Storia del teatro occidentale
Dall’antica Grecia a Pirandello, un fedele specchio dell’esistenza umana e delle sue contraddizioni

Il teatro occidentale nasce nell’antica Grecia dalla tradizione religiosa legata al culto di Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza. Il primo a nascere è il dramma satiresco, rappresentazione che mette in scena satiri e ninfe seguaci della divinità.

Nel VI secolo avanti Cristo nasce la tragedia, ma i veri maestri del genere operano nel V secolo. Eschilo, Sofocle ed Euripide, in ordine cronologico, rappresentano storie di aristocratici tratte dal mito, dove gli eroi soccombono di fronte al destino a causa della loro superbia («ubris») nei confronti degli dèi. Di Eschilo conserviamo l’unica trilogia sopravvissuta, l’Orestea. Da Sofocle la psicoanalisi deriverà il cosiddetto complesso edipico (amore verso la madre e odio verso il padre) legato alla leggenda di Re Edipo, accecatosi dopo aver scoperto di aver ucciso senza saperlo il proprio padre e di essersi congiunto in matrimonio, a sua insaputa, con la stessa madre.

Euripide mette, invece, in risalto le figure femminili, dalle sofferenze patite dalle donne troiane sconfitte dagli Achei fino alla pazzia di Medea, che uccide i propri figli per punire il marito infedele Giasone. Oltre a dare risalto all’aspetto psicologico, il più moderno dei grandi tragici greci inventa il «deus ex machina», una divinità fatta calare dall’alto del palcoscenico, che risolve le questioni in sospeso nella trama.

Per i Greci la tragedia ha un valore altamente educativo e civile, perché provoca negli spettatori la cosiddetta catarsi, cioè la liberazione dalla passione. Fondamentale è la funzione del coro, che canta accompagnato dalla musica, presentando il punto di vista dell’autore. A Roma il migliore autore di tragedie è Seneca, che però non raggiunge il livello dei tre grandi Greci.

La commedia, al contrario della tragedia, che si conclude spesso con lutti terribili, ha un lieto fine. I più famosi autori greci sono Aristofane, vissuto nel V secolo, che tra l’altro prende in giro l’idea che le donne possano partecipare alla vita politica, e Menandro, di epoca ellenistica, le cui commedie, legate ai valori della famiglia e dell’educazione dei figli, sono andate purtroppo perse quasi interamente. Per farci un’idea delle opere di Menandro possiamo leggere quelle del commediografo latino Terenzio, che si ispirò al maestro greco.

L’altro grande autore latino di commedie è Plauto, che punta sull’effetto comico e sulle battute (la «vis comica»=forza comica), mentre Terenzio scrive trame più riflessive, dove spiccano i valori dell’epoca e l’approfondimento psicologico dei personaggi. Nella commedia antica essi sono spesso appartenenti ai ceti popolari e anche gli abiti sono meno lussuosi di quelli usati nelle tragedie.

Nel Medioevo il teatro vive una lunga crisi, salvo rinascere dopo il Mille grazie alle Sacre Rappresentazioni, che mettono in scena gli episodi della vita di Gesù, in particolare il Natale e la Passione. In età rinascimentale torna di moda il teatro ispirato ai modelli greci e latini. Come nell’antichità le opere si attengono all’unità di tempo, di luogo e di azione. In uno stesso scenario, in una sola giornata o addirittura in poche ore, si svolge un’azione drammatica saldamente unitaria.

Fra i capolavori dell’epoca ricordiamo la Mandragola, commedia esilarante e riuscitissima del grande scrittore Niccolò Machiavelli, dove un giovane conquista una donna sposata prendendosi gioco del marito sciocco e pedante. Lo schema della beffa ricalca quello della commedia latina di Plauto.

A spezzare i vincoli dell’unità di tempo, luogo ed azione, sanciti nella Poetica del filosofo greco Aristotele, è il mitico Bardo, alias William Shakespeare che, fra la fine del ’500 e l’inizio del ’600, nell’Inghilterra Elisabettiana stupisce tutti con tragedie sublimi come Amleto, Re Lear, Macbeth, Otello e Romeo e Giulietta, dove il sangue e il dramma scorrono liberi in una molteplicità di azioni che si svolgono in più giorni e in luoghi diversi. Fra le commedie capolavoro di Shakespeare ricordiamo, almeno, Sogno di una notte di mezza estate e La tempesta, testamento spirituale dell’autore.

Un altro scrittore rivoluzionario, a modo suo, è il Veneziano Carlo Goldoni, che dà vita nel Settecento alla riforma della commedia, liberandola dai legacci della Commedia dell’Arte, dove imperavano le maschere e i caratteri stereotipati. Goldoni abolisce il canovaccio, una specie di sunto della storia sul quale gli attori improvvisano, ed impone un copione con battute da imparare a memoria. Attori e attrici, all’inizio protestano, ma poi si adeguano ed è un successo straordinario quello riscosso dalle 16 commedie nuove goldoniane, che raccontano in modo realistico la vita della borghesia veneziana.

Ottocento e Novecento vedono, infine, la fusione fra commedia e tragedia, che genera il dramma borghese. I personaggi non sono nobili come quelli della tragedia. Anche le persone comuni, però, vivono autentici drammi psicologici. A fine XIX secolo Henrik Ibsen, Norvegese, conquista il pubblico con Casa di bambola, dove Nora anticipa il femminismo, ribellandosi al marito, che la tratta come una marionetta, e abbandonandolo in un finale denso di pathos.

Nel XX secolo, l’Irlandese Samuel Beckett con Aspettando Godot inventa, invece, il teatro dell’assurdo, dove il linguaggio perde di senso logico e definisce il dramma esistenziale dell’uomo contemporaneo. Il premio nobel Luigi Pirandello, Siciliano geniale e anticonformista, dimostra, poi, che l’agire umano scaturisce dalle maschere che la società fa indossare agli uomini. Solo il teatro permette ad essi di liberarsene, agendo come maschere nude: con Sei personaggi in cerca d’Autore lo scrittore ritorna all’improvvisazione della Commedia dell’Arte, ma in chiave moderna e destabilizzante.

(gennaio 2018)

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