Le celebrazioni della Settimana Santa
Un parallelo tra i fatti della vita di Gesù e le cerimonie della Chiesa

Il periodo di otto giorni che va dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Pasqua viene chiamato Settimana Santa ed è il periodo più importante dell’intero anno liturgico. Se per gli Ebrei la Pasqua ricorda il passaggio dalla schiavitù d’Egitto alla libertà nella Terra Promessa, per i Cristiani la festa (rivissuta nel «memoriale» eucaristico ogni domenica) celebra il passaggio di Gesù Cristo dalla morte alla Risurrezione, e per gli uomini dal peccato alla vita nuova in Cristo Risorto. La data è invece quella dell’antica Pasqua Ebraica: la prima domenica dopo il plenilunio di primavera (tra il 22 marzo e il 25 aprile), corrispondente al 14 del mese lunare ebraico di Nisan. La Chiesa commemora e rivive la Passione, la morte e la Risurrezione di Gesù anche con una serie di cerimonie divenute appuntamenti tradizionali, di cui a volte non ci si chiede neppure il reale significato, schiacciate come sono nel vortice di una ripetitività rituale.

La Domenica delle Palme ricorda l’entrata di Gesù Messia a Gerusalemme. Fu un ingresso regale, nel senso letterale del termine: Gesù entrò in città seduto su un asinello (animale segno di regalità, in sostituzione del cavallo considerato impuro perché usato in guerra); i discepoli stesero i loro mantelli sulla groppa dell’animale, mentre si radunava una gran folla, alcuni stendevano i loro mantelli sulla strada e altri delle fronde di palma, tagliate dai campi. C’è chi andava avanti, e chi veniva dietro, gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». Oggi, nel corso della Messa, il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma che vengono distribuiti ai fedeli come simbolo di pace, scambiandone parte con parenti e amici. In alcune regioni d’Italia, il capofamiglia utilizza un rametto, intinto nell’acqua benedetta durante la Veglia Pasquale, per benedire la tavola imbandita nel giorno di Pasqua.

Il centro della Settimana Santa si ha nel «Triduo Pasquale», cioè nei giorni del Giovedì Santo, del Venerdì Santo e del Sabato Santo. La sera del Giovedì Santo viene celebrata la «Missa in Coena Domini» («Messa della Cena del Signore») per ricordare l’Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli. In quell’occasione, Gesù non si limitò alla benedizione del pane e del vino, com’era d’uso presso gli Ebrei, ma li presentò come il suo corpo e il suo sangue, versati in remissione dei peccati. Col comando: «Fate questo in memoria di Me!» non si limitò a ordinare un semplice ricordo del fatto ma, secondo il linguaggio religioso proprio del tempo, il fatto viene reso presente, rivissuto nell’oggi di chi lo celebra: con la Comunione, i Cristiani non ricevono una frazione di pane lievitato e un sorso di vino, ma assumono in sé il vero corpo e il vero sangue di Cristo. Oggi, dopo il Gloria della «Missa in Coena Domini», in cui suonano a festa, le campane non vengono più suonate fino al Gloria della Veglia Pasquale, nella notte fra il Sabato Santo e il giorno di Pasqua: il sabato, giorno di silenzio che commemora la sepoltura di Gesù, le campane tacciono, in segno di lutto.

Alle tre del pomeriggio del Venerdì Santo, giorno e ora della morte di Gesù, i fedeli si recano in chiesa a baciare il Crocifisso, che per l’occasione viene tolto dall’altare e deposto orizzontalmente, di solito su un tavolinetto. Alla sera partecipano alla «Via Crucis» («Via della Croce», anche detta «Via Dolorosa»), di solito lungo le strade del paese: è un modo popolare di rivivere, nella meditazione, il mistero della Passione e morte in croce di Gesù. La tradizione cattolica, più di quella ortodossa, ha posto l’accento sulle sofferenze patite da Gesù per amore verso l’umanità. Nata come sacra rappresentazione nel XIII secolo, la «Via Crucis» è sia una pratica devozionale, che una celebrazione penitenziale; a Roma, è tradizionalmente guidata dal Papa, nei pressi del Colosseo. Si percorre seguendo l’itinerario scandito nelle chiese dalle 14 croci o immagini dette «stazioni» (dal latino «statio», ovvero «sosta»), meditando i momenti significativi della Passione: nove di questi «quadri» sono attestati nel Vangelo, cinque (il 3°, il 4°, il 6°, il 7° e il 9°) si rifanno ad antiche tradizioni. Le stazioni sono, nell’ordine:

1a: Gesù è condannato a morte, prima dal Sinedrio e poi da Pilato.

2a: Gesù, caricato della croce, si incammina verso il Calvario.

3a: Gesù cade una prima volta sotto il peso della croce.

4a: Gesù incontra sua Madre che sale con Lui verso il Calvario.

5a: Un uomo di Cirene (il Cirenéo) aiuta Gesù a portare la croce.

6a: Una donna, detta Veronica, asciuga il volto di Gesù: secondo la tradizione, sul panno usato rimane impressa l’immagine del volto di Lui.

7a: Gesù cade una seconda volta sotto la croce.

8a: Gesù esorta le donne di Gerusalemme a non piangere solo su di Lui, ma su loro stesse e sui loro figli.

9a: Gesù cade una terza volta sotto la croce.

10a: Gesù, giunto sul Calvario, è spogliato delle vesti.

11a: Gesù, inchiodato alle mani e ai piedi, è crocifisso tra due malfattori.

12a: Gesù muore in croce perdonando i suoi crocifissori.

13a: Gesù deposto dalla croce è avvolto in un lenzuolo (la Sacra Sindone, custodita a Torino e in particolari occasioni esposta alla venerazione dei fedeli).

14a: Gesù è deposto nel sepolcro.

Nella notte tra il Sabato Santo e la domenica di Pasqua, la grande Veglia Pasquale è la solenne celebrazione della Risurrezione di Gesù e della sua vittoria sul peccato e sulla morte. «Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro» canta l’Exultet: è una notte beata, gloriosa, una notte di grazia in cui la tristezza della morte viene spazzata via dall’esultanza della Risurrezione – proprio perché il Signore è risorto dai morti possiamo credere nel suo annuncio di salvezza, possiamo vivere con gesti concreti il suo amore, possiamo sperare fiduciosi nella vita eterna. Prima della celebrazione, con una cerimonia altamente suggestiva, si benedicono il fuoco, il cero pasquale e l’acqua. Il cero pasquale rappresenta Cristo Risorto, vincitore delle tenebre e della morte, luce che illumina ogni uomo. Questo cero, di grandezza maggiore rispetto agli altri per poter essere ben visibile da tutti, è fin dai primi secoli uno dei segni più espressivi della Veglia Pasquale e della Risurrezione: viene preparato con una iscrizione a forma di croce, contornata dalla data dell’anno in corso e dalle lettere Alfa e Omega (prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, a significare che Gesù è principio e fine di ogni cosa); sono incastonati nel cero pasquale anche cinque grani d’incenso, per ricordare le cinque piaghe di Cristo in croce, poi il cero viene acceso dal celebrante con uno stoppino dal fuoco nuovo, appena benedetto, dicendo: «La luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello spirito». Altro segno del tempo pasquale è la benedizione dell’acqua, elemento che evoca in se stesso la vita e la purificazione, e che in ambito cristiano viene a significare Cristo stesso, l’unico capace di estinguere la sete profonda del cuore umano: l’acqua su cui è stata invocata la benedizione di Dio – la stessa acqua nella quale si è battezzati, e con la quale ci si segna quando si entra in chiesa – fa memoria del battesimo e dell’essere inseriti nel mistero della morte e Risurrezione di Cristo. Per questo durante la Domenica di Pasqua viene suggerito di sostituire l’atto penitenziale con il rito di aspersione con l’acqua benedetta attinta al fonte battesimale; anche la benedizione delle famiglie, ormai fatta spesso in Quaresima come rito di purificazione e di preparazione in vista della Pasqua, era prima svolta sempre nel tempo pasquale per portare a tutti, casa per casa, la benedizione di Dio attraverso l’acqua benedetta durante la notte di Pasqua.

La Domenica di Pasqua, giorno della Risurrezione di Gesù (avvenuta, secondo la cronologia giovannea, il 9 aprile dell’anno 30 dopo Cristo), i Cristiani vivono la gioia per la certezza nella vittoria finale del Bene sul Male e nell’aspettativa della vita eterna in Paradiso, offerta come un dono gratuito di Dio all’uomo (è l’Inferno, invece, che va «meritato»): generosità e condivisione sono alcuni dei gesti che vengono offerti per incamminarsi verso una vita nuova.

Molti sono i segni «visibili» della Pasqua: già entrando in chiesa, si notano addobbi floreali che parlano di festa; dopo il periodo della Quaresima, in cui tutto ci richiama a vivere l’essenzialità – anche l’interno stesso della chiesa, austero, privo di fiori e di ornamenti –, ora l’aula della celebrazione viene ornata e abbellita con fiori che, con i loro colori e profumi, sottolineano l’esultanza per la Risurrezione di Cristo. Anche il colore dei paramenti del sacerdote è cambiato: mentre in Quaresima predominava il viola, che richiamava a una dimensione di austerità e di sobrietà, a Pasqua il celebrante è vestito con paramenti bianchi o dorati, che richiamano alla realtà gloriosa della Risurrezione ed evocano la luce, la gioia e la festa. L’organo e gli altri strumenti musicali hanno ampia modalità di accompagnare la preghiera, non solo per sostenere il canto dell’assemblea – come richiesto per tutto il tempo di Quaresima –, ma anche per far risuonare nei cuori, con brani musicali diversi, la gioia della Risurrezione; il canto stesso dell’Alleluia, omesso per tutto il periodo quaresimale, viene proposto più volte per dar voce all’esultanza pasquale. Sul mistero della Risurrezione, inizio della nuova creazione inaugurata da Gesù Messia, si fonda tutta la fede cristiana (come testimonia con forza San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, al capitolo 15, prima testimonianza scritta dell’evento pasquale).

Persino il tradizionale uovo, a Pasqua, ha un profondo significato religioso, purtroppo oggi sminuito dal consumismo. Fin dall’antichità esso, in quanto racchiude la vita, ha rappresentato l’origine della vita, la primavera, la rinascita; per gli Egizi l’uovo era il simbolo della fertilità, mentre i Cinesi credevano che dall’uovo fosse nato il primo uomo; gli antichi abitanti dell’Italia erano soliti sotterrare nei campi un uovo dipinto di rosso per rendere più fertile il terreno. Per gli Ebrei l’uovo è uno degli alimenti tradizionali consumati durante il «seder» (la cena pasquale ebraica) ed è con il significato di vita che esso è entrato a far parte della tradizione cristiana, ricordando la Risurrezione e la vita eterna: per la sua forma e il colore (in origine le uova non erano di cioccolato, ma si trattava di semplici uova sode), l’uovo evoca anche la pietra che chiudeva il sepolcro di Gesù e che la mattina di Pasqua, quando le pie donne si recano sul luogo, viene trovata già rimossa, primo segno visibile della Risurrezione. In alcuni Paesi, come per esempio in Albania e in alcune zone d’Italia, le uova vengono dipinte a mano e benedette in chiesa, e l’inizio della festa viene segnato con le uova sode con salame o torte salate; invece nel Maramures, un distretto della Romania, ad essere benedette in chiesa sono focacce decorate con trecce, impastate in casa dalle donne. Le uova possono anche essere di legno, di cartone, di ceramica, oppure preziose uova d’oro o d’argento: le più famose sono quelle realizzate da Peter Carl Fabergé fra il 1885 e il 1917 per lo Zar di Russia, e chiamate per l’appunto «Uova Fabergé» – si tratta di reali opere d’arte orafa di qualità eccelsa. Simbolo di perfezione, compiutezza, eternità e rinascita, l’uovo è simbolo per i Cristiani di Gesù Risorto.

Il tempo di Pasqua propriamente detto termina con la celebrazione dell’«Ascensione del Signore»: la festa cade di giovedì, ma in molti Paesi, fra i quali l’Italia, si celebra la domenica seguente la Pasqua; è il coronamento della Pasqua e celebra il Signore Risorto che, dopo essersi manifestato varie volte ai suoi discepoli, sale al cielo, cioè entra nella sua gloria di Figlio di Dio, vincitore della morte e del male. Iniziano allora gli «ultimi tempi», quelli che precedono il ritorno dal cielo di Gesù e la Rivelazione finale.

(aprile 2019)

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