Paride Mori: ultimo atto
Storia di un Eroe ucciso quattro volte dai partigiani e dai loro epigoni

La vicenda del Capitano Paride Mori, Medaglia d’Argento al Valor Militare, massacrato dai partigiani di Tito nell’Alta Valle dell’Isonzo il 18 febbraio 1944 mentre, assieme ai suoi bersaglieri, difendeva un lembo d’Italia dalle orde slave, costituisce una storia emblematica: chi rispose all’appello della Patria schierandosi nel campo dell’Onore merita, oltre ai proiettili da cui venne crivellato, una pervicace infamia postuma, ad iniziativa dei soliti «vigliacchi d’Italia».

Non a caso, il Comune nativo di Traversetolo (Parma), dopo avere intitolato in memoria di Mori una via del centro cittadino, provvide alla revoca della delibera ed all’abbattimento della targa a seguito di proteste dei partigiani locali, pronti a stracciarsi le vesti quando scoprirono che tale onorificenza era stata riservata ad un «fascista» i cui meriti di padre affettuoso nella vita familiare, di sindacalista intransigente nella vita civile, e di ufficiale valorosissimo in quella militare, non avevano alcuna rilevanza a fronte della grave colpa di avere abbracciato, oltre tutto volontariamente, la causa «sbagliata» (per maggiori notizie: Ricordo del Bersagliere Paride Mori, www.storico.org, maggio 2014).

In tempi più recenti, grazie alla Legge 30 marzo 2004 numero 92, istitutiva del Ricordo, è stata conferita agli eredi del Capitano Mori la Medaglia d’Onore concessa quale riconoscimento, sia pure largamente postumo, alle vittime dei partigiani jugoslavi (1943-1947) infoibate o diversamente massacrate. Ebbene, dopo la consegna, effettuata a Montecitorio lo scorso 10 febbraio 2015 da parte del Sottosegretario alla Presidenza Del Rio, i solerti partigiani si sono sollevati all’unisono, stracciandosi le vesti per l’attenzione riservata ad un «fascista» e chiedendo al Governo di provvedere subito alla revoca dell’insegna, non soltanto a lui, ma anche a tutti coloro a cui la Medaglia era stata conferita nel periodo di vigenza ormai decennale della Legge in parola.

Era come se il Capitano Mori venisse ucciso una terza volta, con una motivazione tanto più surreale, in quanto nel dispositivo di revoca non si accennava minimamente alle ragioni obiettivamente illegittime proposte dai partigiani, ma al fatto che Mori fosse caduto in combattimento (cosa che non rientra nella normativa della Legge 92) equiparando al combattimento stesso l’agguato di cui fu vittima assieme al motociclista Costantino Di Marino (conseguentemente coinvolto nella revoca di analoga onorificenza) mentre scendevano in «sidecar» al Comando di Santa Lucia d’Isonzo.

Le controdeduzioni proposte all’indomani della notifica sono state respinte, dopo nove mesi di ulteriore istruttoria, proprio alla vigilia del Natale 2015, previa nuova affermazione della medesima natura giuridica di agguato e combattimento, ignorando tutti gli altri argomenti a favore della concessione, ivi compresa la subordinata ipotesi che di combattimento non potesse trattarsi comunque, visto che i partigiani, all’epoca del fatto, non indossavano divise, non erano inquadrati in formazioni regolari e non obbedivano ad un Comando organico. Evidentemente, anche la giurisprudenza militare si evolve in funzione dei tempi.

La conclusione della «dolorosa istoria» è che la Medaglia d’Onore (coniata in metallo vile come da precisa disposizione della Legge 92) è stata revocata al Bersagliere Di Marino, e che la decisione precedente è stata iterata anche per il Capitano Mori: in tale ottica, non è azzardato affermare che quest’ultimo è stato ucciso una quarta volta, con un atto a più forte ragione iniquo, visto che tra gli insigniti non mancano altri militari caduti in combattimento, o comunque in operazioni ad esso assimilabili. Come spesso accade in Italia, è la conferma di una prassi ormai consolidata: quella dei due pesi e delle due misure.

Non è azzardato presumere che gli stessi partigiani, onde evitare la proliferazione di una polemica che alla fine avrebbe danneggiato soprattutto la loro immagine, abbiano chiuso un occhio davanti all’esigenza di revocare il conferimento a tutti i militari della «parte sbagliata» accontentandosi della nuova «fucilazione» morale di Mori (e del suo compagno di sventura), forse perché colpevole del grave reato di avere scritto dal fronte le nobilissime lettere alla moglie ed ai figli, all’insegna di un sublime amore di Patria, che grazie al Cielo sono state pubblicate a futura memoria nella letteratura militare (tra gli altri, confronta Alberto Zanettini, Paride Mori Ufficiale dei Bersaglieri, Edizioni Donati, Parma 2013).

C’è di più. Dopo la prima revoca (aprile 2015), che diede origine ad una nuova disputa sulla stampa, analoga a quella successiva al vecchio abbattimento della targa toponomastica di Traversetolo in onore di Mori, il quotidiano parmense si rese promotore di un sondaggio d’opinione circa l’opportunità, o meno, della revoca medesima. Ebbene, un campione molto significativo di lettori si espresse a favore del mantenimento di Medaglia ed Attestato, con motivazioni varie, nella misura di tre quarti del totale, mentre soltanto un quarto fece sapere di essere contrario: l’ampiezza della forbice esime da ogni commento, anche a proposito della presunta casualità del campione.

La maggiore amarezza riveniente da tutta la vicenda di Mori riguarda il fatto che, ad oltre 70 anni dalla morte, vi siano ancora resipiscenze tanto pervicaci da mettere in discussione persino un riconoscimento come quello statuito dalla Legge 92, di esclusivo valore morale, con buona pace della conclamata opera di pacificazione nazionale che si afferma di voler promuovere a parole, ma che all’atto pratico si disattende nei fatti.

Il divo Giulio era solito affermare che a pensar male si fa peccato, ma che di solito «si azzecca». Ed allora, sia consentito concludere ricordando che in occasione del «pronunciamento» partigiano di primavera 2015 c’era odore di prossime elezioni. Di qui, l’opportunità di una nuova condanna con tanto di grancassa a carico dei «fascisti» a prescindere dal carattere ormai storico di questa «specie»; successivamente, in un clima politico meno agitato, nulla ha vietato di conferire soltanto al Capitano Mori ed al suo motociclista non già la Medaglia di metallo vile, ma il ruolo di vittime sacrificali, all’insegna di una soluzione all’italiana in cui la pregiudiziale antifascista dell’ANPI ha finito per essere subordinata ad una pronunzia, peraltro oggettivamente opinabile, della giustizia militare.

E meno male che Mori e Di Marino, le cui spoglie furono opportunamente rimpatriate da Santa Lucia, riposano nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari sotto la vigile guardia della Bandiera tricolore per cui si immolarono con nobile ed eroica consapevolezza.

(febbraio 2016)

Tag: Carlo Cesare Montani, Italia, Seconda Guerra Mondiale, bersaglieri, Paride Mori, Repubblica Sociale Italiana, Alta Valle dell’Isonzo, 18 febbraio 1944, vigliacchi d’Italia, Traversetolo, Parma, Giornata del Ricordo, fascismo, partigiani, Costantino Di Marino, Santa Lucia d’Isonzo, Alberto Zanettini, Legge 92, ANPI, fascisti, Sacrario dei Caduti d’Oltremare, Bari.