L’ultima testimonianza di Licia Cossetto
Estratto dall’allocuzione di Licia Cossetto Tarantola per la scopertura del Monumento alla sorella Norma, infoibata a Villa Surani (Pola) il 5 ottobre 1943
Muggiò, 3 febbraio 2013

Licia Cossetto è scomparsa il 5 ottobre 2013 – avendo appena compiuto 90 anni – proprio nel 70° anniversario della tragica morte di Norma, mentre si stava recando a Trieste per la commemorazione. Nell’intento di onorarne la memoria, assieme a quella di tutti gli infoibati, si pubblica, con pochi adeguamenti formali, il testo dell’ultima allocuzione di Licia, pronunciata nel «Giorno del Ricordo» (10 febbraio) per la scopertura del Monumento a Norma voluto dalla Municipalità di Muggiò. È un testo breve ma esaustivo, pur nella sua essenzialità, e certamente idoneo a promuovere una meditazione non effimera sulla tragedia di un intero popolo, tradotta nell’Esodo di 350.000 persone e nel sacrificio di 20.000 vittime innocenti o, meglio, di nient’altro colpevoli se non del «delitto» di avere amato la Patria non meno della propria anima, secondo la pertinente espressione di Maria Pasquinelli: riflessioni tanto più attuali nella misura in cui Licia, a 70 anni dai fatti, dichiara la propria incapacità di perdonare. In effetti, si tratta di un assunto da interpretare e da comprendere, sia alla luce del pensiero di David Ben Gurion citato alla fine dell’allocuzione, sia in riferimento al fatto che una grande colpa collettiva, come quella di cui i partigiani italo-slavi si resero responsabili nell’ultima fase del conflitto e soprattutto nel dopoguerra (1943-1947), non sembra suscettibile di rimessione individuale, soprattutto qualora si pensi che da parte loro, e delle rispettive Organizzazioni, non sono mai giunte espressioni ufficiali di scusa, e nemmeno di rammarico.


Testimonianza di Licia Cossetto

Con mia sorella Norma, ricordo il nostro papà Giuseppe, infoibato anche lui, con parecchi altri miei familiari. La nostra sola colpa era quella di essere Italiani e di voler restare Italiani.

Norma avrebbe potuto salvarsi qualora avesse aderito alle richieste dei suoi assassini che le proposero di restare con loro e di diventare Croata: cosa che lei respinse coraggiosamente, alla luce della sua fedeltà alla Patria. Allora, la portarono ad Antignana, la legarono ad un tavolo col filo di ferro uncinato ai polsi ed alle gambe: erano una ventina, e fecero di lei quello che volevano, torturandola ed usandole ripetute violenze. Norma chiedeva acqua e chiamava la mamma, ma nessuno si mosse a pietà.

Non sarò tanto diplomatica, diversamente da altri. Ho il dente avvelenato perché lo Stato Italiano si è ricordato di noi troppo tardi. D’altro canto, la colpa è anche nostra, perché quello istriano è soprattutto un popolo laborioso e paziente, che ha scelto l’Esodo in massa tirandosi su le maniche e mettendosi a lavorare: io stessa ho insegnato per 42 anni. Nell’esilio sono stata oggetto di tanti torti, ma anche in Istria ero stata imprigionata e riempita di botte; per mia fortuna trovai un compagno di scuola che mi sottrasse ai nostri carcerieri riportandomi a casa, da dove, quella stessa notte, potei fuggire con una zia, raggiungendo a piedi Trieste con una marcia di 60 chilometri!

Ho il dente avvelenato per tanti motivi ma, come ripeto, prima di tutto per il silenzio ufficiale che ha coperto per 60 anni la nostra tragedia. E poi, chiedo a chiunque sia andato a scuola se ha mai trovato in un libro di testo una parola sulla terribile vicenda istriana: ignoranza voluta e programmata. Il 10 febbraio 2006, quando il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi mi ha consegnato la Medaglia d’Oro al Valore concessa alla memoria di Norma per il nobile comportamento davanti agli aguzzini e per il rifiuto di collaborare col nemico, e mi ha chiesto se fossi contenta, gli risposi ringraziando, ma rammentando che aspettavo da troppo tempo, senza che nessuno si fosse mai ricordato dei nostri infoibati.

Dobbiamo dire grazie alle forze armate tedesche, se a seguito della loro temporanea occupazione dell’Istria siamo riusciti a recuperare i resti di alcune vittime, ma la gran parte è ancora laggiù: io non so ancora e non saprò mai dove sia finita la maggior parte dei miei parenti scomparsi assieme a Norma. Le foibe sono custodi del nostro dramma sconosciuto.

Bisogna informare meglio, anche sulla consueta versione secondo cui il martirio istriano avrebbe avuto luogo a causa esclusiva dei partigiani slavi di Tito. In realtà, loro occuparono subito qualche centro maggiore, all’indomani dell’8 settembre 1943, ma in quelli minori furono i partigiani locali – nostri concittadini italiani! – a scatenarsi: venivano di notte a farci alzare ed a sparare sopra i letti, ed anche gli assassini di mia sorella erano compaesani comunisti, che ricordo benissimo uno per uno. Costoro hanno persino la pensione dell’INPS, compresi i superstiti del gruppo che aveva torturato ed infoibato Norma. Infatti, la legislazione italiana del dopoguerra ha stabilito che era sufficiente aver prestato servizio, sia pure per pochi giorni, in forza all’Italia, per avere diritto alla pensione: cosa tanto più paradossale, visto che a noi, invece, nulla è stato dato. Personalmente, ho ricevuto un’autentica miseria solo come indennizzo per i beni «abbandonati» e, quindi, un’ulteriore beffa.

Questa è la nostra storia, tanto tragica che non mi sento di perdonare: del resto, come è stato detto, «soltanto i morti hanno il diritto di perdonare, mentre i vivi hanno il dovere di ricordare». Questo è l’obbligo morale che lascio in eredità alla mia famiglia ed al nostro popolo.

(ottobre 2016)

Tag: Laura Brussi, foibe, Seconda Guerra Mondiale, Italia, partigiani, vittime delle foibe, testimonianza di Licia Cossetto, Villa Surani, Giorno del Ricordo, Norma Cossetto, Esodo, Maria Pasquinelli, David Ben Gurion, partigiani italo-slavi, 8 settembre 1943.