Il Vesuvio e le sue leggende
Tra paganesimo e Cristianesimo, le più rappresentative leggende che descrivono il particolare rapporto che si è creato nel tempo tra i Napoletani e il loro vulcano

A Posillipo

Anton Sminck Pitloo, A Posillipo, il Vesuvio campeggia sullo sfondo; fotografia di Annalaura Uccella, 2016

Il temibile Vesuvio ha sempre affascinato gli abitanti del posto tanto che sulla sua origine sono nate numerose leggende che io vi racconterò attraverso le parole di Matilde Serao e non solo.

«C’era un nobile signore, appartenente ad uno dei primi seggi della nostra città, che s’innamorò perdutamente di una fanciulla di casa nemica; era il cavaliere di carattere violento, di temperamento focoso, pronto al risentimento ed all’ira. Pure per ottenere la donna che amava, sarebbe diventato umile, come un poverello cui manca il pane. Ma l’amore dei due giovani, anziché diminuire e lenire le collere di parte, valse a rinfocolarle – per preghiere ed intercessioni che venissero fatte, la nobile famiglia Capri non volle accettare il matrimonio. Anzi per trovar rimedio all’amore dei due, fu deciso imbarcare la fanciulla sopra una feluca e mandarla in estranea contrada.

Ma essa che si sentiva strappar l’anima, allontanandosi dal suo bene, come fu fuori del porto, inginocchiatasi e pronunciata una breve preghiera, si slanciò nell’onde, donde uscì l’isola azzurra e verdeggiante. Ma non si chetava l’amore nel core del nobile Vesuvio, quale era il nome del cavaliere e la collera gli bolliva in corpo: quando seppe della nuova crudele, cominciò a gittar caldi sospiri e lacrime di fuoco, segno della interna passione che lo agitava e tanto si gonfiò che divenne un monte nelle cui viscere arde un fuoco eterno d’amore. Così egli è dirimpetto alla sua bella Capri e non può raggiungerla e freme d’amore e lampeggia e s’incorona di fumo e il fuoco trabocca in lava corruscante…».

Questa leggenda napoletana raccontata da Matilde Serao spiega in modo romantico la nascita del vulcano chiamato Vesuvio e della sua amata Capri ma su quest’imponente vulcano, composto dal duo Monte Somma-Vesuvio, sono nate nel tempo tante altre storie, ce ne sono tante così come tanti sono stati gli abitanti che hanno convissuto con il suo «fuoco eterno d’amore», perché è parte integrante della vita e della storia della città di Napoli e dei Napoletani i quali hanno cercato, attraverso varie leggende, di esorcizzare la paura che si ravvivava ad ogni tremore o eruzione; non posso narrarvele tutte, mi limiterò a riportare le storie più affascinati e curiose.

Un’altra leggenda narra che un grande e potente Mago fu punito bloccandogli una gamba nel terreno perché aveva importunato con la sua magia gli uomini. Rimase così bloccato fino a quando in primavera la terra che lo imprigionava iniziò a tremare e il Mago ne approfittò per liberarsi, si creò così una immensa voragine piena di lava e zolfo; nacque il Vesuvio.

Anche la maschera per eccellenza di Napoli rappresentata da Pulcinella, secondo molti, ha una origine mitica, direi quasi magmatica, infatti Pulcinella sarebbe nato dopo l’eruzione del 1631 da un uovo espulso dal cratere del Vesuvio, ciò spiegherebbe il perché Pulcinella rappresenterebbe tutti i pregi e i difetti del popolo napoletano e anche come il Vesuvio sia parte integrante della vita della città di Napoli.

Divina sarebbe anche l’origine del suo nome, infatti è composto dalla radice «ves», «fuoco», che deriverebbe da Vesta, dea del fuoco sacro, così come i diversi appellativi che gli furono dati sin dall’antichità descriverebbero perfettamente il timore reverenziale nutrito dai Napoletani nei confronti di questo minaccioso vulcano: veniva chiamavano sia «sterminator Vesevo», per evidenziare il suo carattere distruttivo – ne sono una testimonianza l’antica Pompei, l’antica Ercolano, Oplontis per ricordare le maggiori – che «Iuppiter Vesuvius» per evidenziare il suo lato divino e fecondo come testimoniano le terre fertili presenti sulle sue pendici su cui si coltivano sin dall’antichità, ovviamente migliorati nel tempo, molti prodotti che hanno ricevuto i marchi DOP, DOCG, IGP.

Religioso è lo stretto rapporto tra i Napoletani e il Vesuvio, di una religiosità ancestrale volta ad esorcizzare la paura che prima era affidata alle divinità pagane poi sostituite dai Santi e soprattutto dalla Madonna; San Gennaro è l’esempio per eccellenza, patrono indiscusso di Napoli e dei Napoletani lo divenne a furor di popolo soprattutto nel 472 dopo Cristo quando cioè fu portato per la prima volta in processione per arginare la furia distruttiva del Vesuvio. Fu riportato per l’eruzione del 1631, evento meravigliosamente raffigurato da Micco Spadaro, da allora in poi San Gennaro sarà sempre raffigurato nei dipinti o nella statuaria con il volto e la mano alzata rivolti al Vesuvio per placare, attraverso la sua fede nutrita dalle suppliche dei Napoletani, il temibile gigante. Fu portato in processione per tutte le successive eruzioni, l’ultima, avvenuta nel 1944, curiosamente molto «apprezzata» dagli Alleati che grazie alla luce prodotta dall’eruzione poterono facilmente bombardare tutti gli obiettivi sensibili distruggendo già una città in ginocchio, al danno anche la beffa, la distruzione fu fermata grazie alla potenza di San Gennaro e di tutti gli altri Santi patroni di Napoli che riuscirono a fermare il fiume di lava.

Sempre durante l’ultima eruzione furono portati in processione anche San Giorgio e la Madonna per placare la sua furia distruttiva che si fermò, fortunatamente, tra Ercolano e San Sebastiano al Vesuvio e San Giorgio a Cremano, a ricordo di tale evento fu lasciato un blocco di lava lì dove si fermò il fiume magmatico. La particolarità di portare in processione San Giorgio, il prode cavaliere uccisore del drago e salvatore di una povera fanciulla, rivisitazione medievale della storia di questo Santo, sta nel fatto che nell’antica cultura popolare il drago simboleggiava la forza distruttrice del fuoco, quindi del Vesuvio, e la sua uccisione da parte di San Giorgio significava la protezione dalla sua furia distruttiva grazie alla fede, simboleggiata dalla fanciulla che veniva soccorsa e salvata.

Strettamente legata ad una religiosità ancestrale pagana e poi cristiana è l’origine di un vitigno vesuviano autoctono che, secondo Marziale, fu portato dallo stesso dio Bacco, dai suoi acini fu ricavato un nettare così buono che lo stesso dio decise di trasferirsi alle pendici del Vesuvio per godere dell’aria mite, del sole, del mare e del buon vino. Ciò non deve sorprendere perché la zona vesuviana è sempre stata votata al vino e al dio suo protettore, basta ricordare i culti dionisiaci meravigliosamente raffigurati nella Villa dei Misteri a Pompei e di come la città vesuviana si è arricchita soprattutto grazie al commercio del vino.

Villa dei Misteri

Villa dei Misteri, Pompei (Italia); fotografia di Annalaura Uccella, 2016

Per i Cristiani, tale sublime vino nacque, invece, da una lacrima di Dio che, dispiaciuto per la caduta di Lucifero, inondò le pendici del Vesuvio perché l’angelo più bello cadde nel suo cratere. Nacque così il vino Lacrima Christi.

E nel cratere, i Cristiani collocavano la porta dell’Inferno, nome che è tutt’oggi utilizzato per l’omonima e suggestiva Valle nata dall’ultima eruzione del 1944, ma non temete non è più la sede dell’Inferno biblico, in primavera vi potete inebriare dei profumi della natura e il più caratteristico è sicuramente il profumo delle ginestre.

Esistono tante altre leggende o storie che narrano la nascita mitica del Vesuvio e del suo rapporto con Napoli ma queste, nel loro piccolo, descrivono il particolare rapporto che si è creato nel tempo tra gli abitanti vesuviani e il vulcano.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(novembre 2016)

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