Il movimento separatista siciliano
Rivolte e instaurazione di brevi repubbliche popolari

Il 17 agosto 1943 le truppe della V armata americana di George Patton e le truppe britanniche dell’VIII armata, comandata dal Generale Bernard Montgomery entravano a Messina. La conquista della Sicilia, iniziata il 10 luglio, era appena conclusa. Gli Alleati avevano istituto in Sicilia, come poi del resto faranno nelle zone dello stivale, che mano a mano conquisteranno, un «Governo militare alleato», il cosiddetto Amgot (Allied military government of occupied territories). Capo dell’Amgot era il Colonnello Italoamericano Charles Poletti, a Palermo era praticamente lui a decidere sotto ogni veste amministrativo-burocratica, per esempio l’erogazione pubblica dell’acqua, la ripresa del servizio scolastico e di quello postale. L’Amgot una volta posta la Sicilia sotto il proprio controllo, passò a una vera «epurazione» antifascista: ai vertici delle città mise uomini di area liberale, socialista, ma anche esponenti della vecchia aristocrazia terriera, per esempio a Palermo il primo sindaco postfascista è stato il Conte Lucio Tasca, mentre a Catania Antonino di San Giuliano, che fu l’ultimo Podestà fascista. Ma ci fu anche qualche Sindaco in odor di mafia, come Don Calogero Vizzini che per anni ha comandato a Villalba (Caltanissetta).


Ripresa dell’attività politica in Sicilia

All’inizio le autorità militari statunitensi con una disposizione del Governatore militare, Charles Poletti (29 luglio 1943), avevano proibito ogni forma di attività politica, quindi di fondare giornali e soprattutto di costituire associazioni politiche. Con la successiva disposizione (5 agosto 1943), tale atteggiamento divenne meno duro, poiché venne consentito ai vari gruppi politici di organizzarsi e avere un proprio giornale, a patto che non seguissero un’ideologia di tipo fascista. I comunisti siciliani avevano per esempio «La Voce comunista» e «La Verità», il primo un foglio politico, il secondo invece sindacale. La Democrazia Cristiana, pubblicava il proprio organo ufficiale «Popolo e libertà» d’ispirazione unitaria e antiseparatista. Il giornale era stato fondato e diretto da Bernardo Mattarella. Un movimento politico che andò diffondendosi e raccogliendo grandi consensi tra la popolazione locale in quegli anni, è stato il CIS (Comitato per l’Indipendenza della Sicilia) poi successivamente divenuto MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia). Il suo fondatore è stato Andrea Finocchiaro Aprile, che propugnava un’idea separatista, cioè separare o «staccare» la Sicilia dal resto dell’Italia. Il 23 luglio, il giorno dopo l’arrivo degli Americani a Palermo, ci fu un incontro tra Finocchiaro Aprile, i vari capi separatisti con Charles Poletti e gli alti vertici dell’esercito americano. Nel corso di quell’incontro, i capi separatisti presentano il «memoriale» contenente il loro programma politico, articolato in due punti: 1) la Sicilia, che rivendicava l’indipendenza dopo decenni di «asservimento» all’Italia; 2) il futuro assetto politico, militare ed economico della Sicilia nel contesto geopolitico.

Inizialmente gli Alleati «plaudivano» a un’idea di Sicilia indipendente dal resto d’Italia. Questo naturalmente per ragioni strategiche. Molti capi separatisti erano stati messi a guida delle varie città dell’isola dietro intervento statunitense. Di conseguenza Finocchiaro Aprile e compagni erano convinti che le loro aspettative sarebbero state esaudite. Ma si trattò di un’illusione. Quando il Generale Harold Alexander, Comandante delle forze alleate in Italia, aveva sancito il passaggio dei poteri su tutta la penisola (isole incluse) dall’Amgot al Governo Italiano, i capi MIS giudicarono tale decisione un «tradimento». Queste decisioni alleate sono riconducibili al fatto che il Governo Italiano doveva dare il proprio sforzo bellico per scacciare l’invasore tedesco dal resto del Paese. Il successivo Convegno del movimento separatista (ottobre 1944), svoltosi a Taormina (ME) a cui presenziarono i capi del partito, ma anche esponenti degli altri partiti, votarono all’unanimità per la «lotta armata», allo scopo di ottenere l’autodeterminazione della Sicilia. Negli stessi istanti, mentre a Taormina si stavano svolgendo i lavori congressuali, era giunta la notizia che a Palermo i soldati della Divisione Sabaudia aggrediti avevano aperto il fuoco contro civili che protestavano per migliori condizioni di vita. Quel 19 ottobre 1944 l’eccidio di Palermo costò la vita a 24 persone più un centinaio di feriti.


Inizio della lotta armata

I fatti di Palermo e la chiamata alle armi delle classi 1922, 1923 e 1924 per volere del Governo Centrale di Roma, allora presieduto da Ivanoe Bonomi, erano il segnale evidente che i Siciliani dovessero riprendere le armi contro il «centralismo» romano. Infatti scoppiarono violente manifestazioni al grido «Non si parte» in tutte le città dell’isola: a Catania il 14 dicembre 1944, una folla inferocita aizzata da Attilio Castrogiovanni, leader separatista e intellettuale, assalì la sede del Comune, appiccando un incendio ai locali dell’edificio, mente un ragazzo di nome Spampinato rimase ucciso davanti ai locali del Distretto militare, a Messina nei locali dell’Università vennero distribuiti dei volantini in cui si invitavano gli studenti a non rispondere alla «coscrizione» obbligatoria. Finocchiaro Aprile e tutti i suoi esponenti erano decisi a trasferire la lotta sul piano militare. Si decise così di creare l’Evis (esercito volontario per l’indipendenza siciliana), formato da tanti uomini, i quali per non rispondere alla chiamata alle armi, si diedero alla macchia. Finocchiaro Aprile diede incarico di creare questo esercito ad Antonio Canepa, docente universitario e reduce dalla lotta partigiana al Nord. Canepa e un altro compagno di partito, Concetto Gallo, erano i capi militari della Sicilia orientale, Attilio Castrogiovanni coordinava le forze Evis nella parte occidentale. Antonio Canepa, all’interno del movimento era a differenza di Lucio Tasca, di Stefano La Motta, di idee comuniste. Questo lo porterà spesso a entrare in contrasto coi capi MIS. Morirà comunque in uno scontro a fuoco con i carabinieri a Randazzo (Catania), precisamente in località Murazzu ruttu, in circostanze mai chiarite. All’Evis hanno aderito anche bande di «fuorilegge», per esempio quella notissima del bandito Salvatore Giuliano, la cui leggenda iniziò nel settembre 1943 dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri che lo avevano fermato perché in possesso di un carico di grano da contrabbando (nel conflitto a fuoco morì un carabiniere, tal Antonino Mancino). Per la sua abilità di contrastare le forze dell’ordine, il MIS con l’aiuto della Mafia lo aveva «arruolato» col grado di Colonnello dell’Evis. Le azioni di guerriglia, che Salvatore Giuliano aveva compiuto contro carabinieri e polizia, stando alle ricostruzioni di alcuni storici, sarebbero state appoggiate da elementi dei servizi segreti italiani, americani e anche ex membri della X Mas fascista. La figura di Salvatore Giuliano e del suo ruolo in questa vicenda resta avvolta nel mistero, soprattutto per quanto riguarda la Strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947, perpetrata ai danni dei contadini e degli operai che erano lì accorsi per celebrare la festa del lavoro. Tutto era stato organizzato, come hanno dimostrato storici come Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino, allo scopo di «contrastare» un’avanzata comunista in Italia. Quindi ci fu un’alleanza tra Democrazia Cristiana, vertici delle forze armate italiane, servizi segreti americani per perseguire tale scopo. Non erano solo i carabinieri a dargli la caccia, bensì il più delle volte era proprio lui a dare la caccia ai suoi nemici. Infatti egli col supporto degli indipendentisti, aveva dato l’assalto alla caserma dei carabinieri di Bellolampo (Palermo) il 22 maggio 1945, con una battaglia che durò mezz’oretta, ma fu costretto a ritirarsi temendo l’arrivo dei rinforzi. Poi, nel dicembre dello stesso anno, stessa sorte era toccata alla caserma dei carabinieri di Grisì (Palermo). Il 18 gennaio 1946 in un’imboscata, la banda di Giuliano uccise quattro carabinieri: Angelo Lombardi, Vittorio Epifani, Vitangelo Cinquepalmi e Imerio Piccini. Salvatore Giuliano è stato un «convinto» separatista: voleva la libertà del suo popolo, la giustizia sociale. Egli aveva fondato il MASCA (Movimento annessione della Sicilia alla Confederazione americana). Si fece portavoce di un’accesa propaganda, in cui chiedeva di staccare la propria terra dall’Italia, unendosi agli Stati Uniti d’America. In quei giorni, i paesi della Sicilia erano tappezzati di manifesti, raffiguranti un uomo che «spezzava» la catena che univa la Sicilia all’Italia e recanti la scritta: «A morte i sbirri succhiatori del popolo siciliano e perché sono i principali sadici fascisti, viva il separatismo della Sicilia», a cui seguiva la firma di Giuliano. Nel marzo 1946 egli ruppe i propri legami col Movimento separatista, perché Finocchiaro Aprile (e il suo entourage», dopo la sua scarcerazione dal confino, in cambio dell’amnistia concessagli dal Governo Italiano, proclamò la fine della lotta armata, ed entrò a far parte successivamente della politica italiana.


Le «libere» repubbliche di Piana degli Albanesi e Comiso

In quei giorni infuocati caratterizzati dal moto dei «Non si parte», accompagnati anche dalle lotte dei contadini per l’accaparramento del grano, ci sono state addirittura nascite spontanee di «regimi» repubblicani: la Repubblica di tipo comunista a Piana degli Albanesi e quella sorta a Comiso (Ragusa), la quale ideologicamente si era ispirata alla Repubblica sociale italiana di Benito Mussolini. A Piana degli Albanesi nei giorni dal 31 dicembre 1944 al 20 febbraio 1945 il movimento antimilitarista dei «non si parte» guidato dal comunista Giacomo Petrotta protestò vivamente contro il richiamo alle armi di tutti i giovani dalle classi 1914 al 1924. La rivolta è sfociata in una proclamazione della «Repubblica indipendente di Piana degli Albanesi».

La rivolta ebbe inizio, quando 5.000 persone al grido «Abbasso l’esercito e la guerra» scacciarono la commissione militare venuta appositamente a Piana per censire i giovani delle classi dal 1914 al 1924 come già menzionato. Giacomo Petrotta, colui che guidò i rivoltosi, poi si dimise dal Partito Comunista Italiano, giustificandone il motivo che dell’organico vi facevano parte un ex fascista e un gregario della mafia. In realtà il vero motivo era che non tollerava che il Partito Comunista Italiano stesse nella coalizione di governo che collaborava con gli Alleati al fine di scacciare i nazifascisti dalla penisola. Dopo le sue dimissioni, il Petrotta aveva fondato l’organizzazione antimilitaresca «Circolo dell’organizzazione e della gioventù». Il 20 febbraio 1945, ci fu una massiccia operazione di carabinieri e polizia, i quali armati di mitragliatori si diressero con autoblindati alla volta di Piana. Le operazioni durarono fino al 24 febbraio, nel corso delle quali vennero arrestati il Petrotta, Francesco la Russa e Nicolò Mandalà. Sono stati in seguiti tradotti al Carcere dell’Ucciardone a Palermo. Durante quelle operazioni sono stati sequestrati un certo quantitativo d’armi: 55 bombe a mano di fabbricazione tedesca, un fucile-mitragliatore, 26 fucili modello 91 e 30 moschetti. C’è stato chi, come per esempio lo studioso Francesco Petrotta, ha affermato che non è mai esistita questa «Repubblica indipendente». A suo avviso, sarebbe stata una montatura delle forze dell’ordine per giustificare la repressione e per mettere in cattiva luce i partiti della Sinistra. Anche il quotidiano comunista «Voce Comunista» il 3 marzo 1945 aveva espresso l’accaduto come «una montatura poliziesca» al fine di giustificare l’intervento armato di carabinieri e soldati. Francesco Petrotta, dopo avere visualizzato nuovi documenti, disse che all’epoca dei fatti ci fu la mediazione dell’allora Sindaco di Piana Baldassare di Fiore, il quale aveva mediato con i manifestanti e i militari al fine d’evitare il peggio. Tra le testimonianze dallo storico raccolte, ce ne fu una di un certo Giovanni la Russa, il quale aveva affermato: «Noi non volevamo fare una repubblica, eravamo antimilitaristi e basta… Noi non volevamo combattere né con gli Americani né con i Tedeschi, né con nessuno, perché eravamo veramente avviliti. E come è successo da noi, è stato pure a Corleone, a Palazzo Adriano».

A Comiso, si è avuta una «Repubblica fascista e autonomista» per breve tempo, esattamente dal 5 all’11 gennaio 1945. I Comisani insorsero contro la chiamata alle armi voluta dal Governo di Roma, al grido di «Nun si parti, nun si parti». Trattavasi di una Repubblica, la quale nella sua forma istituzionale si era ispirata alla Repubblica sociale italiana creata da Mussolini al Nord. Uno dei suoi fautori è stato un certo ingegnere Lorenzo Carrara, considerato un «agente segreto» al soldo dei nazisti e dei repubblichini. Il 5 gennaio alle ore 11,45 un camion pieno di viveri che da Vittoria viaggiava in direzione Ragusa, giunse a Comiso. I carabinieri (8 uomini) furono aggrediti dai rivoltosi a colpi di raffiche di mitra e lanci di bombe, tre militari rimasero feriti, alcuni di loro fatti prigionieri, altri invece si dileguarono e avvisarono il comandante della locale stazione dei carabinieri, tale Maresciallo Sebastiano Guttuso, che assieme a un collega e ad altri 10 uomini si recò immediatamente sul luogo degli scontri. Gli insorti comisani erano un numero considerevole (circa 500) ed erano dotati di moschetti, fucili mitragliatori, bombe a mano ed erano capeggiati dallo studente Emanuele Campanella. Il piccolo nucleo dei carabinieri accorsi sul posto venne accerchiato e allora si ritirò, pensando fosse invece utile provvedere alla difesa della caserma. Successivamente arrivarono altri rinforzi, composti da soldati comandati dal Capitano Sabbatini e carabinieri comandati dal Capitano Barlesi, tutti dipendenti dal Commissario Umberto Iacono, che già aveva operato qualche giorno prima a Ragusa per sedare la rivolta popolare. I rinforzi poi vennero costretti dai rivoltosi a una ritirata. Tutta la notte del 5 e il successivo 6 gennaio, Comiso era in preda al fragore degli spari e delle bombe. La caserma dei carabinieri venne poi assediata e costretta alla resa. Da lì, i rivoltosi portarono via una cassa piena di 120 bombe a mano, 13 moschetti e altro materiale bellico. Altri saccheggi vennero perpetrati ai danni degli uffici della pubblica sicurezza e della Pretura, dove vennero confiscate tutte le armi disponibili. Vennero anche commesse azioni di sabotaggio, ossia tagliati i fili del telefono della locale stazione, interrompendo così le comunicazioni con Vittoria e Ragusa. Altre sparatorie tra i soldati e i rivoltosi continuarono nei giorni 8 e 9. Il giorno 10, si era diffusa la notizia che l’esercito era pronto a bombardare la città e quindi, allo scopo di evitare una carneficina, si decise di mediare la resa, ricorrendo all’aiuto del parroco della Santissima Annunziata, Monsignor Carmelo Tomasi. Il giorno 11, le truppe italiane, comandate dal Generale Brisotto, occuparono la città. Terminate le operazioni militari, carabinieri e polizia diedero la caccia ai rivoltosi: 61 persone arrestate, alte 27 invece si diedero alla latitanza (tra questi il sottotenente Alfredo Battaglia, gli studenti Biagio Intorrella e Giacomo Cagnes). Il Prefetto aveva ordinato la consegna di tutte le armi presso la caserma dei carabinieri, della pubblica sicurezza e presso la Chiesa della Santissima Annunziata. Ma si trattò comunque di un numero modestissimo. Dai verbali degli interrogatori svoltisi in questura, era chiaro che i giovani interrogati erano 28 ed erano «renitenti» alla chiamata alle armi. Era stato appurato che i capi rivolta avevano costituito una sorta di «Comitato provvisorio del popolo», poi a questa rivolta avevano aderito anche gli strati popolari, ossia contadini, falegnami, lattonieri e operai. La «sedicente» Repubblica di Comiso era stata definita, come detto inizialmente, «ideologicamente» legata al fascismo. Anni più tardi, precisamente nel 1972, nel corso di un’intervista, Giacomo Cagnes, uno dei capi della rivolta, aveva detto che del «Comitato di salute pubblica» facevano parte moltissimi giovani simpatizzanti della Sinistra. Di conseguenza non era un organo fascista o separatista come si era pensato.


Bibliografia

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Fabrizio Fonte, Dal Separatismo all’autonomia regionale: storia dell’idea indipendentista siciliana nel XX secolo, Rubbettino Soveria Mannelli (CZ) 2011

Massimo Ganci, Andrea Finocchiaro Aprile. Il Movimento indipendentista siciliano, edizioni libri siciliani, Palermo 1966

Sandro Attanasio, Gli anni della rabbia, Sicilia 1943-1947, Mursia, Milano 1984

G. Barletta, Attilio Castrogiovanni, l’uomo della rabbia, edizioni La Rocca

Francesco Petrotta, La Repubblica contadina del 1945, La Zisa, Palermo 2006

Franco Capelvenere, La Repubblica di Comiso: racconto storico, CM edizioni, Parma 2013.

(settembre 2018)

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