Un fiore denominato «Occhi della Madonna»
Anche i fiori, in passato, venivano usati per l’insegnamento, la riflessione e la catechesi

Con il migrare del tempo la spiritualità mariana si è estesa sovente anche a una contemplazione della natura, espressione di Dio Padre e Creatore. Presso un santuario situato nella città di Bra (provincia di Cuneo) si venera la Madre di Dio con il titolo di «Madonna dei Fiori». Al riguardo c’è una storia che desta interesse. A Bra, il 29 dicembre del 1336, una giovane donna incinta (Egidia Mathis) viene minacciata di violenza da parte di mercenari (Compagnia di ventura). Prega una vicina immagine di Maria. A un certo punto appare la Madonna. Gli aggressori fuggono.[1] In seguito la donna partorisce. Nel frattempo, malgrado la stagione invernale, i cespugli di pruno selvatico fioriscono all’improvviso. Ancora oggi, ogni anno, in pieno inverno, continuano a fiorire. Su questo fatto non ci sono spiegazioni scientifiche.[2]

Dipinto della Madonna dei Fiori

Dipinto della Madonna dei Fiori (Bra)

Fiori ed erbe dedicati alla Madonna

Oltre a questi episodi occorre aggiungere un ulteriore dato informativo. In talune zone verdi, si è voluto attribuire anche a dei fiori o a delle erbe dei nomi capaci di richiamare in qualche modo la figura della Madre di Dio. Si pensi, ad esempio, al «Gelsomino della Madonna» (il filadelfo), oppure alla «Dicentra spectabilis», più conosciuta come «Cuor di Maria». È una pianta bulbosa della famiglia delle Fumariaceae. Originaria del Giappone, pur essendo una pianta perenne, è di frequente coltivata come annuale.

Altro caso significativo riguarda il «Sedum telephium» o «Erba della Madonna». È una pianta succulenta perenne della famiglia delle Crassulaceae dell’Asia, diffusa anche in Cina, Corea, Giappone e in Europa. L’«Erba della Madonna» è una pianta grassa, perenne, a portamento cespitoso, alta in media circa 50 centimetri, provvista di radice fascicolata.

Certamente, in questi casi, colpisce l’uso di un linguaggio semplice, immediato, non mirato a esporre aspetti di un patrimonio dottrinale (come è avvenuto in alcuni canti mariani). Però, proprio la semplicità di talune espressioni attesta una filialità spontanea (quindi autentica) verso la Vergine, segnata dalla gioia e dall’osservazione di tutto ciò che è bello.

In questo saggio si annota un esempio che riguarda dei fiori azzurri molto piccoli. Colorano i prati durante tutto l’anno. Il loro nome scientifico è «Veronica persica»[3]. Sono noti come «Occhi della Madonna». Infatti, la particolare colorazione ricorda molto un’iride celeste. Da qui, l’associazione con gli occhi della Santa Vergine.

Veronica Persica

Veronica Persica (Occhi della Madonna)

Caratteri del fiore

La «Veronica persica» è una particolare varietà di «Veronica». Questa, è una pianta erbacea che conta circa 500 specie. Di questi fiori azzurri i quattro petali sono in realtà quattro lobi, perché i due petali superiori sono fusi insieme. Variano il loro colore dal bianco all’azzurro fino al viola intenso. Di solito uno dei quattro petali è leggermente più piccolo e più chiaro. Le loro foglioline sono pelose e frastagliate. Una caratteristica di questa pianta: appena i fiori vengono sfiorati, la corolla si stacca e cade. Questo tipo di fiore vive soprattutto nei prati, ai margini dei boschi e in zone molto azotate.


Il nome «Veronica»

«Veronica» è una forma latina del nome greco antico «Pherenike», «Berenìke» che, composto da «phero» («portare») e «nike» («vittoria») vuol dire «portatrice di vittoria».

1) Sul piano dell’origine, la corretta forma latina era – comunque – «Bernice», da cui l’attuale Berenice, mentre «Veronica» si ottenne alterando il nome per associazione con l’espressione ecclesiastica latina «vera icona» («vera immagine»), con un diretto riferimento al velo della Veronica (ove era impresso il Volto del Cristo).

2) Quella della Veronica rimane una figura femminile (priva di riscontri evangelici) che una pia tradizione ha voluto inserire nel racconto della Passione di Cristo. Questa donna si avvicinò a Gesù caduto in terra, e volle poggiare un panno sul suo Volto sanguinante. Era un modo pietoso per alleviare delle sofferenze. Tale azione – essendo animata da carità – sanò, secondo la leggenda, le ferite del Figlio di Dio.

3) Non manca però anche chi si avvicina ad altre interpretazioni. In pratica, si fa risalire il nome Veronica al latino «vera et unica».

4) Per alcuni studiosi, il fiore è forse dedicato a Santa Veronica, protettrice della Francia, dei fotografi e delle lavandaie (12 luglio).


I volatili e la Veronica

Diverse leggende sono collegate ai vari tipi di «Veronica». Una tradizione orale riferisce, ad esempio, che gli uccelli siano talmente innamorati di questi fiori che chiunque li danneggi rischia di essere beccato negli occhi. Dietro a questo racconto si individua un’idea di custodia che proviene dall’alto. In pratica: ciò che rappresenta un qualcosa di significativo è protetto dalla stessa natura.


Il linguaggio dei fiori

Pure i fiori hanno un proprio linguaggio. Ad esempio le rose: rosse (passione), bianche (bellezza e virtù), gialle (gelosia). E anche: i girasoli (sussiego o rispetto), la margherita (innocenza), l’iris (rappresenta un messaggio inviato), la viola (pensieri), il tulipano (riguardo), un filo di edera (fedeltà), i gigli (purezza), le violette (il perdono), le calendule (pentimento). Nel linguaggio floreale «Veronica» significa «addio». In periodi pregressi si era soliti regalare una «Veronica» a chi stava per partire. Si faceva quindi affidamento agli «occhi» di realtà superiori all’essere umano, confidando nella loro capacità di vegliare e di seguire la persona cara che si allontanava da casa.[4]


In ambito classificatorio: la distinzione con Myosotis

Il nome del fiore «Veronica» non è da confondere con quello del «Myosotis alpestris», o con l’«Edera terrestre» (la «Glechoma hederacea»). Il «Myosotis», in particolare, è noto come «Non ti scordar di me», ed è legato a un’altra storia. In epoca medievale, un cavaliere raccoglieva fiori per l’amata. Si trovava nei pressi di un fiume. All’improvviso scivola e cade in acqua con la sua armatura. Prima di affogare grida alla donna di non dimenticarlo («Non ti scordar di me»).


Sul piano terapeutico (Veronica officinalis)

Al di là del racconto apocrifo visto prima, è stato comunque accertato che la «Veronica officinalis» ha proprietà antinfiammatorie e antibatteriche utili per le vie respiratorie, per i reni e per la pelle. I principi attivi sono la veronicina, l’olio essenziale, i tannini, acidi organici e piccole quantità di glucosidi. Nel XIX secolo era considerata una panacea per la tosse e catarri bronchiali, l’asma e disturbi urinari, le malattie del fegato, i reumatismi e perfino la tisi. In Francia tale pianta era nota come «Herbe-aux-ladres», cioè «erba dei lebbrosi». Serviva per applicazioni medicamentose sulla pelle (da qui il collegamento con il panno della Veronica poggiato sulla pelle del Cristo).

Oggi la Veronica è usata come tisana. Stimola l’appetito, favorisce la digestione. Esercita una blanda azione depuratrice. Ha giovamento in caso di tosse e disturbi da raffreddamento. Per uso esterno la Veronica viene impiegata in caso di irritazioni della bocca e della gola come afte gengiviti e stomatiti tonsilliti. In dermocosmesi l’infuso viene utilizzato per applicazioni locali contro pruriti persistenti. Si usa anche come oftalmico contro le infiammazioni e l’affaticamento degli occhi.


Una curiosità

L’abitudine a utilizzare l’infuso della Veronica, chiamato tè svizzero, si sparse alla fine del XVII secolo. Tale scelta era motivata dal fatto che in quell’epoca il tè cinese era molto costoso. La sua diffusione si ebbe a opera del medico farmacologo Frederich Hoffmann[5].


La leggenda religiosa legata alla Veronica persica

Nel contesto fin qui delineato, lo storico cerca di esaminare quei documenti che aiutano a rispondere a un interrogativo. Perché i fiori di «Veronica persica» sono chiamati «Occhi della Madonna»? La risposta è legata a un racconto che qui di seguito si riporta.

«Una dolce mattina, nel Malcantone[6], discese la Madonna col bambino, per godersi la nostra primavera. La Madonna passeggiava lungo un sentierino pianeggiante, invigilando[7] il figlioletto, che correva felice tra l’erba e i fiori.

Dopo un po’, il piccolo Gesù ebbe sete e domandò da bere. La madre si guardò attorno, tese l’orecchio, ma non scorreva un filo d’acqua. Già stava per prendersi in braccio la sua creaturina e risalire ai cieli, quando le si offerse allo sguardo un bianco fiorellino che, all’ombra d’un blocco erratico, quasi non osava mostrarsi.

La Madonna s’avvicinò all’intirizzito fiore, lo colse e vide dentro quel pallore una gocciola di rugiada, che sprizzò una luce di diamante. Accostò la corolla a mo’ di minuscola coppa alle labbrucce del piccolo, perché sorbissero quella stilla. Gesù bambino s’ebbe spenta la sete e riprese le sue corserelle nei prati. La Vergine confortò d’uno sguardo il povero fiore, che abbandonava il capino sullo stelo.

Lo riportò all’ombra del masso, riattaccandolo miracolosamente al gambo. Tosto la corolla si drizzò e divenne azzurrina come l’iride della Madonna, cui aveva per un istante fissato. E tutti i fiori di quella specie, tinsero i bianchi petali di delicato azzurro. Da allora, nel Malcantone, le veroniche sono chiamate “occhietti della Madonna”; guardano a primavera dalle siepi, dai margini dei ruscelli, dalle prode[8], fiori sacri all’alma madre dei cieli».[9]


Alcune considerazioni di sintesi

Nell’attuale periodo una storia leggendaria, quale quella legata «agli occhi della Madonna» («Veronica persica»), può sembrare esulare da dinamiche contemporanee ove la comunicazione segue altre regole e diverse forme espressive. Malgrado ciò, è proprio compito dello storico richiamare tre aspetti legati alla vicenda del fiore di campo qui esaminato. Si tratta in particolare: 1) del racconto in chiave sociale, 2) della catechesi con fine educativo, e 3) dell’accompagnamento capace di «far guardare», «far osservare», «far riflettere».


Il racconto in chiave sociale

In epoche ove non esistevano gli attuali media, si cercava di trovare dei modi per animare in qualche modo dei momenti di aggregazione. Questi, rivolgevano una particolare attenzione soprattutto ai piccoli. Era infatti utile intrattenerli con qualcosa che potesse stimolare la loro curiosità e l’immediatezza di una osservazione, di una constatazione. In tale contesto il racconto di storie lontane ma avvincenti risultò un modo molto concreto per riunire le persone e per trasmettere un mondo di emozioni. Tale fatto, oltre a essere pratico, aveva un altro pregio: quello di far apprezzare le realtà belle e di collegarle al Creato, quindi a Dio.


La catechesi con fine educativo

Nelle litanie lauretane, che si recitano alla fine del Rosario, la Madonna è onorata anche con il titolo di «Rosa mistica». Con tale espressione medievale si vuole sottolineare che la Persona di Maria è caratterizzata da una bellezza («Rosa») che deriva dalla Sua unione spirituale con il Figlio Gesù (una interazione «mistica»).

Evidentemente tale espressione era molto in uso in comunità religiose e tra fedeli che avevano una certa formazione cristiana. Con i piccoli, gli adolescenti, gli analfabeti, si volle, però, seguire un altro percorso. E si utilizzò un tipo di insegnamento (catechesi) capace di favorire un percorso educativo. Tale scelta utilizzò, ad esempio, i grandi affreschi delle chiese che rappresentavano scene dell’Antico e del Nuovo Testamento (la cosiddetta «Bibbia dei poveri»), ma anche aspetti della natura.

Nascono da qui vari racconti. Si pensi alla leggenda del pettirosso (che cerca di togliere una spina a Cristo Crocifisso), o al mulo che si piega in presenza del Santissimo Sacramento, o agli uccelli che ascoltano la predica di San Francesco. Ma non sono solo gli animali a ricondurre la mente degli ascoltatori verso realtà religiose (Passione di Cristo, Presenza reale di Gesù nell’ostia consacrata, attenzione della natura verso i testimoni della fede). Ci sono anche i fiori.

In tale contesto, i fiori a cui sono stati attribuiti nomi che si richiamano alla Madonna sviluppano in modo popolare un insegnamento specifico. Maria è Colei che è presente in mezzo ai Suoi figli. È una Donna che può comprendere gli stati d’animo di ogni madre. Sa stare accanto in modo dolce. Non rimane spettatrice delle vicende dei suoi figli, ma sa intervenire quando è necessario proteggere chi è in difficoltà, in pericolo.

Tale insegnamento è rimasto radicato nel cuore dei fedeli. Per tale motivo alcuni artisti hanno voluto accentuare il ruolo protettivo di Maria anche in forma molto realistica. Si pensi, ad esempio, alla statua della Madonna che tiene un randello in mano per difendere dei fanciulli dall’assalto del maligno.


L’accompagnamento capace di far guardare, osservare, riflettere

Nel contesto delineato esiste, ancora, un terzo aspetto che si collega ai fiori. A ben vedere, si dovrebbe partire dal Vangelo perché nel testo di Matteo il Signore Gesù insegna ai Suoi discepoli a guardare i fiori dei campi.

Il passo esatto è il seguente: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?» (Vangelo secondo Matteo 6, 26-30).

In questo passo evangelico l’insegnamento è evidente: occorre guardarsi intorno e riflettere sull’azione di Dio, sulla Sua bontà e onnipotenza.

Tale messaggio rimane a tutt’oggi di particolare attualità. Le scadenze di ogni giorno, le salite da affrontare, le ore di scoraggiamento, l’esperienza stessa del limite umano, costituiscono un insieme di «provocazioni» che non sempre aiutano «a fermarsi». Le soste, nell’esodo quotidiano, rimangono solo delle pause momentanee. Eppure, anche le soste possono costituire – nel Disegno divino – un’ora di Grazia. Esse contribuiscono «ad alzare il capo». A guardare «oltre». A «osservare» l’insieme e non solo un dettaglio. Le novità non riconosciute e disattese. A riflettere sul valore del tempo.

A Lourdes si insegna che il primo «miracolo» della Madonna è quello di «fermare» l’uomo «che corre». Se un fedele non si ferma non può riflettere sulla propria vita. Sul rapporto con Dio. Ecco perché anche dei fiori – pur in un modo molto semplice – possono aiutare «a respirare» in modo diverso. Pensando a Maria il respiro diventa meno affannoso. E anche l’«io» guerriero è messo da parte.


Note

1 M. Centini, Le apparizioni della Madonna. Lourdes, Fatima, Medjugorje, De Vecchi, Firenze 2000.

2 Sono stati compiuti vari studi sul fenomeno della fioritura del pruneto: Lorenzo Roberto (1817; chimico e agronomo di Alba), Professor Giuseppe Lanvini (1882), Franco Montacchini (1974; poi direttore dell’Orto Botanico dell’Università di Torino), Augusto Béguinot (botanico; 1875-1940).

3 «Veronica L. 1753» è un genere di piante angiosperme dicotiledoni. I fiori vengono chiamati comunemente «Occhi della Madonna». L’epiteto specifico («persica») si collega alla Persia (oggi Iran), da cui provenivano i campioni su cui venne istituita la specie. Il nome scientifico della specie è stato definito dal botanico ed esploratore francese Jean Louis Marie Poiret (1755-1834) nella pubblicazione «Encyclopedie Methodique. Botanique. Paris» («Encyclopedie» 8: 542. 1808) del 1808.

4 Charlotte de Latour, Il linguaggio dei fiori, Olschki, Firenze 2008.

5 Friedrich Hoffmann (1660-1742).

6 Il Malcantone è una regione geografica del Cantone Ticino. Delimitata a Nord e a Ovest dai monti Tamaro, Gradiccioli, Magno, Poncione di Breno e Lema. A Est dalla valle del Vedeggio. E a Sud dal lago di Lugano e dal fiume Tresa. Viene distinta in Basso, Medio e Alto Malcantone.

7 Sorvegliando.

8 Dalle sponde dei corsi d’acqua.

9 Testo recuperato da Virgilio Chiesa. Pubblicato in: L’anima del villaggio, Gaggini, Lugano 1934.


Per saperne di più

G. Galetti, Abruzzo in fiore: ambienti e flora montana della regione dei parchi, Orona-Caramanico Terme, Menabò-Majambiente, 2008

E. T. La Stella, Santi e fanti. Dizionario dei nomi di persona, Zanichelli, Bologna 2009

M. Pastoureau, Medioevo Simbolico, Laterza, Bari 2009

S. Piccolo Paci, Rosa sine spina. I fiori simbolo di Maria tra arte e mistica, Àncora, Milano 2015

S. Pignatti, Flora d’Italia, volume secondo, Edagricole, Bologna 1982.

(ottobre 2021)

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