare ugualmente una testimonianza scritta del proprio sacrificio, al pari di Franca Barbier: è il caso delle Torinesi Laura Giolo e Margherita Audisio, rispettivamente di 25 e di 20 anni, le cui lettere sono tanto più toccanti perché si concludono con ammirevoli professioni di fede cristiana e di perdono (e nel secondo caso, anche con il «conforto» di avere ottenuto la fucilazione al petto come un vero soldato, anziché alla schiena). È il caso della Triestina Lidia Fragiacomo di 33 anni, che aveva tentato invano di salvare le sue compagne di sventura attribuendosi il ruolo di comandante, e che scrisse parole commoventi alla sua datrice di lavoro.

Gli esempi documentati potrebbero continuare a lungo, al pari dell’elenco di vergognose efferatezze che in molti casi vennero compiute sulle Ausiliarie, in spregio della divisa che portavano e, naturalmente, della loro femminilità.

Il 26 agosto 1974, quando le spoglie mortali del Comandante Junio Valerio Borghese, che aveva avuto un ruolo importante nella decisione di costituire il Servizio Ausiliario Femminile, rientrarono in Italia da Cadice, il Ministero della Difesa (guidato da Giulio Andreotti) non volle concedere gli onori militari, che pure sarebbero stati dovuti, trattandosi di una Medaglia d’Oro al Valore, anche se conferita dalla «parte sbagliata». Era passato un trentennio dai fatti ed il giudizio storico avrebbe potuto ragionevolmente prescindere da resipiscenze ormai superate, onorando un’antica consuetudine con valore sostanziale di legge, che risaliva addirittura ai tempi di Omero.

Per le Ausiliarie è accaduto qualcosa di analogo se non anche di peggio, come se la «vulgata» non volesse ammettere né tanto meno giustificare che un cospicuo Corpo Femminile avesse eliso il tradizionale ruolo della donna dedita a casa e famiglia, con un’opzione radicale e «rivoluzionaria» motivata dall’emergenza e destinata a lasciare segni non effimeri. Basti ricordare che il suffragio universale femminile per le elezioni politiche nazionali venne istituito nell’immediato dopoguerra, anche in previsione del referendum istituzionale, a 35 anni di distanza da quello maschile.

Il tempo trascorso dalla vicenda storica delle Ausiliarie e dal sacrificio con cui parecchie di loro si immolarono consapevolmente nel campo dell’onore non ha cancellato il ricordo di una stagione dura e per molti aspetti irripetibile, caratterizzata dallo scontro epocale tra le «fedi opposte» che Benedetto Croce aveva riconosciuto avere analoghe dignità nella misura in cui fossero effettivamente sostenute da nobili e coerenti principi.

Al di là di ogni altra considerazione etico-politica non si potrà negare al Servizio Ausiliario, pur nel quadro di una fondamentale cooperazione con le forze combattenti di terra, di aria e di mare, il ruolo innovativo che ebbe nell’affrancamento femminile da condizioni di antica subordinazione, e nel modello non soltanto militare di una donna moderna, consapevole, capace di compiere scelte sofferte e di farsi, in ultima analisi, «soggetto di storia».


Note

1 La manutenzione dei sepolcri di Campo X è stata costantemente assicurata, dal dopoguerra ai nostri giorni, grazie all’impegno di alcune Ausiliarie superstiti, ed in particolare di Maria Luisa Gambini e di Velia Mirri, unitamente a quello di alcuni giovani collaboratori che hanno sopperito al disimpegno programmato del momento pubblico.

2 La bibliografia sul Servizio Ausiliario Femminile è relativamente circoscritta: a parte alcuni vecchi memoriali, soltanto dagli anni Novanta il velo di silenzio steso sulle attività del Corpo ha cominciato a diradarsi, sia pure tra resipiscenze e contraddizioni. Tra le opere di maggiore ampiezza ed obiettività, confronta Luciano Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini, Memoriale inedito di Piera Gatteschi Fondelli, Mursia, Milano 1995; Marino Viganò, Donne in Grigioverde, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1992.

(gennaio 2016)

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