Il «silenzio» di Pio XII di fronte all’Olocausto
Breve analisi dei pro e dei contro di una drammatica scelta, ancora oggetto di discussione

Salito al soglio pontificio il 2 marzo 1939, Eugenio Pacelli dovette affrontare uno dei periodi più drammatici di tutta la storia della Chiesa: lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il suo atteggiamento durante il conflitto, in particolare verso il genocidio degli Ebrei, è ancora oggi oggetto di vivace dibattito tra gli storici; e solo da poco la storiografia sta facendo piazza pulita di alcune false tesi che hanno avuto enorme risonanza nei media e nel pubblico. Ad esempio, l’ipotesi di un filonazismo da parte di Pio XII avanzata da alcuni autori, non trova infatti riscontro nei documenti, non solo per via di alcuni fatti ovvi come l’ostilità del capo del Terzo Reich nei confronti delle Chiese Cristiane[1], ma anche perché sono ormai da tempo accertati i contatti del Pontefice con la Resistenza Tedesca, al punto da arrivare ad appoggiare un complotto avente l’obiettivo di spodestare Hitler.

Allo stesso modo, nonostante i tentativi di alcuni studiosi nel cercare di minimizzare l’apporto dato dal Papa al salvataggio degli Ebrei, è ormai indubbio il suo sostegno agli Israeliti negli anni dell’Olocausto che si manifestò attraverso il nascondiglio nelle proprietà della Chiesa, nella distribuzione di cibo ai conventi e monasteri che ospitavano Ebrei, nella consegna di passaporti per l’emigrazione e nelle proteste contro le deportazioni[2].

Sebbene in quel periodo non fossero mancati appelli coraggiosi contro le atrocità naziste da parte della Radio Vaticana[3], la critica principale rivolta contro il Papa (che costituisce anche l’attuale «pomo della discordia» tra gli «accusatori» e i «difensori») è quella di essere stato in «silenzio», ossia di non aver pubblicamente denunciato lo sterminio degli Ebrei. In particolare, la disputa verte sui possibili effetti che una denuncia pubblica avrebbe comportato nei confronti dell’Olocausto. Dibattito che è ben lontano dal concludersi e difficilmente lo sarà non solo perché è una questione destinata a rimanere nel puro campo ipotetico; ma anche perché entrambe le parti possono portare degli elementi a loro sostegno.

Da parte dell’«accusa» si afferma che una protesta aperta avrebbe reso maggiormente consapevoli gli Ebrei del pericolo (che, a differenza dei proclami degli Alleati, non poteva essere scambiata per una manovra di propaganda), e avrebbe potuto incoraggiare i Cattolici alla Resistenza e alla solidarietà. Vi sono alcuni episodi che mostrano come un pubblico pronunciamento da parte dell’episcopato, avrebbe potuto avere degli effetti nei confronti delle atrocità dei nazisti. Dopo che nel 1941 il Cardinale di Münster, Clement August Von Galen, denunciò dal pulpito l’uccisione di malati psichici, Hitler diede l’ordine di sospendere il programma di eutanasia «Aktion T-4» per evitare risvolti negativi sul morale della popolazione nel momento in cui aveva da poco iniziato l’invasione dell’Unione Sovietica. Nel 1943 si ebbero dei rallentamenti e delle sospensioni per quanto riguarda le deportazioni degli ultimi Ebrei Berlinesi a causa delle dimostrazioni spontanee e delle reazioni pubbliche effettuate dai parenti «ariani». Anche in Danimarca, l’incessante interessamento dimostrato dai funzionari danesi nei confronti degli Ebrei, permise a molti di fuggire e di mitigare l’atteggiamento dei Tedeschi[4].

Da parte della «difesa» si sostiene, al contrario, che una pubblica denuncia non sarebbe riuscita a riuscire a fermare lo sterminio e neppure a condizionare l’atteggiamento della maggioranza dei fedeli, e avrebbe inoltre peggiorato la situazione in quanto ciò avrebbe sicuramente esposto i Cattolici a feroci rappresaglie naziste, e reso impossibile l’opera di salvataggio operata da molte istituzioni ecclesiastiche. Anche in questo caso si possono citare diversi episodi che confermano questa visione. Nel 1942 in Olanda, dopo che i Vescovi protestarono dal pulpito contro le deportazioni degli Ebrei, rifiutando la proposta nazista di risparmiare i convertiti in cambio del loro silenzio, i Tedeschi per rappresaglia rastrellarono gli Israeliti Cattolici che riuscirono a trovare (tra le persone catturate vi fu Edith Stein, che perse la vita nel lager di Auschwitz). Feroci rappresaglie scatenarono anche le denunce dei crimini nazisti da parte di Radio Vaticana, al punto che il Vescovo di Cracovia, Adam Stefan Sapieha, aveva supplicato il Pontefice, «a varie riprese... dicendogli di fare cessare queste proteste poiché servivano solo a peggiorare la situazione»[5]. Una conferma della pericolosità di una denuncia pubblica viene anche dalle memorie del Vescovo Lussemburghese Jean Bernard (che venne deportato durante la guerra nel campo di concentramento di Dachau), che ricordava come «i preti detenuti tremavano ogni volta che venivano a sapere di una protesta fatta dalle autorità religiose, e in particolare dal Vaticano. Avevamo tutti l’impressione che i nostri guardiani ci facessero pagare cara la collera provocata da queste proteste... Ogni volta che venivamo trattati in modo più brutale senza alcun preavviso, i pastori protestanti che c’erano tra i prigionieri scaricavano la loro indignazione sui preti cattolici: “Quel vostro Papa ingenuo e quei sempliciotti dei vostri Vescovi hanno di nuovo aperto bocca... Ma perché non capiscono l’antifona una buona volta e non la chiudono? Loro fanno gli eroi e noi ne paghiamo le spese”»[6].

Indipendentemente dall’effettiva efficacia di una protesta pubblica, è indubitabile che Pio XII agì convinto che questa avrebbe potuto essere dannosa, e scelse quindi di aiutare i perseguitati senza clamore. Azione questa, a dire la verità, che venne seguita anche da altri organismi internazionali come la Croce Rossa[7]. Non si potrà forse mai emettere un giudizio definitivo per stabilire se questo metodo fu quello corretto da seguire, ma si può affermare che Pacelli affrontò questa scelta con la convinzione che fosse la strada migliore per salvare delle vite umane.


Note

1 «Il Führer è inesorabilmente determinato ad annientare le Chiese Cristiane dopo la vittoria» annotava Joseph Goebbels nel suo diario il 24 maggio 1942. Citato in Pier Luigi Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII, Torino 2013, pagina 110.

2 Sull’aiuto della Chiesa agli Ebrei durante la Shoah si rimanda all’opera di Alessandro Duce, La Santa Sede e la questione ebraica (1933-1945), Roma 2006.

3 «Ebrei e Polacchi vengono ammassati in distinti “ghetti” ermeticamente sigillati e penosamente inadeguati per la sussistenza economica dei milioni di persone destinati a vivere lì», «La guerra di Hitler non è una guerra giusta e la benedizione di Dio non può cadere su di essa», «Chi fa distinzione tra gli Ebrei e gli altri uomini è infedele verso Dio ed è in conflitto con i suoi comandamenti» sono alcune delle dichiarazioni rilasciate dalla Radio Vaticana durante il conflitto. Citazioni tratte da Ronald Rychlak, Goldhagen vs Pio XII, First Things (June-July 2002), pagine 37-54.

4 Episodi presi da Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli Ebrei, Bologna 2002, pagine 166-167.

5 Confronta Monica Maria Biffi, Il cavalletto per la tortura. Cesare Orsenigo, ambasciatore del Papa nella Germania di Hitler, Roma 2006, pagina 135.

6 Confronta Andrea Tornielli, Il Papa degli Ebrei, Bergamo 2002, pagina 186.

7 Suzanne Ferrière, membro della Croce Rossa e responsabile della sezione dei «civili» dell’agenzia centrale dei prigionieri di guerra, così si esprimette in una conferenza tenutasi il 12 febbraio 1943 a Ginevra: «Ci si meraviglia che il Comitato Internazionale non protesti presso i Governi. In primo luogo, le proteste non servono a nulla; inoltre, possono rendere un pessimo servizio a coloro che si vorrebbero aiutare». Confronta Pier Luigi Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII, pagine 258-259.

(novembre 2016)

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