La nave General Slocum
Che cosa può causare una disattenzione

La nave General Slocum era un grosso piroscafo, mosso da ruote a pale, costruito nel 1891 per il trasporto di persone. Prese il nome del militare Henry Warner Slocum, che partecipò alla Guerra di Secessione Americana e che poi divenne membro del Congresso.

Per quel periodo, la nave era molto grande, con la chiglia lunga 72 metri e larga 11,4 metri. La struttura era in legno di quercia bianca e pino giallo. L’imbarcazione aveva tre ponti, tre compartimenti stagni e un impianto d’illuminazione di tutto rispetto, con le sue 250 lampadine elettriche. Il moto era dovuto a tre motori della ditta W. & A. Fletcher Company di Hoboken, città del New Jersey, tramite due ruote del diametro di 9,4 metri, con 26 pale ciascuna, montate sui fianchi dell’imbarcazione. Era governata dall’equipaggio costituito dal capitano William H. Van Schaick, due piloti e venti marinai.

La sua costruzione era stata orientata al soddisfacimento del desiderio della gente di fare gite, feste ed escursioni turistiche nei dintorni e nella baia di New York; insomma, una nave nata per consentire il divertimento dei suoi utenti durante giornate di tranquillità e riposo. Era questo lo scopo del suo progettista, Divine Burtis J., un costruttore navale di Brooklyn, che non si allontanò mai dal cantiere, per tema che fosse commesso qualche errore o fatta qualche variante non prevista, finché la nave non fu varata; il suo uso doveva essere un’occasione di svago, e proprio per ciò aveva pensato a farla bella e spaziosa.

Il General Slocum ebbe una vita piuttosto movimentata, giacché fu protagonista di diversi incidenti di varia entità che lo funestarono durante i 13 anni che precedettero l’evento disastroso che s’intende qui raccontare.

Il primo neo si ebbe quando la nave aveva quattro mesi di vita: ebbe la sfortuna di avere un brutto scontro con il rimorchiatore R.T. Sayre, dal quale uscì piuttosto malconcia. Il General Slocum era nato per muoversi nella baia e dintorni, e diverse volte restò incagliato nella zona della penisola di Coney Island, molto frequentata, essendo famosa per le sue spiagge e per i suoi parchi di divertimento. Solamente l’intervento di diversi rimorchiatori riuscì a portarlo in acque più profonde. E non è finita lì, poiché quattro anni più tardi andò a sbattere contro la nave Amelia. Come se non bastasse, nel 1901, la nave è stata il teatro di una rivolta a bordo. I passeggeri erano 900 persone che, più tardi, furono identificate come estremisti anarchici, e che tentarono di impadronirsi dell’imbarcazione. Con coraggio e decisione, l’equipaggio reagì con fermezza, riuscendo a bloccarli, prima, e a rinchiuderli nelle cabine dei passeggeri, poi. Dopo aver attraccato al porto, la polizia arrestò 17 di quei tizi. Nel 1902, il General Slocum ebbe un altro incidente, ma di scarsità talmente ridotta, «Deo gratia», che non merita un approfondimento.

Il giorno 15 giugno 1904, un mercoledì, sventuratamente scoccò l’ora «X», se è consentito così denominare l’innesco della tragedia che ne è seguita.

Il mattino era normale e afoso, come sono i giorni che annunciano l’inizio dell’estate. I passeggeri, rappresentati da gitanti e turisti, si accalcavano sul molo, pronti a salire sul piroscafo General Slocum, per compiere una minicrociera nella baia di New York. La nave era stata noleggiata da una confraternita di fedeli appartenenti alla Chiesa Evangelica Luterana di St. Mark, con sede nella Little Germany, quartiere dove preferibilmente si erano sistemate le migliaia di Tedeschi che, nel Nuovo Mondo, avevano cercato una nuova patria. La gita, che si ripeteva ogni anno, aveva lo scopo di tenere insieme l’anima della patria lontana e trascorrere in serenità una giornata di divertimento, in allegria, senza pensieri, facendo una gita lungo l’East River, per terminare con una merenda sull’erba nella località Locust Grove della penisola di Long Island. Si trattava di un’escursione che si ripeteva ogni anno, con lo scopo di tenere unita la comunità religiosa. Poco dopo le nove, si aprì l’imbarco delle oltre 1.300 persone, in prevalenza donne e bambini che, gridando e ridendo, si assieparono sui tre ponti e dalle balaustre salutavano chi restava a terra, mentre la banda accoglieva allegramente la calca. Chiusi i portelloni e tolti gli ormeggi, la nave iniziò il suo percorso. Era trascorsa più o meno mezz’ora e i Tedeschi cantavano inni luterani e si stavano divertendo, quando un angoscioso e inquietante grido, lanciato non si sa da chi, si levò a coprire le voci e le risate della gente: «Al fuoco! Al fuoco!» Manco a farlo apposta, la nave in quel momento stava percorrendo un tratto dell’East River, fra Wards Island e Queens, in corrispondenza del luogo che, sinistramente, era chiamato «Hell’s Gate» («Cancello dell’Inferno»), perché era tristemente famoso per i suoi mulinelli e i suoi vortici.

I marinai tentarono di domare l’incendio, ma quando una decina di minuti dopo (non si è capito il perché del ritardo) fu avvisato il capitano, la situazione stava diventando insostenibile. Le fiamme si erano sviluppate nella sala luci, forse per la disgraziata abitudine di tanti fumatori di non spegnere i mozziconi prima di gettarli, soprattutto quando ci sono nelle vicinanze materiali altamente combustibili. Del resto alla fine si concluse che quella fu l’unica ragione plausibile dello sviluppo dell’incendio. La vernice data da poche settimane e altro materiale infiammabile hanno fatto il resto, tanto che in brevissimo tempo tutta la parte anteriore del piroscafo era in preda alle fiamme. I viaggiatori furono presi dal panico e tentavano di trovare riparo dal fuoco e dal calore accalcandosi sui ponti. Il comandante ordinò di distendere le manichette antincendio e, messosi al timone, di spingere i motori al massimo. Poi a tutta velocità diresse la nave verso l’isola di North Brother Island, posta nell’East River a metà distanza fra Bronx e Riker’s Island, distante circa un chilometro e mezzo. I marinai, nel frattempo, rivolsero le manichette contro il fuoco, ma le stesse, sotto la pressione dell’acqua, si squarciarono; risultato della mancata, necessaria manutenzione, che consisteva nella verifica della loro tenuta e nella semplice sostituzione dei pezzi ritenuti avariati. La decisione del capitano, secondo il parere di tutti quelli che s’intendono di mare e d’incendi su navi, peggiore non poteva essere: sarebbe stato meglio fare un attracco il più vicino possibile, portando la nave in secca, sicuri che la situazione sarebbe stata più facilmente affrontabile. Con la velocità, il fuoco si alimentava e si diffondeva sempre di più, mentre Van Schaick, fermo nella sua decisione, proseguiva verso la sua meta. Si è saputo, poi, che nessuno dei marinai aveva appreso come muoversi in un caso come questo, giacché non aveva fatto nessuna esercitazione antincendio e, pertanto, non c’è da meravigliarsi se qualcuno di loro fu preso dalla paura, originando un ulteriore terrore fra i passeggeri. Ma non finisce qui. I salvagente erano appesi in luoghi inaccessibili, pertanto non erano disponibili. I giubbotti di salvataggio, forniti in dotazione alla nave nel 1891 al momento del varo, non erano mai stati controllati e provati, dopo essere rimasti sotto l’azione del sole e degli agenti atmosferici per 13 anni: così, erano inutilizzabili, poiché il sughero, che doveva servire come galleggiante, si era frantumato e polverizzato nei contenitori di tela e, per questo motivo, una volta saturo di acqua, sarebbe diventato un peso, che avrebbe trascinato il disgraziato che lo indossava direttamente verso il fondo. Ebbene, molte madri, colte dalla disperazione, li fecero indossare ai figlioletti e li gettarono nelle acque del fiume... per vederli tragicamente sprofondare fra le onde. E, come se non bastasse, un altro problema nacque quando si tentò di utilizzare le scialuppe di salvataggio: purtroppo, erano state attaccate al ponte, con il quale erano diventate un tutt’uno, per cui anche questa possibilità di scampo era preclusa.

Insomma, la vicenda si presentava con tutti i presupposti per trasformarsi in un’immane tragedia.

Molte signore si buttarono in acqua, ma anche di quelle che sapevano nuotare molte furono trascinate sotto il pelo dell’acqua dal peso degli sovrabbondanti indumenti dell’epoca, alcune con i bambini che tenevano in braccio. Chi sapeva nuotare tentò di raggiungere la riva, ma solamente pochi riuscirono a porsi in salvo, essendo in quel punto la profondità dell’acqua molto elevata e la corrente molto impetuosa. Non mancarono persone che, buttatesi troppo vicino alle ruote motrici, che ruotavano al massimo, furono attirate e maciullate dalle pale. Sul piroscafo la confusione era dominante e chi non aveva il coraggio di buttarsi finì nel rogo quando i ponti collassarono, tutto trascinando e distruggendo.

Il triste spettacolo aveva attirato sulle sponde dell’East River un’enorme folla che, sgomenta e angosciata, assistette al compiersi dell’immane tragedia. Molti fra gli astanti si diedero da fare, lanciando funi a uomini e donne in preda alla corrente per trascinarli a riva, mentre altri fecero catene umane per portare a riva chi riuscivano ad afferrare. Coraggiosamente, il comandante di un rimorchiatore, che si trovava nelle vicinanze, mettendo in pericolo la vita sua e del suo equipaggio con il rischio di andare pure lui a fuoco, si avvicinò al General Slocum e riuscì a trasbordare un centinaio di persone.

Intanto, il battello correva verso la sua fine, finché giunse alla meta che Van Schaick si era proposto di raggiungere e qui spiaggiò, un’ora dopo lo scoppio dell’incendio. Ormai, il battello si era ridotto alla sovrastruttura, contorta per l’azione del calore sulle lamiere e annerita. E in quel momento ci fu un altro insperato aiuto portato ai poveri viaggiatori. A North Brother Island, dal 1885 era in attività una grande struttura sanitaria dedicata alla cura delle malattie infettive, il cui nome era Riverside Hospital. Ebbene, ci fu una corsa sia da parte di sanitari sia di pazienti per cercare di soccorrere chi era ancora sul relitto ridotto a una carcassa ormai in fase di spegnimento o si era gettato in acqua. Molti si buttarono in acqua e trascinarono a riva le persone in difficoltà. Le cronache dell’epoca riportano che un paziente, pur sofferente per febbri, volle dare il suo contributo, lanciandosi in acqua come tutti gli altri.

Molti cadaveri furono spinti dalla corrente contro la sponda e qui depositati e, a questo punto, vale la pena di evidenziare come spesso la natura umana sia contorta e portata a commettere azioni che, in situazioni normali, non ci si aspetterebbe mai fosse capace di compiere: infatti, entrarono in azione gli «sciacalli» (una specie che non teme l’estinzione), che andarono a frugare fra gli indumenti di quei poveretti, asportandone danaro, gioielli, orologi; e ciò avvenne... sotto gli occhi del comandante di un natante di lusso, di colore bianco, senza che alzasse un dito contro quello sconcio in atto.

La vista di quella bella nave così ridotta e di tanti cadaveri appoggiati sulla sponda del fiume o in balia della corrente fece piangere chi aveva assistito alla catastrofe e chi aveva contribuito a salvare vite umane, disperato, quest’ultimo, per non averne potuto trarre in salvo un numero maggiore. In uno scritto dello storico Edward Ellis si legge: «Nell’acqua galleggiavano corpi anneriti e insanguinati, carbonizzati e dilaniati. I giornalisti veterani guardavano e piangevano».

Il bilancio della tragedia fu tremendo: delle quasi 1.400 persone a bordo, solamente 321 poterono tornare alle loro case. Fra questi il capitano Van Schaick e alcuni dei componenti del suo equipaggio. Alcuni testimoni dissero che furono fra i primi ad abbandonare la nave in fiamme, rifugiandosi sul rimorchiatore, però non il capitano, se risulta che la guidò fino alla conclusione della pazza corsa. D’altra parte, durante il processo dichiarò che «rimasi al timone finché il mio cappello non prese fuoco». Del resto, che fosse stato a contatto con il fuoco lo dimostra la perdita di un occhio.

La notizia del disastro fece il giro dello Stato e del mondo e ci fu una corsa per portare aiuto. Il più triste dei compiti fu il riconoscimento delle salme, già ricomposte nelle bare, a 61 delle quali, completamente carbonizzate, non si riuscì a dare un nome.

Il 20 giugno iniziò il processo, che naturalmente catturò l’attenzione della stampa e la curiosità dei cittadini, con l’intento di individuare le responsabilità. Erano incriminate del disastro sette persone: naturalmente, «in primis» il capitano Van Schaick, insieme con due collaudatori e quattro rappresentanti della società proprietaria del General Slocum, la Knickerbocker Steamship Company, fra i quali era il presidente. Fra questi, il capitano Van Schaick era ritenuto il maggiore responsabile dei fatti.

Secondo lui, la decisione di proseguire fino alla North Brother Island era stata presa allo scopo di evitare di trasmettere l’incendio a depositi di combustibile e a case sulle sponde del fiume.

Durante il processo, emersero fatti che avrebbero potuto mettere sul lastrico l’impresa proprietaria della nave, ma la Knickerbocker Steamship Company se la cavò pagando una multa ridicola. Il peggio, invece, toccò al capitano William H. Van Schaick che, malgrado l’età (era nato nel 1837), fu condannato a 10 anni di lavori forzati nel penitenziario di massima sicurezza di Sing Sing, situato a Ossining, nello Stato di New York. I capi d’accusa erano tre e riguardavano la condotta negligente e criminale, la mancata informazione e formazione in merito alle norme da applicare in caso d’incendio, la manutenzione degli estintori non eseguita. Sicuramente, non tutte le manchevolezze erano da attribuire «in toto» al capitano: molte, oltre che a lui, erano da addossare all’impresa proprietaria, però, come predicava un saggio latino, «ubi maior, minor cessat», e così fu pure in questo caso.

Van Schaick, dopo tre anni e mezzo, tuttavia, fu rimesso in libertà per buona condotta. Il Presidente degli USA, Theodore Roosevelt, non lo volle perdonare per il disastro procurato, cosa che fu fatta dal successore William H. Taft, nel 1912. Morì nel 1927 alla veneranda età di 91 anni, sicuramente con l’incubo che lo tormentava da tanti anni.

Fin qui, la storia del General Slocum, ma forse sarebbe opportuno fare qualche considerazione sulle conseguenze che si ebbero.

Per cominciare, la Piccola Germania perse tantissime persone, soprattutto donne e bambini, mentre quel giorno i mariti erano al lavoro; molti residenti si trasferirono altrove, spopolando il rione.

Un fatto importante fu la presa di posizione del Presidente Roosevelt, che stabilì nuove norme di sicurezza per i natanti destinati al trasporto di persone, quali estintori automatici, un salvagente a norma per ogni passeggero e membro dell’equipaggio, manichette in grado di sopportare la pressione di 100 chilogrammi di peso, porte antincendio e scialuppe di salvataggio pronte per essere calate in mare.

Per la cronaca, si può riportare che nel 2004 morì Adella Wotherspoon, l’ultima superstite del disastro del General Slocum, che quel 15 giugno aveva sei mesi; nella tragedia perse le sue due sorelle.

(settembre 2021)

Tag: Mario Zaniboni, la nave General Slocum, Henry Warner Slocum, Guerra di Secessione Americana, William H. Van Schaick, Divine Burtis J., R.T. Sayre, Coney Island, Amelia, Little Germany, East River, North Brother Island, disastro del General Slocum, 15 giugno 1904, Riverside Hospital, Edward Ellis, Knickerbocker Steamship Company, Sing Sing, Theodore Roosevelt, William H. Taft, Adella Wotherspoon.