Venerdì 13, venerdì 17: il perché dei giorni nefasti
Nonostante la credenza popolare, non esistono prove scientifiche che alcuni giorni del calendario portino sfortuna. In questo articolo spiegheremo genesi e ragioni (o sragioni) di una tale credenza

Sale versato, ferri di cavallo, gatti neri... il variegato mondo delle superstizioni è affollatissimo, e vi sono persone che affermano orgogliose di non metter mai piede in chiesa (che cosa ci sarà di tanto meritevole in questo?), ma che si strapperebbero i capelli se dovessero rompere uno specchio o si trovassero a dover passare sotto una scala. Persone che, nei giorni considerati infausti, si mettono in malattia senza azzardarsi ad uscir di casa, e passando le ventiquattr’ore a tremare.

In realtà, essere superstiziosi non fa altro che complicar la vita. Si dice che versare il sale porti sfortuna perché esso serve a guastare il suolo, e nell’antichità spargerlo su una terra era simbolo di volerne impedire la vita (lo fecero ad esempio gli Assiri in Elam o i Romani sulle rovine di Cartagine); il ferro di cavallo è ben augurante perché la sua forma ricorda una falce di luna, segno sacro per i musulmani; mentre i gatti neri erano usati nel XVII secolo dai corsari per liberare le stive delle loro navi dai topi (i gatti di colore nero erano particolarmente abili in questo), e quindi veder gironzolare un gatto nero poteva essere segno che nelle vicinanze erano sbarcate bande di pirati...

Una delle superstizioni più radicate nella nostra società riguarda il venerdì 13 e il venerdì 17. Poiché il mese scorso c’è stato un venerdì 13, questo mese ci sarà un venerdì 17, ed entrambi i giorni ricorrono abbastanza frequentemente nel calendario, cerchiamo di capire perché siano considerati un concentrato di sfortuna.

La distinzione tra giorni positivi e negativi era già nota alla tradizione romana, dove si distingueva tra «dies fasti» (in cui si poteva amministrare la giustizia) e «nefasti». Il martedì apparteneva a questi ultimi per i Romani perché dedicato a Marte, dio della guerra (e quindi della discordia); ancora oggi, il martedì 13 è considerato giorno porta-sfortuna in Spagna, Grecia e Sud America. Quanto al venerdì, i Romani credevano che i figli concepiti quel giorno avrebbero avuto una vita difficile e che gli anni bisestili che cominciavano di venerdì sarebbero stati catastrofici; attualmente, i motivi addotti a causa della sua triste fama sono che nella religione cristiana si ricorda che Gesù Cristo fu crocefisso proprio in quel giorno (il Venerdì Santo), mentre nelle tradizioni islamiche il venerdì fu il giorno in cui Adamo ed Eva mangiarono il frutto proibito nel giardino di Eden.

La credenza che il venerdì 13 porti sfortuna, diffusissima in Europa e America, è documentata in epoche assai remote: essa pare risalire addirittura alle più antiche concezioni astrologiche assiro-babilonesi, dove il 12 era numero sacro perché facilmente divisibile; proprio il fatto che il 13 venisse dopo il 12, avrebbe assicurato a questo numero la fama di porta-sfortuna. Lo storico greco Diodoro Siculo (I secolo avanti Cristo) riferisce che Filippo II, Re di Macedonia e padre di Alessandro Magno, vissuto due secoli prima, fu ucciso da una sua guardia del corpo dopo aver fatto mettere una propria statua accanto a quelle delle 12 divinità dell’Olimpo (la morte fu la conseguenza di questo oltraggio agli dèi). Per i Cristiani, il 13 ricorda il numero delle persone presenti all’Ultima Cena: Gesù e i 12 Apostoli (il tredicesimo commensale era Giuda, che si allontanò per tradire Gesù consegnandolo alle guardie del Tempio e da queste ai Romani, che lo crocifissero). Mentre la mitologia scandinava racconta che c’erano 12 semidèi e poi arrivò il tredicesimo, Loki, un essere crudele con gli uomini: da qui il 13, in quelle terre, è divenuto segno di malaugurio. (Per i Vichinghi, invece, il 13 era il numero più fortunato...).

Quella che vede un giorno sfortunato nel venerdì 17, invece, è una credenza solo italiana. Già ai tempi dell’antica Grecia non era considerato un «bel» numero: i seguaci di Pitagora lo consideravano imperfetto in quanto era tra il 16 e il 18, perfetti nella loro rappresentazione dei quadrilateri 4×4 e 3×6. Nell’Antico Testamento è scritto che il Diluvio Universale cominciò il giorno 17 del «secondo mese». Un altro motivo per cui non si ama il numero 17 è che questa cifra in numeri romani si scrive XVII, che è l’anagramma di «VIXI», verbo latino che significa «ho vissuto» e che veniva scritto sulle lapidi (un numero «funereo», quindi). Mentre se si osserva come viene scritto il 17 con i numeri arabi (quelli che usiamo tutti i giorni) si potrebbe intravedere l’immagine di un impiccato: il numero 1 è il condannato appeso con la testa reclinata in avanti e il 7 è il patibolo.

Da quanto detto, appare chiaro che, quale che sia il motivo di queste credenze, non c’è alcun fondamento scientifico in esse. Se accade qualcosa di spiacevole in queste giornate, è solo frutto di una coincidenza. Il calendario è pieno di giorni nefasti, che hanno dispensato all’umanità gioie e dolori come qualsiasi altro giorno. Rimanere rintanati in casa aspettando con trepidazione il giorno successivo, equivale a buttar via tutte le cose interessanti che si potrebbero fare in una bella giornata. Come ironizzò una volta uno scrittore, «essere superstiziosi... porta sfortuna!».

(agosto 2018)

Tag: Simone Valtorta, venerdì 13, giorni nefasti, superstizione, crocifissione di Gesù Cristo, Diluvio Universale, Diodoro Siculo, Giuda, Loki, Pitagora, venerdì 17, giorni portasfortuna.