Fantasmi meneghini
Leggende milanesi di fantasmi, spiriti, spettri & affini

Anche a Milano ci sono i fantasmi… anzi, pare che la città ne sia addirittura infestata. Le guide alla «Milano esoterica» si sprecano: ogni via ed ogni angolo della città lombarda raccontano storie di Santi e di nobili, di bottegai e di streghe; e di fantasmi, appunto. Spettri, apparizioni, sussurri ed urla si celano dentro le fessure dei palazzi e nelle strade, in luoghi che i più impressionabili dovrebbero visitare solo di giorno!

Questo è tanto più sorprendente in quanto la città non dà affatto l’idea di un luogo oscuro (men che meno cadente o disabitato), e d’altra parte i Milanesi si sono sempre fatti vanto di essere – e in massima parte è vero – gente pratica e concreta, affidabile, poco propensa a credere ad anime sofferenti che appaiono nelle veglie notturne: certi argomenti potrebbero imbarazzare chi li ascolta e screditare chi li racconta, facendolo passare per pazzo. Eppure, accanto ai fantasmi, per dir così, «ufficiali», canonizzati dalla tradizione, c’è tutta una folta schiera di fantasmi «domestici», anime di defunti che a volte possono confondersi con gli angeli, e di cui le persone parlano solo con gli amici più intimi, sempre per paura d’esser prese per folli, o per lo meno per squilibrate mentali: conosco personalmente alcune di queste persone, e non si tratta certo di visionarie. Andiamo dunque alla ricerca dei fantasmi milanesi (fantasmi «ufficiali», intendo), figure dolenti, sfuggenti o grottesche, senza la pretesa di un elenco completo od esaustivo.


Roghi terreni, fiamme eterne

Nelle notti invernali, quando le strade vengono avvolte da una fitta nebbia, ci si può imbattere in una processione di anime disperate. Sono gli spettri dei catari, arsi vivi in Corso Monforte per volere di Ariberto di Intimiano.

I catari erano un movimento religioso di ispirazione cristiana, ma di dottrina dualista che accentuava il tema della lotta tra Dio e Satana. Considerati eretici dalla Chiesa Cattolica di Roma, furono spesso perseguitati. Questo avvenne anche da parte di Ariberto, Arcivescovo di Milano, che nel 1028 si accanì e processò i catari che vivevano a Monforte d’Alba, presso Cuneo. Dopo averli portati a Milano, Ariberto fece piantare una grande croce da un lato della strada ed appiccare un rogo dall’altro lato. Impose ai catari di scegliere tra il Credo Cattolico di Roma o le fiamme eterne. I catari scelsero il rogo, e l’eterna dannazione.


Giovani donne malinconiche e dolenti

Sono molti gli spiriti di giovani donne che si aggirano tra le case della metropoli lombarda. Un’antica storia risale alla seconda metà del XIV secolo e riguarda Bernarda, figlia naturale di Bernabò Visconti. Rinchiusa nella Rocchetta di Porta Nuova per adulterio, Bernarda morì dopo pochi mesi per riapparire più volte come fantasma, prima a Bologna e poi nel chiostro di Santa Radegonda a Milano. Il padre, da buon Milanese concreto, pensò più semplicemente che la figlia fosse riuscita a fuggire. Fece riesumare il cadavere e svolse accurate indagini, ma il mistero rimase.

Un fantasma «eccellente» è quello di Lucrezia Borgia, che nell’immaginario popolare divenne l’incarnazione della malvagità femminile e bisognò aspettare il XIX secolo perché fosse considerata semplicemente per quel che era: una vittima dei familiari e del suo tempo. Lucrezia era figlia illegittima del Cardinale Rodrigo Borgia, che diventò Papa nel 1492 con il nome di Alessandro VI, e della gestrice di locande Vannozza Cattanei. Ad appena tredici anni di età, Lucrezia fu avviata (come si usava allora) ad una «carriera matrimoniale» manovrata da due registi senza scrupoli: suo padre e suo fratello, Cesare detto il Valentino. Le malelingue del tempo l’accusavano di abbandonarsi ad orge incestuose col padre, il marito, gli amanti (ne ebbe tre), e di essere una spietata avvelenatrice. Morì ad appena trentanove anni, per le complicanze dovute ad un parto, già sfiancata da almeno otto figli. Oggi, il suo spirito si aggira nottetempo per la Pinacoteca Ambrosiana (Piazza Pio XI, numero 2): in una delle stanze del museo si trova, infatti, una ciocca dei suoi capelli di cui lei aveva fatto dono, come pegno d’amore, a Pietro Bembo; i capelli biondi, contenuti nella teca, sono ancora straordinariamente morbidi, integri e lucenti: sembra che lo spettro di Lucrezia ne abbia estrema cura, lavandoli e pettinandoli ogni notte.

Al numero civico 7 di Via Broletto sorge il Palazzo Carmagnola che ospitò Cecilia Gallerani, amante del Duca Ludovico Sforza detto il Moro. Cecilia viene ricordata soprattutto per aver posato in un dipinto di Leonardo da Vinci, la famosa Dama con l’ermellino (che in realtà non è un ermellino, ma un furetto). Trovandosi nella via ed alzando lo sguardo verso l’alto, si può scorgere la figura del fantasma di Cecilia che si affaccia in vestaglia bianca in attesa del suo amato. (Un aneddoto: Leonardo da Vinci era noto perché dipingeva non solo con i pennelli, ma anche con le nude mani. Recenti indagini hanno così permesso di scoprire, «intrappolate» nella pittura ad olio, impronte digitali parziali del sommo artista).

Risale all’Ottocento romantico la storia della bellissima Antonietta Fagnani Arese che compariva nelle notti di luna al balcone di Palazzo Arese in Corso Venezia; la storia è piuttosto vaga, ma ha i suoi segreti cultori: quando dopo l’ultima guerra Palazzo Arese è stato demolito, qualcuno ha salvato uno dei suoi balconi neoclassici e l’ha ricollocato sulla nuova facciata moderna, forse sperando nel perpetuarsi delle apparizioni.


Ossa, scheletri ed altre «piacevolezze» del genere

Nel Seicento, i fantasmi si presentavano come scheletri che si divertivano a disegnare ogni loro parte (anche l’«ossatura di stomaco») sulle panche impolverate della chiesa, e che potevano essere fatti sparire con alcune Messe solenni di suffragio. La storia è raccontata da Carlo Torre, che la visse in prima persona nella sua chiesa di San Nazaro in Brolo: «Ma non potrei partirmi da questa moderna Fabbrica [la cappella di San Matroniano], se prima non vi narrassi un avvenuto prodigio nello smantellare dell’antica Cappella. Eransi qui dinanzi radunate tutte quelle panche da voi vedute ora disposte in determinati siti, per rendere disimpacciata la Chiesa al lavorio, che si faceva per la nuova Erezione, quando al disfacimento delle vecchie muraglie videsi distesa per ogni dilungata sedia gran massa di polvere, atta à ricevere qualsisia impronta d’appoggiato oggetto: una mattina all’aprire della Chiesa furono osservate nelle polverose panche varie forme di disuniti Scheletri d’umane persone, quivi dimorando una coscia, ivi dilungandosi una gamba, in altro sito veggendosi sdentata una faccia, poco distante riposandosi ravvoltato teschio, più da vicino allargandosi una spalla con il braccio contiguo, per un lato mirandosi un’ossatura di stomaco, tenendosi appresso distesa una schiena, doveché da sagge persone contemplata scena si lugubre, tennesi per prodigioso successo; fecersi coteste figure visitare da periti disegnatori, se mai con grande astuta vi havesse l’arte per ingannar gli occhi trafficata sua mano, fu conchiuso non potere umano ingegno giungere a delineamenti così perfetti: mentre stavasi considerando il fatto, quasiché non desiderasse memorabile la Fama, benché si fosse prodigioso, dispersesi ogni forma apparsa, lasciando per autentico raccordo, che tien poca durevolezza ciocche vien registrato nella polvere. Considerate voi se tal accidente hebbe ardire di paventare tutti noi Calonaci, e me in particolare; s’impiegassimo subito in pubblici solenni suffragij, giudicando, che gli spiriti di que’ raffreddati Carcami n’havessero d’uopo; suffragati, che si furono, niuna altra novità mai più si vide».

Un’altra leggenda narra che, nella cappella delle ossa della chiesa di San Bernardino (in Piazza Santo Stefano), ci sia lo scheletro di una bambina. Si trova all’interno dell’altare e, durante la notte della commemorazione dei defunti, la fanciulla prende vita portando con sé tutti gli altri scheletri della chiesa che si ricompongono miracolosamente. Insieme iniziano una danza in mezzo alla cappella: si dice che il rumore delle ossa degli scheletri danzanti sia chiaramente udibile anche al di fuori della cappella.

Accanto a San Bernardino, si trova la basilica di Santo Stefano dove di notte si possono invece udire le urla di un uomo che è stato murato vivo nel campanile.


Pessimi individui

Molti fantasmi, ovviamente, erano in vita uomini malvagi, o presunti malvagi.

Il fantasma di Carlo Sala si aggira nei dintorni del suo luogo di sepoltura, che si trovava dalle parti del Foppone di Porta Vercellina, oggi Piazza Aquileia. Carlo Sala era stato giustiziato in Corso di Porta Tosa (oggi Verziere) il 25 novembre 1775 come ladro sacrilego per aver spogliato trentotto chiese nelle campagne del Milanese. Poiché in punto di morte non aveva voluto dar segni di pentimento, venne sepolto in luogo sconsacrato. La ferma resistenza opposta dal condannato alla conversione e all’assunzione dei Sacramenti fece grande scalpore: tranne alcuni miscredenti, tutti pensarono che la sua anima sarebbe stata certamente dannata. Per questo quel luogo per molto tempo fu infestato dal suo spettro: in seguito, l’avanzata di case e strade nella zona ha cancellato il ricordo di quella paura.

Nel Palazzo Carmagnola di Via Broletto dove si trova Cecilia Gallerani, ci si può anche imbattere nella figura tormentata di Giuseppe Prina, che fu designato da Napoleone come Ministro delle Finanze italiano. Mentre giungevano notizie dello sgretolamento dell’Impero Napoleonico e cresceva la voglia di indipendenza, cominciarono a comparire nelle strade cartelli minacciosi: «PRINA! PRINA! IL GIORNO S’AVVICINA!». Napoleone abdicò nel 1814 e quando la notizia giunse a Milano, un gruppo di ribelli organizzò una sommossa ricordata come la «Battaglia delle Ombrelle»: una folla di rivoltosi irruppe in Senato alla ricerca dell’odiato Ministro Prina e, non trovandolo, si diresse al suo palazzo in Via Broletto. Lui si era nascosto dentro un armadio, ma fu tutto inutile: fu picchiato, denudato e gettato dalla finestra. Ancora vivo, cercò di fuggire, ma fu raggiunto ed accerchiato nella vicina Piazza della Scala. I cittadini, accecati dalla rabbia, lo colpirono con le punte di ferro dei loro ombrelli; nessuno corse in suo aiuto e nessuno tentò di ostacolare il linciaggio con gli ombrelli, tanto che quattro ore dopo, quando l’odio fu sedato, del corpo di Giovanni Prina non restava che un’irriconoscibile poltiglia.

Un altro edificio di Via Broletto che si discosta dalle storie di fantasmi, ma sicuramente narra una vicenda macabra, è la chiesa di San Tomaso «in terra mala». Questo curioso nome deriva dal fatto che nella zona, al tempo delle persecuzioni romane, i Cristiani venivano torturati ed uccisi. Invece, una leggenda racconta che un tempo un parroco, a causa della sua avarizia, si rifiutò di celebrare il funerale di un uomo la cui famiglia non poteva permettersi di pagarlo. Il caso vuole che il Duca Giovanni Maria Visconti, passando a cavallo, scorgesse la povera vedova in lacrime. Venuto a conoscenza dell’accaduto, pagò egli stesso il funerale ed ingaggiò lo stesso sacerdote meditando vendetta. Quando la bara fu calata nella fossa, Giovanni Maria ordinò al prete di entrare nella cassa insieme al morto. L’uomo di Chiesa cercò soccorso nella folla, ma tutti conoscevano la sua avarizia e nessuno intercedé per lui. Fu così sepolto vivo e quel luogo prese il nome di «terra amara». Quando, in seguito, in quella zona fu eretta una chiesa, prese il nome di San Tomaso in Terra Mala.


Uno spettro gentile

Non sempre i fantasmi sono figure dolenti, che urlano e strepitano o tormentano il sonno dei viventi. Fu gentile lo spirito di Tommaso Marino, quando offrì tre numeri da giocare al lotto al bisnonno dell’architetto Paolo Mezzanotte. I numeri erano comparsi in sogno sotto la cornice dell’antico ritratto del banchiere che era esposto nella sagrestia di San Marco. Non essendo certo di averli letti bene, andò due giorni dopo a controllare e, sollevando la cornice, lesse chiaramente: 62-44-56. Purtroppo, dopo averli giocati per due sabati, non riuscì a giocarli per la terza volta quando naturalmente uscirono (tutti sanno che i numeri apparsi in sogno vanno giocati per tre volte consecutivamente!). Più tardi, per convincere gli amici increduli della sua storia, andò con loro in San Marco, ma i numeri sotto il ritratto erano scomparsi. Oggi anche il ritratto è scomparso dalla sagrestia: lo tiene al sicuro il parroco, per sottrarlo all’eccessiva curiosità dei giocatori.


Un castello molto… «occupato»

Ogni castello, di regola, dovrebbe avere un proprio fantasma, ma il Castello Sforzesco di Milano concentra tra le sue mura e nel circondario un numero impressionante di strane apparizioni.

Il 20 ottobre 1526, Bianca Maria Scapardone Visconti, contessa di Challant, venne fatta decapitare davanti al castello. Bianca aveva diversi amanti, tra i quali Ardizzino Valperga che un giorno ebbe l’ardire di irriderla in pubblico per la curiosa forma di una voglia che aveva sul corpo. L’oltraggio doveva essere pagato con la vita dell’uomo e la contessa ingaggiò un altro suo amante, Pietro Cardona, per perpetrare l’assassinio. Pietro ubbidì e raccolse il sangue di Ardizzino in un’anfora facendone dono a Bianca. Quando si scoprì l’accaduto, la contessa fu condannata a morte. Da allora, nel giorno della ricorrenza della sua decapitazione, si può vedere il suo spettro avvolto in un mantello bianco mentre beve il sangue da un’anfora; dopo un po’, la testa le cade dal collo rotolando a terra in schizzi di sangue. (Si dice che il Luini abbia raffigurato la contessa Maria Bianca Scapardone tra gli affreschi della chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore: nella cappella Besozzi, il volto di Santa Caterina avrebbe in realtà i tratti fisionomici della contessa).

All’interno dei vasti saloni del castello, ci si può imbattere nelle eteree figure di Ludovico il Moro (1452-1508), di Isabella d’Aragona (1470-1524) promessa in sposa all’età di due anni a Gian Galeazzo Sforza, e di Beatrice d’Este (1475-1497) che morì nel castello dando alla luce un bambino morto.

Invece, restando al di fuori delle mura, può capitare di scorgere la figura della duchessa Bona di Savoia (1449-1503) con le sembianze di un teschio affacciarsi da una delle finestre e sentirla urlare straziandosi di dolore per l’assassinio del marito Galeazzo Maria Sforza.

Un fantasma che gode di larga notorietà a Milano, è la Dama Velata, o Fantasma del Parco Sempione che si apre dietro al Castello Sforzesco. Alla fine dell’Ottocento comparve più volte nei pressi del Parco Sempione, all’angolo con Via Paleocapa, una donna profumata di violetta; sebbene coperta da un velo nero che la nascondeva dalla testa ai piedi, non era difficile indovinare le sue bellissime fattezze. Nelle fredde notti di nebbia, ella invitava con un cenno i giovani a seguirla per i viali del Parco finché, dopo lunghi giri, li faceva entrare in una villa elegantemente arredata, ma deserta e completamente ricoperta di parati di velluto nero. Qui, dopo aver danzato al suono di una musica misteriosa, la silenziosa donna si spogliava rivelando, al posto di un giovane volto, un macabro teschio. Chi è riuscito a fuggire, o è impazzito o non è mai riuscito a ritrovare la misteriosa villa dove era stato portato. A tutt’oggi nessuno sa chi sia in realtà la Dama Velata né che cosa voglia da noi.


Il fantasma dell’Opera

Anche quel tempio mondiale della lirica che è La Scala ha il suo fantasma, e che fantasma: nientedimeno che la «divina» Maria Callas, la più grande cantante lirica di tutti i tempi. Genio e follia, si sa, vanno spesso a braccetto; la Callas, come capita spesso alle dive, aveva un carattere viziato ed irruento: se il pubblico non mostrava di gradire in modo appropriato le sue performance, lei mollava a metà un’opera e se ne andava via (lo stesso fece nel 2005 il tenore Alagna che, fischiato, abbandonò a metà l’Aida andando a prendere la metropolitana col costume di scena da antico Egizio, lasciando il suo sostituto a cantare sul palco in giacca, cravatta e jeans). Accadde che, durante una sua esibizione alla Scala, Maria Callas fu fischiata dalla platea e dai loggioni: lei s’infuriò, ma prima di lasciare il palco si vendicò lanciando una maledizione sul pubblico. Ora, il suo fantasma si aggira per il teatro spaventando chiunque si rechi ad assistere agli spettacoli senza intendersi minimamente di musica lirica.


La dama in nero

Anche il Duomo ha il suo fantasma che vaga sconsolato, e che potrebbe guastare quello che per molti è il giorno più felice della vita: quello del proprio matrimonio! È capitato a diversi fotografi di scattare una foto a una coppia di sposi dopo la cerimonia nuziale sulla porta del Duomo e successivamente di scorgere dietro di loro la presenza di una donna sconosciuta vestita di nero e con gli occhi bianchi privi di pupille.

Questa misteriosa figura è il fantasma di una certa Carlina, originaria della pieve di Schignano, nei pressi di Como. Nel piccolo paese era in voga l’antica usanza di far vestire le spose a lutto, completamente avvolte nella seta nera, per ingannare gli uomini del feudatario del luogo che si arrogava il famigerato «jus primae noctis» (il diritto di consumare la prima notte di nozze con le giovani appena sposate).

In una fredda e nebbiosa giornata di ottobre Carlina si sposò con il suo Renzino avvolta nel suo abito nero e partirono per Milano per il viaggio di nozze; la giovane donna era felice, ma allo stesso tempo angosciata: aveva nascosto al marito un rapporto di una sola notte avuto l’estate precedente con un biondo forestiero. Per questo non riusciva a darsi pace, anche se era convinta che il matrimonio con il buon Renzino avrebbe finito per farle dimenticare il suo peccato.

I novelli sposi decisero di salire sulla cima del Duomo per ammirare più da vicino la «Madunina». Lassù, tra le guglie ammantate dalla nebbia, spuntavano via via le statue dei Santi che cominciarono ad inquietare e turbare la povera Carlina, che iniziò a correre. Non sopportava gli sguardi accusatori delle statue che erano sicuramente a conoscenza del suo terribile segreto: oltretutto, aveva scoperto che il frutto del suo peccato non poteva più essere nascosto perché le cresceva nel grembo. Carlina aveva stabilito di non dire nulla al futuro sposo e di fargli credere che quel figlio fosse suo, ma quel luogo suggestivo e silenzioso vicino al cielo dove nella foschia comparivano sagome inquietanti la spaventò a tal punto, che lasciò la mano del giovane marito e cominciò a correre a perdifiato tra le statue urlando angosciata, forse per la vergogna, forse per la sua colpa.

Il muro di nebbia non le permise di vedere che il tetto del Duomo era terminato. Renzino la vide cadere nel vuoto nel suo nero vestito. Il suo corpo fu cercato in lungo e in largo, ma non venne mai trovato; il suo spirito disperato appare ancora oggi nelle fotografie di sposi sorridenti: sono molte le testimonianze che raccontano dell’inquietante figura vestita di nero con gli occhi bianchi che appare nelle foto alle spalle dei novelli sposi che escono dal Duomo.

E, per finire, si può ricordare che tra le due guerre vennero raccolte parecchie storie di apparizioni misteriose nella zona Vittoria-Taliedo, presso la chiesa del Suffragio, la Senavra e lo stabilimento Caproni. Poi venne costruita la Tangenziale Est e le apparizioni cessarono.

(novembre 2013)

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