L’epopea delle esplorazioni artiche
Fino a tempi recenti, uomini coraggiosi si spinsero nelle desolate regioni dell’estremo Nord, per tracciare nuove rotte commerciali; molti di loro non fecero più ritorno

Esiste, nell’estremo Nord del mondo, un deserto: un deserto di neve e di ghiaccio che si stende a perdita d’occhio, spazzato da venti gelidi ed impetuosi, coperto sovente da nebbie fittissime, dove la temperatura scende regolarmente a quaranta o cinquanta gradi sotto lo zero. È l’Artide, una terra costituita dalle estreme coste settentrionali dell’Europa, dell’Asia e dell’America e da un certo numero di isole, di cui la più grande è la Groenlandia; la zona che circonda il Polo Nord è formata da mare ghiacciato che costituisce la banchisa da cui si staccano all’epoca del disgelo i grandi iceberg: l’Artide è infatti un grosso bacino, un mare circondato da continenti. Eppure anche in un luogo tanto «estremo», oltre il 70° grado di latitudine Nord, vivono con tenacia, da tempi immemorabili, numerosi gruppi umani: gli Eschimesi in America e in Groenlandia, i Lapponi in Europa, i Tungusi, gli Ostiachi, gli Jacuti e i Samoedi in Asia. L’esplorazione «scientifica» di queste zone, invece, si deve inizialmente agli Europei, in seguito ai Russi e, infine, agli Americani.

Ci si potrebbe chiedere perché decine e decine di uomini, in ogni epoca, hanno patito terribili disagi – e spesso hanno perduto la vita – per esplorare questo mondo desolato: non c’era la speranza di incontrare popoli sconosciuti, né la prospettiva di trovare terre da sfruttare. Due furono le motivazioni principali: la prima, di tipo economico, cioè la ricerca di un passaggio dall’Oceano Atlantico agli altri oceani (non erano stati ancora aperti i canali di Suez e di Panama); la seconda era invece motivata dal senso dell’avventura, dal fascino dell’ignoto: una specie di gara, spesso tragica, portò varie spedizioni a lottare fra loro per sopravanzarsi nella marcia al Polo Nord.

Nell’esplorazione dell’Artide si possono distinguere due tempi: la ricerca dei passaggi del Nord-Est e del Nord-Ovest (per raggiungere dall’Europa i Paesi dell’Estremo Oriente ricchi di oro, di spezie e di legnami pregiati senza assoggettarsi al lungo e difficile periplo africano) e il raggiungimento del Polo. Le spedizioni furono numerose, ed elencarle tutte occuperebbe troppo tempo; ci limiteremo ad alcuni accenni alle principali, per dare uno sguardo d’insieme; possiamo comunque notare, fin d’ora, che un contributo primario per raggiungere entrambi gli obiettivi fu dato dagli Italiani.

Furono proprio due Italiani, Giovanni e Sebastiano Caboto, che, tra il XV e il XVI secolo, si misero per primi in viaggio per trovare, per conto dell’Inghilterra, il passaggio che si credeva dovesse esistere a Nord tra l’Europa e l’Asia, sia navigando verso Ovest (attraverso l’America) che navigando verso Est: i mercanti inglesi avevano ogni interesse a trovare quella via. Ma il freddo intenso e i ghiacci alla deriva costrinsero i due esploratori a rinunciare all’impresa. Peggior sorte ebbero le successive spedizioni di Gaspare Cortereal, Willem Barentszoon detto Barents, Henry Hudson e John Franklin, tra il XVI e la metà del XVIII secolo: lo scorbuto, le tempeste, la fame e il freddo provocarono una vera e propria ecatombe; gli stessi capi delle spedizioni scomparvero… di alcuni non furono mai ritrovate neppure le ossa. Si giunse così alla conclusione che il passaggio di Nord-Ovest o non esisteva, o – anche trovandolo – non sarebbe stato commercialmente sfruttabile.

Navigando verso Est, i Russi scoprirono invece che un passaggio tra l’Asia e l’America esisteva, ma si era ancora molto lontani dalla sua utilizzazione pratica; fu solo nel 1878-1879 che la nave Vega, guidata dallo Svedese Adolf Erik Nordenskjöld e sulla quale era imbarcato anche il capitano italiano Giacomo Bove, compì il passaggio di Nord-Est girando dall’Atlantico Settentrionale all’Oceano Pacifico per tutta la lunghezza del mare Nord-Asiatico. Da allora, i Russi utilizzarono il passaggio grazie alla sua navigabilità dovuta agli effetti della Corrente del Golfo e alla presenza di canali di acqua libera («polynia»): la zona polare è sempre stata considerata importante e produttiva dallo Stato Russo.

Finito l’interesse per la scoperta dei passaggi, l’attenzione si rivolse alla conquista del Polo Nord e all’esplorazione del bacino artico, sebbene non si sapesse se il Polo si trovasse nel mare libero, dopo una cintura più o meno larga di ghiacci, o posto sul ghiaccio che dalle coste americane e dalla Groenlandia si stendeva senza soluzione di continuità fino all’immaginario punto d’incontro di tutti i meridiani: nel primo caso lo si sarebbe potuto raggiungere con una nave, mentre nel secondo caso l’unico mezzo per conquistarlo sarebbe stata la slitta.

Figura dominante nella storia delle esplorazioni artiche è il Norvegese Fridtjof Nansen: egli suppose, basandosi su alcune osservazioni, l’esistenza di una corrente che faceva deviare i ghiacci verso il Nord, attraverso mari ancora ignoti. Ideò allora un piano arditissimo: farsi imprigionare dai ghiacci con una nave appositamente costruita, lasciarsi andare alla deriva secondo il capriccio delle correnti e dei venti, raggiungere il Polo Nord e poi lasciarsi trascinare verso i mari liberi. Partì da Christania (l’odierna Oslo) il 20 giugno 1893 e verso la fine di settembre fu imprigionato dai ghiacci; scoprì allora che la corrente prevista esisteva, ma che non giungeva al Polo Nord, vi passava soltanto vicino. Decise insieme al tenente Hialmar Johansen di abbandonare la nave e tentare di raggiungere il Polo servendosi delle slitte e degli sci; ma a 86° 14’ di latitudine Nord, la stanchezza degli uomini e dei cani bloccò la loro avanzata. Lungo e terribile fu il viaggio di ritorno: mesi di marcia e di lotte continue con le tempeste artiche, e poi altri mesi passati in una capanna, nell’attesa che la lunga notte polare giungesse al termine e tornasse la bella stagione. Solo il 17 giugno 1896 riuscirono a raggiungere il campo della spedizione di Frederick G. Jackson e, da lì, a far ritorno in Norvegia.

L’anno seguente lo Svedese Augusto Salomone Andrée, con due compagni, tentò di raggiungere il Polo Nord a bordo dell’Aquila, un pallone aerostatico. Ma tre giorni dopo la partenza il pallone, appesantito dal ghiaccio, scese sulla banchisa e i tre esploratori iniziarono la marcia verso il Sud. Nel 1930 una baleniera ritrovò i resti della spedizione: i corpi degli esploratori, i diari, gli appunti e materiale vario. Gli uomini erano stati stroncati dal freddo.

Nel 1899 Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, tentò di raggiungere il Polo Nord con la nave Stella Polare. Ma per i seri danni provocati alla nave dalla pressione dei ghiacci e un incidente occorso al Duca, il comando della pattuglia che avrebbe dovuto raggiungere il Polo fu assunto dal capitano Umberto Cagni: questi si spinse con le slitte fino ad 86° 34’ di latitudine Nord, superando di trentacinque chilometri il primato di Nansen. Qui fu però costretto ad interrompere la marcia e tornare indietro.

Nel 1909 il Polo Nord fu raggiunto per la prima volta dall’Americano Robert Edwin Peary (anche se su questo punto non tutti sono d’accordo): partito dal Capo Columbia nella Terra di Grant con 23 uomini, 133 cani e 19 slitte, raggiunse il Polo il 6 aprile. I tentativi di un’intera età erano felicemente conclusi!

Un’altra figura di primo piano è il Norvegese Roald Amundsen, autore di grandi imprese, ognuna delle quali sarebbe sufficiente a dar gloria ad un uomo: fu lui, per esempio, a raggiungere il polo magnetico boreale ed a precisarne la posizione (70° 30’ di latitudine Nord, 95° 33’ di latitudine Ovest); nel 1906, poté dare al mondo la notizia che il passaggio del Nord-Ovest era stato interamente navigato ed esplorato – tuttavia, esso rimase a lungo inutilizzato perché le regioni artiche americane non erano interessanti per l’economia del continente. Nel 1925 tentò di raggiungere il Polo Nord servendosi di due idrovolanti tipo Dornier Wall, costruiti in Italia, a Marina di Pisa; ma, arrivati ad 87° 44’ di latitudine Nord, fu costretto dalle condizioni atmosferiche avverse a ritornare. L’anno dopo, Amundsen volle ritentare l’impresa servendosi di un dirigibile acquistato in Italia, il Norge: era del tipo semirigido ed era stato ideato dal colonnello Umberto Nobile, che prese parte alla spedizione come comandante dell’aeronave; era con loro anche l’Americano Lincoln Ellsworth, finanziatore di questa e di altre imprese. Il Norge partì da Roma il 10 aprile 1926; all’1,30 del 12 maggio sorvolò il Polo Nord sul quale Amundsen, Ellsworth e Nobile lasciarono cadere le bandiere dei rispettivi Paesi: Norvegia, America ed Italia. Nebbia e tempeste ostacolarono il resto del viaggio fino all’Alaska, attraverso regioni completamente inesplorate, ma il 14 maggio l’aeronave giunse a Teller; la manovra di discesa sui ghiacci non fu facile e mise a dura prova la resistenza dell’equipaggio, già duramente provato da tante ore di volo; fra le raffiche di vento, il Norge venne sgonfiato e, più tardi, riportato in Europa.

Successivamente Umberto Nobile ideò una nuova spedizione al Polo Nord con un’aeronave gemella del Norge, l’Italia. La spedizione partì da Milano il 15 aprile 1928: il suo programma scientifico prevedeva un volo sull’allora inesplorata Severnaja Zemlja ed uno o due voli fino al Polo Nord, sulla zona inesplorata che si stendeva a settentrione della Groenlandia. I primi due viaggi dell’Italia, sebbene ostacolati dal maltempo, si conclusero positivamente; ma durante il ritorno dal terzo, il 25 maggio il dirigibile fu sbattuto da una tempesta contro i ghiacci sconvolti della banchisa: l’urto sfasciò la cabina di comando, dalla quale caddero alcuni viveri, una tenda, una radio da campo e nove membri dell’equipaggio: il generale Nobile e Cecioni gravemente feriti; Mariano, Viglieri, Zappi, Trojani, Biagi incolumi; Malmgren ferito e Pomella morto sul colpo. L’aeronave, alleggerita, riprese quota portando con sé altri componenti dell’equipaggio e di loro non si seppe più nulla; tutto porta a supporre che il dirigibile, più avanti, sia esploso, trasformandosi in una letale trappola di fuoco per chi non aveva avuto la fortuna di essere sbalzato fuori bordo. La tenda caduta sulla banchisa venne dipinta con l’anilina per renderla più visibile, e per questo motivo passò alla storia come la «tenda rossa»; il telefonista Biagi cominciò a lanciare i segnali di soccorso con la piccola radio da campo. Il 30 maggio Mariano e Zappi, con lo scienziato svedese Finn Malmgren, decisero di raggiungere la terraferma per cercare aiuti: durante la marcia Malmgren morì, mentre Mariano e Zappi vennero raccolti sfiniti dal rompighiaccio sovietico Krassin. Successivamente, la radio della nave appoggio della spedizione, la Città di Milano, riuscì a captare le chiamate della «tenda rossa». Appena saputo del disastro dell’Italia, Amundsen, con un generoso slancio di solidarietà, volle subito partire in aereo alla ricerca dei dispersi: decollò, disparve e da allora di lui non si seppe più nulla. Con l’aiuto della radio, la posizione della «tenda rossa» fu individuata e i naufraghi poterono essere riforniti di viveri; il 23 giugno, il tenente svedese Einar Lundborg riuscì a scendere con il suo piccolo aereo presso la «tenda rossa» e a ripartirne quasi subito portando in salvo il Generale Nobile, che per l’essersi fatto salvare prima dei suoi uomini fu subissato da un coro di critiche.

Seguendo una rotta quasi identica a quella del Norge, nel 1951 il bacino artico fu sorvolato in volo da un uomo solo, il capitano nordamericano Charles Blair, con un monoposto Mustang: partì il 29 maggio alle ore 15,58 dalla base aerea militare di Bardufoss, in Norvegia, e 10 ore e 29 minuti dopo scendeva a Fairbanks, in Alaska, dopo aver sorvolato il Polo Nord.

Intanto, si stava pensando alla possibilità di aprire una via commerciale sottomarina, che avrebbe ridotto della metà molte delle rotte commerciali del tempo: raggiungere il Polo Nord navigando sotto i ghiacci era l’unica via che rimaneva ancora da tentare. Gli inizi non furono promettenti: nel 1931 Hubert Wilkins tentò di usare un sottomarino, il Nautilus, per navigare sotto i ghiacci della calotta artica, ma il mezzo era del tutto inadatto all’impresa e si avariò gravemente ancor prima di iniziare le immersioni; nel 1937 cominciò l’organizzazione di un’altra spedizione sottomarina artica, con l’appoggio della Società Geografica Canadese, ma il tentativo non poté essere continuato a causa della tensione politica che andava manifestandosi in tutto il mondo e che sarebbe presto sfociata nella Seconda Guerra Mondiale. Tempi migliori e nuove possibilità tecniche per ritentare l’impresa si presentarono con la scoperta dell’energia atomica e con le sue applicazioni ad opere di pace: gli Stati Uniti misero a punto un sommergibile a propulsione nucleare per tentare l’esplorazione del bacino artico navigando sotto i ghiacci. Venne chiamato Nautilus in omaggio a Wilkins che a quell’epoca, nonostante l’età avanzata, era consulente nordamericano per le questioni polari. Il Nautilus, comandato dal capitano di corvetta William Robert Anderson, partì da Pearl Harbor il 22 luglio 1958; il 3 agosto, alle 23,15, era esattamente sotto il Polo Nord; arrivò a Portland, in Inghilterra, alle 8,30 del 12 agosto. L’intera rotta risultò di 15.000 chilometri coperti ad una velocità media di oltre trenta chilometri orari.

Un altro sottomarino americano, lo Skate, navigò sotto i ghiacci fino a raggiungere anch’esso il Polo: qui, provocò la fusione della banchisa con getti di acqua bollente e riuscì ad emergere proprio in quel punto.

Negli anni seguenti sia gli Americani che i Sovietici effettuarono altre spedizioni sotto la banchisa polare. L’epoca delle esplorazioni artiche, già a metà degli anni Sessanta poteva dirsi terminata, perché la configurazione generale delle terre e dei mari era ormai nota, anche se spesso in modo approssimativo. Le regioni polari artiche vennero suddivise fra l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti, il Canada e la Danimarca. Le basi di studio installate sulla banchisa polare e sulle terre artiche e le stazioni meteorologiche artiche, furono molto importanti per la determinazione del tempo e per i dati scientifici che fornivano. Le vie di comunicazione erano assicurate da potenti navi rompighiaccio e da aerei. Le condizioni di volo risultavano particolari: se la notte polare offriva il vantaggio di permettere la navigazione con le stelle, non era invece sempre possibile l’impiego della bussola magnetica; la teleguida era precaria per lo scarso numero di stazioni terrestri e la localizzazione topografica era difficile perché le carte di alcune zone erano ancora inesatte o incomplete.

Oggi il Polo Nord non è più, per l’uomo, né un pericolo né un mistero, e per molti versi neppure un’avventura: la tecnologia ha messo a disposizione enormi mezzi per chi si appresta all’esplorazione dell’Artico, dal radar al sonar, dalla televisione agli elicotteri, dalla navigazione inerziale (che permette di stabilire la posizione senza osservare il cielo) alle previsioni del tempo continuamente aggiornate – l’uomo non si trova più solo su un’immensa distesa ghiacciata, con il problema (fra gli altri) di comunicare col resto del mondo. Sui ghiacci sono sorte modernissime stazioni scientifiche, con piste per grossi aerei ed elicotteri: studiando il movimento degli iceberg, gli scienziati possono ricavare molti dati sulla meteorologia, sull’idrologia, sul magnetismo, sull’atmosfera. Un progetto avveniristico prevede di allestire grandi flotte di sottomarini nucleari che trasporteranno merci e passeggeri dall’Atlantico al Pacifico navigando sotto la banchisa: pare quasi folle, ma il Polo Nord ha già visto realizzarsi tante imprese ritenute impossibili. In definitiva, pare proprio che il regno dei ghiacci immacolati, degli orsi, delle acque color cobalto e del sole a mezzanotte continuerà sempre ad esercitare un grande fascino sugli uomini!

(gennaio 2014)

Tag: Simone Valtorta, esplorazioni artiche, Artide, Polo Nord, passaggio del Nord-Est, passaggio del Nord-Ovest, Giovanni Caboto, Sebastiano Caboto, Gaspare Cortereal, Willem Barentszoon, Barents, Henry Hudson, John Franklin, Adolf Erik Nordenskjöld, Vega, Giacomo Bove, Fridtjof Nansen, Hialmar Johansen, Frederick G. Jackson, Augusto Salomone Andrée, Aquila, Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, Stella Polare, Umberto Cagni, Robert Edwin Peary, Roald Amundsen, Norge, Umberto Nobile, Lincoln Ellsworth, Italia, Città di Milano, Einar Lundborg, Charles Blair, Nautilus, Hubert Wilkins, William Robert Anderson, Skate.