Storia della scarpa
Un capo d’abbigliamento dalle origini ignote. Con alcuni aneddoti curiosi

Le usiamo ogni giorno, da quando scendiamo dal letto la mattina a quando ci corichiamo a letto la sera; le scegliamo con cura, controllando l’aspetto estetico non meno che la comodità d’uso. I negozi specializzati nella loro vendita sono impregnati del caratteristico profumo di pelle e di cuoio, intenso ma niente affatto sgradevole. Sono le scarpe, oggetto d’uso quotidiano ma anche simboli di piaceri «proibiti»: gli Ungari (antenati degli Ungheresi) consideravano le scarpe simbolo erotico femminile per eccellenza, e per i feticisti quelle col tacco a spillo divengono una sorta di perversa divinità. Possono essere anche una droga: «shoesolik» si chiama negli Stati Uniti il disturbo di chi ha più di 60 paia di scarpe, una dipendenza nel senso letterale del termine; vi sono persone che nelle loro case hanno un’intera stanza dedicata esclusivamente alle scarpe.

Eppure, non ci è possibile sapere quando e perché gli uomini abbiano cominciato a indossare dei calzari. Per milioni di anni vissero scalzi senza alcun problema perché l’epidermide indurita, al di sotto del piede, preservava dal dolore e poteva persino rendere innocue le punture degli scorpioni; vi sono ancor oggi popoli cosiddetti «primitivi» che adoperano cappelli e vesti, ma vanno in giro scalzi (e non solo «primitivi»; una volta chiesi ad alcuni giovani boliviani se preferivano strade di terra battuta o d’asfalto: mi risposero le prime perché «ci si può camminare a piedi nudi»). Le ipotesi sul perché a un certo momento gli uomini e le donne hanno cominciato a sentire il bisogno di coprire il piede sono varie, e tutte potrebbero avere una loro validità: potrebbe aver influito in alcune regioni il rigore del clima, in altre la caccia o la necessità di andare per terreni aspri, infine – perché no? – anche il gusto di adornarsi, magari durante i giorni di festa o le cerimonie religiose. Probabilmente, fu una somma di due o più di questi fattori. Resta il fatto che le prime tracce di calzature risalgono a circa 40.000 anni fa, quando l’uomo anatomicamente moderno si era già diffuso in tutto il pianeta: si trattava di suole di legno o di pelle non conciata che coprivano la sola palma, e che erano legate al piede con stringhe di pelle o fibre tessili. Poi, pian piano, si diversificarono. Ötzi, l’uomo ritrovato sulle Alpi Venoste a 3.210 metri d’altezza nei pressi del rifugio Similaun, vissuto oltre 7.000 anni fa, portava delle calzature già complesse, ideali per affrontare lunghe marce su terreni accidentati o sulla superficie irregolare dei ghiacciai: erano imbottite con erba secca contro il freddo, si componevano di una robusta scarpa esterna in pelle di cervo e di una scuola «scolpita» in pelle d’orso; le scarpe si chiudevano usando stringhe di pelle come lacci, mentre sotto la suola s’incrociava una striscia di pelle con funzione antiscivolo, esattamente come le moderne scarpe da montagna.

Col cambiare dei tempi, si sa, mutano i costumi, i gusti, i pensieri e... le calzature! Ogni epoca, ogni Paese, ha creato un suo tipico genere di calzatura, tanto che ripercorrere la storia della scarpa significa ripercorrere la storia delle società umane, leggerne le caratteristiche e, anche, la visione della vita.

Presso gli antichi popoli orientali, pochi importanti personaggi portavano calzature, e lo facevano per ostentare un certo grado di distinzione o di raffinatezza. Nei monumenti dell’antico Egitto, anteriori alla V dinastia, uomini e donne sono a piedi nudi. Gli Egiziani di un certo rango portavano sandali di cuoio, oppure di foglia di palma o di papiro (ne abbiamo rinvenuti nelle loro tombe); sotto la suola, a volte disegnavano la figura di un nemico prigioniero, in segno di disprezzo, quasi a dirgli: «Ecco qui, ti ho sempre sotto i piedi». Il Faraone e i nobili, come pure le donne, calzavano sandali riccamente adorni, mentre i sacerdoti usavano sandali guarniti d’oro. Sandali adoperavano anche gli Assiri e i Babilonesi; quelli dei Fenici erano fatti con cuoio e lino, mentre gli Arabi usavano sandali di pelle bovina e asinina.

Gli Ebrei usavano sandali fatti con cuoio o lino, tinti in colori brillanti, ma se li toglievano entrando nelle case o nei templi, come fanno attualmente gli Arabi e i Cinesi all’ingresso dei loro luoghi di culto. Nel libro dell’Esodo si legge che Dio ordinò a Mosè di togliersi i calzari prima di avvicinarsi al roveto ardente, poiché quella era terra sacra, e infatti i sacerdoti ebrei nelle sinagoghe celebravano a piedi nudi. L’essere scalzi era segno di umiliazione e sottomissione: per questo i prigionieri andavano a piedi nudi.

I Medi e i Persiani portavano vere e proprie scarpe di pelle o di cuoio, alte, a volte, fino al ginocchio; le donne calzavano scarpette di cuoio e spesso anche di stoffa. Le donne dell’India portavano calzature di pelle bianca, gli uomini sandali.

Presso i Greci la più antica forma di calzatura era di legno o cuoio con corregge che andavano intrecciate sul collo del piede o lungo le gambe: era tipica dei nobili e veniva chiamata «suola», cioè «ciò che si lega sotto il piede». Molto eleganti erano i sandaletti femminili, in cuoio color porpora, adorni di guarnizioni metalliche e allacciature finemente lavorate. Calzature appositamente costruite a forma di stivaletto, dette «coturni», venivano portate dagli attori tragici. Leggiamo in Luciano che Ercole, fatto schiavo di Onfalo, era sovente percosso col suo sandalo.

Gli Spartani adoperavano una calzatura ordinariamente di cuoio, semplice, senza ornamenti, fatta a guisa di scarpa. Quella delle donne era più alta, ma le «zitelle» l’avevano ancora più alta, come un coturno. I colori erano il nero per gli uomini e il bianco o il rosso per le donne. Licurgo emanò una legge che ordinava agli Spartani di andare a piedi nudi; le calzature erano permesse solo agli adulti, quando dovevano camminare di notte per andare alla guerra.

Gli Etruschi, in fatto di eleganza, non erano secondi a nessuno: amavano portare vesti raffinate (soprattutto quelle di pelli animali maculate), mantelli con ricami e frange, acconciare i capelli in modo elaborato e adornarsi di gioielli. Ma dove si sbizzarrirono di più fu nel campo delle calzature: mentre le più antiche erano composte di una semplice suola legata al piede con fettucce di pelle e di stoffa che salivano talvolta fino al ginocchio, in seguito ne inventarono di tutti i tipi, dai sandali a listarelle di cuoio colorate, alle soprascarpe rivestite di bronzo per proteggere dalla pioggia, fino agli stivaletti con la punta all’insù. Questa stravaganza passò ai Romani altolocati che, nei tempi del loro massimo splendore, giunsero persino a creare speciali calzature, di ferro o persino d’oro e d’argento, per i loro cavalli e per i loro muli!

L’antica Roma rappresentò non solo il centro del mondo in senso politico e culturale, ma il luogo dove più d’ogni altro ci si volle e ci si seppe calzare. Ogni classe sociale aveva una forma particolare di calzatura, che col resto del vestiario contribuiva a indicare il grado e l’importanza della persona che la portava. Così, i Re e gli Imperatori portavano calzature cremisi di cuoio di Persia. Le donne di qualche distinzione adoperavano i sandali, considerati quasi un articolo di lusso, perché sovente guarniti con pelle e con oro, tanto da essere portati alle matrone dentro astucci; sappiamo da Menandro che gli schiavi addetti a questo servizio erano chiamati «sandaligeruli pueri» se maschi, «sandaligerulae puellae» se femmine. Gli uomini usavano i sandali solo nelle solennità, perché il sandalo portato da un uomo era segno di effeminatezza. Nelle case si usavano semplici suole allacciate al piede, mentre era buona abitudine togliersi le calzature durante i pasti. Nelle visite a persone di riguardo e a passeggio, i ricchi e i senatori calzavano una specie di scarpa molto alta, a forma quasi di stivale, chiamata «calceus», ch’era poi il termine per indicare la calzatura per eccellenza. I magistrati curuli (consoli, pretori, edili) adoperavano una specie di scarpa rossa, chiamata «mulleus», coperta talvolta di pietre preziose, e portata pure dagli Imperatori. Le cortigiane calzavano le «persiche», i poveri le «abulee», i commedianti il «soccus», i tragedi il «coturno»; le calzature erano legate al piede con corregge che si chiamavano «inanti»; erano in uso anche delle calzature alte, delle specie di stivaletti. I militari calzavano le «caligae», dei sandali di cuoio con chiodi di ferro sotto le suole, o le «crepidae». I contadini usavano calzature di lana o di pelo di capra. E ancora: le «sculponeae» erano usate dagli abitanti dei villaggi, le «soleae» e le «gallica» erano suole a volte di legno, la «baxa» aveva la forma simile al sandalo ed era usata dai filosofi, l’«ocrea» in legno e metallo si calzava sopra le altre, il «pero» era una calzatura di pelo alta fino al ginocchio; la «carbatina» era una calzatura comune consistente in una pelle di bue legata come suola sotto al piede, mentre il «phoccasium» era la calzatura bianca usata talvolta dai sacerdoti durante i sacrifici. I Romani avevano anche le calze, fatte di cuoio.

I popoli germanici portavano calzature di giunco o di scorza. Era loro uso porre una scarpa sul capo della donna mentre si pronunciava la formula di nozze: «Con questa scarpa io ti sposo...».

Come nell’antichità, anche nel Medioevo, tempo di fierissimi contrasti, non mancarono gli elegantoni: e presero costoro a portare certe scarpe strane, che fasciavano il piede ma sul davanti si lanciavano con un’arditissima punta. Ora poiché di eleganza, con la miseria che correva nel popolo, ve n’era in giro ben poca, gli stravaganti del tempo cominciarono a pavoneggiarsi con scarpe che ogni giorno avevan la punta più lunga, fino a che – e questa è davvero la cosa più curiosa – dovette intervenire lo stesso Re Filippo IV di Francia il quale, per farla finita, stabilì nientedimeno che tre misure fisse per le punte delle scarpe: una per la nobiltà, una per la borghesia e una per il popolo. E non era per far dello spirito! Del resto un altro famoso Re di Francia, quel Carlo VIII tristemente noto per aver iniziato le invasioni degli eserciti stranieri in Italia all’inizio dell’età moderna, essendosi daccapo scatenata la moda delle scarpe a lunghissima punta, e non piacendogli affatto la cosa per via di una certa deformità che aveva in un piede, proibì l’uso di questo tipo di scarpa e inaugurò e diffuse un nuovo tipo, ben più adatto a lui rispetto al primo, a punta quadrata, che fu chiamato «scarpa a becco d’anitra».

Fino al Cinquecento, le calzature variarono di poco nella forma, e fu solo col Rinascimento che ricchezza e cultura tornarono a fiorire, rendendo ricche ed eleganti pure le scarpe: cominciarono allora a diffondersi le calzature di stoffa, comode e leggere, che rivestivano il piede, decorate con nastri, fiori e fiocchi, come pure gli zoccoli di legno intarsiati di madreperla. A Venezia – dove una confraternita di calzolai era presente già dal 1268 – passeggiavano le dame della buona società portando scarpette meravigliosamente dipinte e ingemmate e spesso si potevano ammirare stupende pantofoline con ornamenti di pelle e di pietre preziose. In Francia, sotto Enrico IV, fecero la loro comparsa le prime scarpe di seta e broccato con tacco alto di legno. Sembra che l’uso dei tacchi sia stato importato in Europa da Marco Polo; ben presto i tacchi furono usati dalla donna per farsi largo nella società, e tutt’oggi nell’immaginario popolare la donna «in carriera» – fateci caso – è sempre rappresentata coi tacchi alti.

È solo nel XVII secolo che troviamo lo stivalone, dapprima stretto, alto fin quasi al ginocchio, poi più ampio e più comodo, largo e con un risvolto nella parte superiore, fino ad arrivare al tipo ben noto dei moschettieri.

La Rivoluzione Francese rese la calzatura semplice e pratica. Era sempre di moda lo stivale dritto che cingeva la gamba, mentre l’Impero diffuse per le donne l’uso della scarpa di marocchino, colorata in verde o rosso, e – sia per gli uomini che per le donne – lo stivaletto allacciato con bottoni o cordoni, usato però esclusivamente fuori di casa. Gli uomini adoperavano scarpe di vernice per i ricevimenti, le donne quelle di seta del colore del vestito.

Tutto il contrario in Oriente: fino a non molti decenni fa, in Cina sussisteva la millenaria tradizione per cui i poveri piedi delle ragazze venivano strettamente fasciati e rinchiusi dentro piccolissimi zoccoli a tacchi alti. Ciò procurava una vera tortura, ma così voleva il gusto che chiedeva alla donna piedi sempre più piccoli: durante le notti d’amore, gli uomini amavano introdurre nella loro bocca l’intero piede femminile. Ed era anche uno spettacolo, curioso e insieme pietoso, quello delle vittime, costrette dalle scarpe – diventate come morse – a saltellare con un’andatura da anatra invece di camminare.

La Prima Guerra Mondiale rivoluzionò non solo l’assetto geopolitico dell’Europa, ma anche la forma delle scarpe. Già nel primo dopoguerra la calzatura andava copiando la forma americana: la moderna scarpetta, che la donna adottava risolutamente come adatta per tutti gli usi, col tacco basso per la mattina e alto per il pomeriggio, variamente colorata, splendente e preziosa per le nuove pelli, come veri gioielli.

Oggi l’uomo, in questo come in ogni altro campo della sua vita, vuole avere il massimo di comodità con il massimo di economia. Accanto alle scarpe prodotte a macchina, cioè in serie, in una varietà notevolissima di modelli, vi sono quelle fatte a mano, per opera paziente e sapiente di calzolai specializzati (tra i più apprezzati al mondo vi sono quelli italiani). È comunque possibile a tutti, con una spesa relativamente modesta, difendere le proprie estremità inferiori con un comodo e morbido paio di scarpe, che siano anche esteticamente piacevoli alla vista.

(settembre 2019)

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