Il fantasma di Azzurrina
Tra leggenda e mistero, la storia del più famoso fantasma italiano

Se chiedessi a qualcuno di immaginare un luogo abitato dai fantasmi, immagino che la fantasia correrebbe a qualche tetro maniero scozzese, magari quello dipinto da Luigi Regianini nella sua opera La valle dei fantasmi. Eppure, anche l’Italia ha il suo bel pantheon di spettri, spiriti e affini. Alcuni, è vero, non fanno neppure paura, come il fantasma del cuoco Giuseppe al castello di Rivalta (Emilia Romagna): questo cuoco aveva un’irresistibile attrazione per le donne, attrazione che lo portò a mettere le mani sulla moglie del maggiordomo. Alla moglie, questo piacque; al marito, molto meno: fu così che lo sventurato cuoco fu scaraventato in una cisterna, dove morì (in fondo, ci sarà pure una ragione per il detto popolare che «l’assassino è sempre il maggiordomo»!). Quando venne ritrovato il corpo si pensò ad un suicidio, così il malcapitato non fu sepolto in terra consacrata; da allora, il suo spirito abita il castello, limitandosi a piccoli, innocui scherzetti come spostare o far cadere gli oggetti. (Il castello merita una visita a prescindere dalla presenza o meno del fantasma; vi si trova, fra le altre cose, l’ultimo stendardo rimasto al mondo usato durante la battaglia di Lepanto, nel 1571).

Ma il fantasma italiano più famoso, capace di affascinare e continuare a stupire frotte di persone anche oltre i confini del Bel Paese, è senza dubbio quello di Guendalina Malatesta, più nota col soprannome di Azzurrina: una presenza palpabile già quando si arriva nei pressi del maniero di Montebello (in provincia di Rimini) e «visibile» da coloro che abitano presso il borgo durante i temporali e le giornate uggiose come un «puffo azzurro» che scivola tra i torrioni o sulla Scorticata. Così, almeno, lo descrivono gli anziani che da sempre sentono parlare di lei ed in più occasioni hanno visto con i loro occhi quanto veniva loro raccontato quand’erano piccoli: lo spettro di una bambina, vissuta alla fine del Trecento ma che mai come ora è così «viva» fra la gente che ha imparato ad amarla e che cerca di scorgerla tra gli arredi, i soppalchi e i camminamenti del possente maniero di Montebello. Follia collettiva, immaginazione esasperata, suggestione indotta dai mass media, o realtà oggettivamente riscontrabile? Cerchiamo di fare un po’ d’ordine.

Quella di Montebello è una delle rocche più belle e meglio conservate della Romagna, ed ha la particolarità di poggiare le sue fondamenta proprio sul picco di un monte. Si trova a Torriana, a pochi chilometri da Rimini. Il «Mons Belli» (che tradotto dal latino vuol dire «Monte della Guerra») fu méta di molteplici assalti, ad iniziare dai Malatesta nel 1186. Dopo circa duecento anni furono i Montefeltro a conquistarla e la rocca rimase sotto il loro dominio fino al 1438, quando il signore dei Malatesta Sigismondo Pandolfo la riconquistò. Oggigiorno i proprietari del castello di Montebello sono Guidi di Bagno, infeudati dal Papa Pio II nel 1463.

Castello di Montebello

Il castello di Montebello

Nel Seicento un parroco compose una miscellanea di racconti della bassa Val Marecchia, secondo il gusto dell’epoca per le «fabulae» popolari; la cronaca è custodita tuttora nella biblioteca del castello. La leggenda di Azzurrina, trascritta nella raccolta, era già stata tramandata oralmente per circa tre secoli, ma non ci è dato sapere quanto di ciò che si raccontava fosse avvenuto realmente e quanto appartenesse alla fantasia; gli storici più accreditati ritengono comunque che le linee fondamentali della vicenda poggino su basi reali.

Siamo nel 1375, quando feudatario di Montebello è un certo Ugolinuccio o Uguccione Malatesta. Questi è padre di una bambina di otto anni, Guendalina, cogli «occhi color del cielo e i capelli chiari coi riflessi azzurrini». La bambina è nata albina, coi capelli totalmente bianchi: fenomeno che a quel tempo è considerato un segno di stregoneria.

Per nascondere la malattia della figlia, la madre le tinge ripetutamente i capelli di nero con pigmenti di natura vegetale estremamente volatili; ma il bianco dell’albinismo non trattiene il colore, reagisce al pigmento dando ai capelli della bambina riflessi azzurri come i suoi occhi – da qui, il soprannome di Azzurrina.

Azzurrina

Raffigurazione di Azzurrina

Il 21 giugno è in corso un violento temporale. Azzurrina sta giocando all’interno del castello con una palla fatta di pezza e spaghi, vigilata da due armigeri di nome Domenico e Ruggero. All’improvviso la palla rotola giù all’interno di un cunicolo alla fine delle scale che portano nei sotterranei, fino a raggiungere una stanza adibita a dispensa e ghiacciaia. Azzurrina si precipita a recuperarla; le guardie preposte alla sua sorveglianza non si preoccupano, dato che il cunicolo non ha altre uscite. Quand’ecco, che dai sotterranei riecheggia un urlo. Le guardie accorrono subito in soccorso della piccola, ma non trovano nessuno. Il castello e l’intero borgo sono setacciati per giorni e giorni... invano. Azzurrina è scomparsa, come dileguata nel nulla. Il temporale che imperversa furioso, si placa con la sua scomparsa. Da allora, racconta il manoscritto seicentesco, «si narra che, allo scadere del solstizio estivo di ogni lustro, un suono proveniente da quel sotterraneo cunicolo si faccia ancora sentire». Risate, giochi di bimba, dodici rintocchi di campane, il battere veloce di un cuoricino: questi i fenomeni che si possono sentire solo negli anni che finiscono con lo «0» o il «5» nel giorno del solstizio.

(In realtà, ritengo ci sia una spiegazione molto semplice per la scomparsa della bambina, senza andare a «scomodare» fenomeni soprannaturali: potrebbe darsi che nel correre a recuperare la palla la bambina inciampi, cada battendo la testa e muoia sul colpo. Le guardie, timorose d’essere accusate di non averla custodita bene, ne fanno sparire il corpo raccontando poi della scomparsa misteriosa. Ma questa, si badi bene, è una mia interpretazione).

Interno del castello di Montebello

Interno del castello di Montebello: il corridoio con la botola (in fondo a destra oltre lo steccato) che immette alla ghiacciaia

dove sarebbe scomparsa la piccola Guendalina Malatesta

Giunti a questo punto, sconsiglio di proseguire la lettura alle persone facilmente suggestionabili. Già, perché non solo Azzurrina, ma molte altre presenze animano giornalmente le mura del castello: durante le visite guidate molte persone si sentono male, in preda ad improvvisi stati di ansia e svenimenti; molti odono passi e voci accompagnare la guida. Altro elemento interessante è una panca color rosso sangue, dove vi è raffigurata una donna incinta all’interno di una tenda; la panca ha più di mille anni, eppure si mantiene in perfetto stato e il suo sfondo rosso sembra essere stato tinto con il sangue. Quest’oggetto fu un dono portato da una delle Crociate; originariamente serviva al controllo demografico: quando il popolo da cui fu presa arrivava ad un numero prestabilito di abitanti, le donne partorienti venivano legate braccia e gambe sulla panca, in maniera tale da impedire loro di partorire e condannarle, insieme al feto, a morte certa, fra terribili agonie.

Ma torniamo ad Azzurrina, la cui storia non finisce ancora. Facciamo un salto di molti secoli, fino ad arrivare al 1989 quando il castello, inserito tra i monumenti nazionali italiani, viene restaurato e trasformato in museo dai proprietari, la famiglia dei conti Guidi di Bagno, e aperto al pubblico a pagamento. Durante il restauro si sono trovate delle gallerie sotterranee, murate per proteggere dai saccheggi i tesori e gli averi della famiglia. Tutte le stanze sono state riaperte, tranne una che non è più accessibile: danneggiare le mura che circondano quest’atrio, significherebbe mettere in pericolo tutto il castello. Nessuno sa che cosa vi sia all’interno, ma si pensa che Azzurrina possa essere scomparsa proprio in questo luogo.

Il 21 giugno dell’anno successivo, una troupe televisiva RAI gira un documentario all’interno del castello. Le apparecchiature sono sofisticate, tutte le frequenze vengono incise. In sede di studio si procede all’ascolto: tuoni, uno scrosciare violento di pioggia, poi… un suono, una voce. Una voce flebile, leggera, come un pianto confuso tra i rumori di un lontano temporale. Molti dicono subito che è la voce della bambina scomparsa, la voce di Azzurrina.

L’Università di Bologna inizia degli studi approfonditi e riesce nel 1995 a catturare ancora il leggero lamento che si diffonde tra le mura del castello. Questa volta la voce è più limpida e si sente chiaramente chiamare «mamma». Si registra anche il rumore di una palla che rimbalza e il rintocco di campane. Nel 2000 la stessa Università registra ancora i lamenti della piccola, che nella ricorrenza quinquennale della sua scomparsa si aggira nel castello alla ricerca della sua famiglia.

Ai turisti in visita alla Rocca tutte le registrazioni vengono fatte ascoltare, ma le reazioni rimangono tuttora le più diverse, se non addirittura contrastanti: ad alcuni sembra di distinguere un pianto di bambina, ad altri una risata, molti dicono di sentirci una voce, di distinguerci una parola, tanti altri sostengono di non sentirci né più né meno che vento e pioggia nel temporale.

La professoressa Welleda Tiboni, conduttrice del castello negli anni Novanta, narra, commossa, di come una notte è stata svegliata da risa o da pianti infantili, che provenivano dalla corte del castello. Di come tornando, dopo aver fatto delle commissioni, trova un certo signor Gorietti pallido e terrorizzato, seduto nella corte che le racconta di aver visto, mentre faceva le pulizie nella stanza del Forziere del Settecento (la stessa dov’è conservata la panca color rosso sangue), l’ombra di una figura femminile camminare capovolta con i piedi sul soffitto e con i capelli talmente lunghi da sfiorare quasi il pavimento, con gli abiti stranamente attaccati al corpo nonostante la posizione. Apparizione questa, che lascerà dei segni visibili sotto il soppalco di legno proprio sopra il Forziere: delle impronte di piedini «bianco latte» che, nonostante tutti i tentativi per coprirle ricompariranno «ancora più bianche di prima»; solo ora, a distanza di anni iniziano a sbiadirsi, scomparendo lentamente.

Molti di coloro che si sono recati presso il maniero hanno raccontato di aver avuto «visioni» particolari, o particolari percezioni uditive che si sono protratte quasi fino ad un mese dopo la visita di Montebello. Spiccherebbe la storia di Leo Farinelli, il quale dopo aver fatto visita al castello di Montebello insieme alla moglie, riceve per mesi messaggi da Guendalina; anche il professor Cassoli dell’Università di Bologna s’interessa al caso ed alla storia narrata da questo signore. La piccola Guendalina avrebbe seminato, attraverso il Farinelli, tanti piccoli messaggi: innanzi tutto parla in un Quadro (così vengono definite le visioni che Leo Farinelli riceve dalla piccola): «Cerco la mia foto, devo vedermi per andare da Costantino, devo avere la mia immagine per incontrare gli altri, altrimenti non mi vogliono. Non posso andare nel loro mondo, resterò in questo posto che sta nel mezzo, finché non avrò con me il mio salvacondotto… la mia foto per vedermi. Dillo agli altri, a quelli che tu ed io conosciamo, arriverò non appena l’avrò trovata, qui sto bene, non mi manca nulla… Sono sola, senza compagnia come sempre» (10 gennaio 1996). In un messaggio pervenuto dopo ben quattordici anni, la bambina dice: «Dal tempo dei fiori io sarò immagine – …Orabile lo dice – avrò il potere di passare…» (28 settembre 2010). E in un altro ancora dice: «Eccomi», mentre il Farinelli la visualizza «nell’atto di entrare in un portone antico, che era già un po’ aperto e nella fessura che si stava allargando si vedeva solo luce intensa».

La domanda che sorge spontanea a questo punto è questa: siamo di fronte ad una leggenda che è entrata talmente tanto in profondità nelle persone da produrre un delirio collettivo ed una fascinazione tali da «farci produrre» inconsapevolmente «testimonianze» e risultati strumentali in tempi diversi, con modalità diverse e attrezzature diverse oggettivamente riscontrabili? Oppure siamo di fronte ad un fenomeno che sfida le leggi della fisica attualmente conosciute, che supera le barriere dello spazio e del tempo? Lo studio dei dati raccolti fino ad ora, strumentali e non, darebbe sempre più forza all’idea – dicono gli «esperti» del settore – che ci troveremmo di fronte ad una «energia sconosciuta» (termine questo che piace a tutti: in primo luogo, permette di evitare l’uso della parola «fantasma», ritenuta non adeguata alla nostra epoca che pretende di essere razionalista anche se non lo è; in secondo luogo, non dice nulla anche se dà l’impressione di dire, di spiegare tutto); un’energia attribuibile ad una bimba vissuta alla fine del Trecento presso il castello di Montebello, nascosta poiché albina, che si organizza in funzione dell’opportunità, che scatena fenomenologie particolari nei pressi di chi di lì a poco si appresta ad andarla a cercare, che sembra manifestare la necessità psicologica e tipicamente umana di riappropriarsi della propria identità per andare a stare con gli altri. Una forza sconosciuta che si organizza intelligentemente utilizzando tutta l’energia fisica e psichica disponibile in quel momento per «trasmettere» informazioni ottiche ed infra-ottiche con una dovizia di particolari, mai vista prima.

Medium di tutt’Italia giurano di essersi messi in contatto con la bambina, chi tramite la scrittura automatica, chi tramite visioni… ma nessuno di essi, purtroppo, è ancora riuscito a ridarle la pace.

(dicembre 2012)

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