Ottavo Reggimento Bersaglieri
Onore ad un grande impegno patriottico

L’Ottavo Bersaglieri, che non a caso si fregia indissolubilmente del titolo di «Grande» conferitogli da tempo nella storiografia militare, e non solo in quella, non fu un Reggimento qualsiasi: impegnato allo spasimo nelle battaglie di Tarnova e dell’Alta Valle dell’Isonzo per l’ultima difesa della Venezia Giulia (settembre 1943-aprile 1945) contro un nemico soverchiante per numero e per mezzi largamente forniti dagli Alleati, ebbe una quota di caduti di gran lunga superiore alla media, ma diede un contributo essenziale nel bloccare l’avanzata dei partigiani slavi e nel creare un presupposto tattico e strategico certamente positivo per le sorti avvenire di Gorizia e della stessa Trieste.

La storia non si deve fare sulla scorta di proposizioni avversative o dubitative, ma non è azzardato affermare che, qualora i Bersaglieri non avessero scritto quelle pagine eroiche, immolandosi alla luce di una straordinaria fede patriottica, il fronte avrebbe ceduto ben prima di quanto accadde (cioè soltanto alla fine del conflitto), lasciando sostanzialmente indifese la Venezia Giulia e tutta la pianura friulana, con quali conseguenze è facile immaginare. Se non altro per questo, gli onori che vengono tributati al «Grande Ottavo» in ogni ricorrenza sono un tributo doveroso a chi ha ben meritato, e nello stesso tempo, un invito affinché gli ignari imparino, e coloro che sanno, vogliano ricordare consapevolmente.

A volte, come è stato detto, la salvezza di molti dipende dal sacrificio di pochi: un assunto sempre valido, anzitutto in campo militare, ed a più forte ragione nella storia del confine orientale italiano durante lo scorcio conclusivo della guerra.

Si diceva delle perdite, che nel tragico consuntivo finale superarono la metà degli effettivi, ma bisogna aggiungere non meno significativamente che almeno due terzi di quei Bersaglieri erano volontari, molti dei quali mossero a difesa del confine all’indomani dell’armistizio, con una scelta «automatica» ed un gesto tanto più nobile in quanto compiuto mentre altri, sconcertati dalla surreale sequenza degli eventi e dalla mancanza di qualsivoglia direttiva, non trovarono di meglio che gettare le armi.

Le decorazioni al Valor Militare proposte per i combattenti dell’Ottavo Reggimento furono una cinquantina, a cominciare dalla Medaglia d’Oro conferita a Stefano Rizzardi[1], ma avrebbero potuto essere certamente di più, qualora gli esiti del conflitto non avessero derogato ai canoni tradizionali dell’onore: in effetti, le ultime proposte furono quelle formulate il 13 febbraio 1945. Dopo questa data, la speciale Commissione non ebbe più modo di deliberare, ed alla fine delle ostilità il nemico si sarebbe comportato in maniera ignominiosa, tanto che i Bersaglieri caduti dal 1° maggio in poi, uccisi proditoriamente in deroga ad ogni convenzione, furono almeno pari a quelli che si erano sacrificati sui fronti dell’Isonzo nei sedici mesi successivi all’8 settembre.

Si tratta di cifre documentate, almeno a livello di campione, come emerge dal coinvolgente contributo storico fornito da vari superstiti di quella stagione plumbea ma epica: tra gli altri, il Bersagliere Teodoro Francesconi, che ha voluto onorare il ricordo dei suoi commilitoni, a futura memoria, quale esempio per i patrioti ed i giovani[2]. Il suo Battaglione, a conti fatti, ebbe 341 caduti, 170 dei quali a guerra finita, per fucilazioni, impiccagioni, infoibamenti ed angherie allucinanti perpetrate in campi di sterminio, non certo di prigionia, come quelli della ex Jugoslavia; e non è fuori luogo aggiungere che una quindicina di questi caduti, tornati alle proprie dimore in maniera spesso rocambolesca, persero la vita per mano dei partigiani italiani, in una sorta di fratricidio tanto iniquo quanto inutile. In due casi, addirittura, i Bersaglieri sarebbero sopravvissuti con gravi ferite e postumi irreparabili, sino all’inizio degli anni Cinquanta, quando scomparvero dopo lunghe e dolorose degenze negli ospedali militari.

C’è di peggio. Ai superstiti ed ai congiunti è stato pervicacemente negato ogni riconoscimento dell’Italia ufficiale, perché i Bersaglieri dell’Ottavo si sarebbero schierati dalla «parte sbagliata». Ciò, con una clamorosa carenza di sensibilità e di «pietas» che contraddice lunghe e consolidate tradizioni militari e che nella fattispecie appare tanto più opinabile, vista la prassi instaurata da un nemico che non prendeva prigionieri, e che persino a guerra finita non disdegnava di seviziare e massacrare coloro che avevano «perduto ma non tradito».

Ad oltre due terzi di secolo dai fatti, conviene che la memoria storica, stemperate le comprensibili polemiche dei primi tempi in un quadro oggettivo, non venga meno, e sia affidata a testimonianze per quanto possibile esaustive, in grado di sopperire alle disinformazioni, se non anche alle falsità «politicamente corrette» alimentate dalle varie vulgate.

Molto si potrebbe aggiungere a proposito del ricorrente comportamento eroico dei Bersaglieri caduti sul fronte dell’Isonzo: qui basti ricordare, a titolo di esempio, la volontà collettiva di non volere il cambio, espressa più volte dai reparti, o la forza d’animo di un ufficiale come il capitano Ennio Roich, ormai prigioniero degli Slavi, che rifiuta di togliere le stellette, saluta i suoi uomini con toccanti parole patriottiche e si offre impavido al piombo slavo. E che cosa dire di un altro comandante, il Capitano Medaglia d’Argento Paride Mori, che guida l’azione della sua Compagnia intonando i canti della Patria? Ovvero, del Bersagliere Armando Masini, uno tra i pochi non volontari, che già gravemente ferito cade «lanciandosi sul nemico con il fucile mitragliatore adoperato come una clava»?

La certezza di combattere in condizioni quasi impossibili non aveva indotto sentimenti di rassegnazione, che non facevano parte del DNA di questi uomini. I loro valori, del resto, non si riassumevano in quelli pur fondamentali dell’onore militare: come emerge dalle lettere che scrivevano dal fronte[3], sapevano perfettamente che il loro impegno era finalizzato alla difesa della civiltà latina e della fede cristiana contro un nemico che propugnava il collettivismo e l’ateismo di Stato, ed operavano alacremente, per quanto consentito dalle circostanze, anche nella cooperazione umanitaria con le popolazioni locali.

Alla maggior parte di questi caduti non è stato possibile dare l’onorata sepoltura che avrebbero meritato: molti sono rimasti nella profondità delle foibe, nelle fosse comuni dei campi jugoslavi, nell’anonimato degli impervi terreni di battaglia. Soltanto per alcuni è stato possibile provvedere al rientro dai piccoli cimiteri militari dell’Isontino ed all’inumazione nel Sacrario d’Oltremare di Bari, dove diverse decine di Bersaglieri riposano all’ombra del Tricolore e dove ricevono il ricorrente omaggio dell’Italia vera, esteso simbolicamente a tutti coloro che non tornarono ed attendono che dal sangue versato con generosa passione italica possa scaturire il riscatto della Patria.


Note

1 Quella conferita al sergente veronese Stefano Rizzardi, caduto nell’ottobre 1943, fu la prima Medaglia d’Oro al Valor Militare nella storia della Repubblica Sociale Italiana. Rimasto isolato a difesa della sua posizione e catturato dai partigiani, mantenne un comportamento di eletta e dignitosa fierezza, rifiutandosi di inneggiare al nemico ed affrontando la morte con la forza morale di un eroe antico.

2 Teodoro Francesconi, Battaglione Bersaglieri Volontari: combattere per l’onore d’Italia (1943-1945), Collana «Soldati Italiani», Edizioni Marvia, Voghera 2004, pagina 160. Nell’ambito della memorialistica dedicata specificamente all’Ottavo, è da menzionare anche l’opera di Arturo Salvatore Campoccia, Na Juris! Quando la storia sa di leggenda, Edizioni CEN, Roma 1956.

3 Alberto Zanettini, Paride Mori Capitano dei Bersaglieri sacrificatisi per la Patria ed ignorati dalle Istituzioni, Edizione Donati, Parma 2013, pagina 328. Si tratta di una monografia illuminante anche per quanto riguarda l’ethos dell’Ottavo Reggimento. Eppure, il Comune di Traversetolo, città natale di Paride Mori, dopo avergli dedicato una targa nella toponomastica cittadina, ha deliberato di revocarla: più che il valore documentato di un Eroe, ha potuto una bassa politica.

(gennaio 2015)

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