Il fascismo giapponese
L’ideologia fascista in Giappone negli anni Trenta del secolo scorso

A partire dagli anni Venti del secolo scorso, il fascismo è entrato in un’ottica globale. Dall’Italia dove è nato nel 1919, conquistando il potere nel 1922, divenendo di fatto unico regime alla guida del Paese nel gennaio 1925, è stato visto in quasi tutti i Paesi stranieri, come unica forza politica in grado di arginare il bolscevismo. Anche l’Estremo Oriente è stato «contagiato» dall’ideologia fascista, ed in primis il Giappone ed anche la Cina. Quello giapponese, come ebbe a dire lo studioso Maruyama Masao è stato un «fascismo dall’alto», ossia sorto nelle alte sfere politico-militari, e non «fascismo dal basso» di origini popolari. Inoltre aveva in comune col fascismo italiano e col nazismo tedesco l’antiliberalismo, l’antiparlamentarismo, il nazionalismo.

Il Giappone, dobbiamo premettere, sin dal 1867, ossia con la grande ripresa industriale, è stato governato dalla classe dei guerrieri «samurai» presenti negli alti ranghi politici e militari, che si basavano sull’assoluta obbedienza all’Imperatore «Tenno», considerato di origine divina. Questa casta ebbe il potere nelle proprie mani, anche in virtù delle modifiche costituzionali dell’11 febbraio 1889. Essi erano in grado di esercitare ogni influenza sull’Imperatore, anche se manterrà le proprie prerogative divine. Contemporaneamente le riforme in campo economico, hanno permesso una notevole industrializzazione del Paese: sorsero industrie, la rete ferroviaria si estese su gran parte del Paese, stessa cosa l’energia elettrica e la rete stradale. Lo sviluppo economico ha favorito soprattutto un incremento della produzione bellica, che ha permesso alle forze armate di potersi dotare. Successivamente come hanno fatto le potenze occidentali, il paese nipponico cominciò una politica espansionistica: dapprima mirò verso la Corea, infiltrandosi con accordi commerciali, cosa che ha provocato la reazione della Cina, la quale nell’agosto 1894 aveva dichiarato guerra al Sol Levante. Il conflitto con la Cina, permise al Giappone di dimostrare tutta la sua potenza bellica e di ottenere grosse conquiste territoriali, ossia l’isola di Formosa, le isole Pescadores. Nel 1905 in seguito alla guerra contro la Russia Zarista, ottenne le isole Kurili. Nel 1910, all’Impero Nipponico venne annessa la Corea.

Già a partire da quegli anni fino alla Seconda Guerra Mondiale, era palese sia negli ambienti militari, sia presso la popolazione la convinzione di una supremazia militare del Paese unita alla concezione di una sorta di «mandato» divino per il predominio mondiale. Questi sono gli aspetti che hanno poi portato il fascismo giapponese ad elaborare la concezione ideologica di una superiorità della razza nipponica su tutte le altre in Asia. I Giapponesi mal sopportavano che i dominatori bianchi europei, fossero arrivati sin dal secolo precedente a colonizzare vaste regioni dell’Asia. A riguardo i più accesi nazionalisti, coniarono il termine «Nihon-shugi», ossia «giapponismo». Era anche diffuso l’altro termine, quello di «Tenno- Sei», per indicare il «fascismo militarista». I capi fascisti giapponesi dal punto di vista culturale, erano diversi da quelli nazisti, in quanto se i primi avevano studiato presso le prestigiose università imperiali o le accademie militari, i secondi invece erano dotati di un’istruzione medio-superiore. L’esercito imperiale era ormai la massima autorità del Paese. Gli ufficiali più estremisti, dicevano: «Le ossa dei nostri soldati delle guerre sino-nipponica e russo-nipponica, giacciono in Manciuria ed in Mongolia, terre vitali per il Giappone!».

Dopo la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, il bolscevismo che si era esteso all’Asia Centrale, divenne una minaccia incombente verso il Giappone. All’epoca nel Paese esisteva una tendenza al razzismo verso gli stranieri, ed in primis Coreani e Cinesi. Questi ultimi erano stati oggetto di misure repressive, attuate dalla polizia con l’aiuto di «gruppi» formati da volontari per il mantenimento dell’ordine pubblico (ben 4.000 furono i Coreani uccisi, mentre i Cinesi 400). Questi episodi furono spesso «celati» dalle autorità governative, le quali assieme alla magistratura non presero alcun provvedimento per punire i colpevoli. La situazione era aggravata dal malcontento generale, dominato dalla disoccupazione (per esempio, nel solo mese di luglio 1925 i disoccupati erano aumentati di 200.000 unità), dall’impoverimento delle classi contadine e dalla limitata libertà delle attività politiche. Dal punto di vista politico, si formarono delle «coalizioni» nella Camera Bassa del Parlamento, ossia tra il Kakushin Kurabu (Club Riformatore) e i Partiti Keisei e Seygiu, dando vita alle maggioranze politiche che hanno formato i «Governi di partito». Questi «Governi di partito» hanno dominato la scena politica nipponica tra l’11 giugno 1924 e il 26 maggio 1932.

Negli anni Trenta, si sono verificati tentativi di colpi di Stato. I grossi gruppi della finanza e gli alti vertici militari propendevano per un «Governo forte», infatti non apprezzavano la classe parlamentare, rea di non garantire un ordinamento solido. Pertanto si chiedeva l’abrogazione di essa e l’instaurazione di una dittatura militare. Nel 1931 vennero scoperti dei tentativi di colpi di Stato orditi dai cosiddetti «giovani ufficiali» appartenenti ai ceti della piccola e media proprietà fondiaria, i quali volevano ribellarsi alla secolare autorità dei «vecchi generali» tutti di origini nobiliari, i quali li ostacolavano nell’avanzamento di carriera. Si trattava di giovani, appena diplomatisi alle accademie militari, che avevano subito il fascino dei fascismi europei. Nel 1932 nasce un’organizzazione fascista, detta «Federazione nazionale dei giovani ufficiali», capeggiata dal Generale Sadao Araki, la quale era composta dall’Unione dei riservisti, l’Associazione dei proprietari fondiari, la Società agricola imperiale e dai Deputati agrari. Essi espressero la loro tenace opposizione contro la speculazione dei politici e dei grandi gruppi finanziari. Il 15 maggio 1932, gli ufficiali fascisti uccisero il Primo Ministro Inukai, poi lanciarono le bombe contro la sede del Governo, contro le sedi dei partiti politici e contro la sede della Mitsubishi. Le origini di questo tentato golpe hanno origine un anno prima, cioè in seguito al trattato navale di Londra (febbraio 1931), quando il Giappone sottoscrisse con Gran Bretagna, Francia, Italia e Stati Uniti questo trattato con cui doveva limitare fino al 1937 il riarmo navale giapponese. L’accordo aveva suscitato lo scontento di molti ufficiali della marina imperiale, contrari alle limitazioni imposte. Questi ufficiali crearono l’associazione segreta Sakurakai, che alleatasi con un movimento estremista, detto «Lega del sangue», aveva ideato l’assassinio del Primo Ministro Inukai Tsuyoshi appena menzionato. La cosa più sorprendente, era che progettavano di assassinare anche l’attore statunitense Charlie Chaplin in visita in quei giorni in Giappone, con lo scopo di provocare una guerra con gli Stati Uniti d’America. Chaplin, per fortuna quel giorno non si trovava alla residenza del Primo Ministro, perché il figlio di quest’ultimo aveva deciso di fargli vedere un incontro di sumo. La ribellione però fallì, i cospiratori alla fine si consegnarono alla gendarmeria militare «Kempetai».

Mentre si svolgevano queste trame golpiste c’era una politica espansionistica in corso, la conquista della Manciuria, come pretesto per imporre l’egemonia giapponese in Asia. Essa ebbe inizio coll’episodio di sabotaggio della ferrovia a Mukden nel settembre 1931. Il Paese era evidente che oltre ad una «svolta» autoritaria era incline anche alle conquiste militari, cose che suscitarono la reazione della Società delle Nazioni. Dalla Società delle Nazioni, Tokyo uscì nel marzo 1933. Un altro tentato golpe è successo il 26 febbraio 1936, da parte di un gruppo di giovani ufficiali col supporto dei reparti della divisione «Gemma». Si voleva instaurare una dittatura militare guidata personalmente dallo stesso Imperatore, che avrebbe dovuto sopprimere i partiti della Sinistra, la libertà di stampa, i gruppi «zaiabatsu» capitalistici e continuare l’espansionismo militare. Il giorno 26, i militari ribelli occuparono gli uffici del Governo ed entrarono nelle case di alcuni uomini politici. Il Primo Ministro scampò all’uccisione, stessa cosa l’Ammiraglio Suzuki, ciambellano dell’Imperatore, mentre venne ucciso l’Ammiraglio Saito. La rivolta è durata quattro giorni. L’Imperatore si dimostrò in quell’occasione energico nel fronteggiarla. Le truppe si ritirarono nelle caserme, i 19 ufficiali «ribelli» furono condannati a morte.

In Giappone i movimenti che si ispirarono al fascismo italiano ed al nazismo tedesco sono stati, in primis «Kokumin Domei» o «Alleanza Nazionale» attivo dal 1932 al 1940, fondato da Nakano Seigo e Adaki Kenzo. Il movimento che era dell’estrema Destra, nel 1932 aveva presso la Dieta nazionale del Giappone circa 32 deputati. Nel 1934 era stato sottoposto ad indagine giudiziaria, perché sospettato di tramare contro il Primo Ministro Makoto Saito. Successivamente avvenne al suo interno la frattura: molti ritornarono nel Minseito, formazione di ideologia liberale, Nakano nel 1936 lasciò il partito per poi formare la Tohokai, «Società d’Oriente» nel 1937. Alle elezioni del 1937 il Kokumin perse i consensi riducendosi ad 11 seggi presso la Dieta nazionale. Tre anni dopo (giugno 1940) si fuse nel Taisei Yokusankai, «Associazione per il sostegno all’attività imperiale», partito fascista retto da Hideki Tojio.

La Tohokai o «Società d’Oriente» venne fondata da Nakano Seigo. Nakano Seigo, come altri leader fascisti e nazionalisti, provava simpatie per il filosofo ultranazionalista Kita Ikki, giustiziato nel 1937 perchè sospettato di avere preso parte al fallito colpo di Stato del febbraio 1936. Ikki nei suoi scritti si dimostrò fautore di una politica espansionistica giapponese su tutta l’Asia, e inoltre i colonizzatori europei dovevano andarsene. Nakano Seigo era fautore di una cultura giapponese fondata su confucianesimo, nazionalismo e lo spirito dei guerrieri samurai, che dovevano confluire in un vero movimento fascista. Seigo ha avuto anche colloqui con Mussolini, Adolf Hitler e Joachim Von Ribbentrop. Seigo era artefice della «Restaurazione Mejii» o «imperiale». Auspicava un Governo «totalitario» e dichiarava la democrazia come «decadente».

La «Kodoha» o «Fazione del cammino imperiale» era una fazione di idee nazionaliste, militariste, fondata dal Generale Sadao Araki e da Jinzaburo Masaki, un altro alto ufficiale dell’esercito. La Fazione era l’ala radicale dell’esercito imperiale, legava il codice etico dei samurai «Bushido» con l’ideologia fascista. Araki era considerato un filosofo negli alti ranghi militari e teorizzava la connivenza tra «Imperatore, popolo, terra e morale». Fortemente antidemocratico ed anticomunista, voleva un ritorno ad un Giappone delle origini: privo della classe politica corrotta, degli avidi capitalisti, sotto il controllo dei samurai e guidato dall’autorità dell’Imperatore. I gruppi estremistici e totalitari all’interno dell’esercito erano in aperta lotta tra di loro, per esempio la Kodoha si scontrò con un’altra fazione chiamata «Toseiha». Era una guerra per il potere tra Generali. Le divergenze partivano dal presupposto che, da un lato, la Kodoha era per una restaurazione imperiale, mentre la Toseiha era invece per una ripresa dell’attività industriale e bellica del Paese, che necessitava del sostegno dei grandi gruppi finanziari ed industriali, i cosiddetti «zaibatsu». Sadao Araki era Ministro della Guerra nel Governo presieduto da Tsuyoshi Inukai. A questa carica dovette in seguito rinunciare per problemi di salute nel 1934, sostituito dal Generale Senjuro Hayashi, appartenente alla Toseiha.

Ideologicamente il Giappone proprio in quegli anni si accostava politicamente all’Italia fascista e alla Germania nazista. I tre Paesi erano accomunati da tendenze espansionistiche. Il 27 settembre 1940, nasce il Patto tripartito, ossia l’alleanza Roma-Berlino-Tokyo incentrata su una comune politica espansionistica, rispettivamente nei tre scacchieri mediterraneo, europeo e dell’Estremo Oriente. Già in precedenza tra Tokyo e Berlino il 25 novembre 1936 era stato siglato il patto Anti-Comintern, ossia contro l’internazionale comunista sovietica, a cui l’anno successivo aderì anche l’Italia.

L’ ideologia fascista giapponese si ispirava alle massime del «Bushido», ossia il codice etico dei Samurai. In esso è concentrata la formazione militare del guerriero che non si basava solamente sul sangue, ma anche sullo spirito. Era un’«interiorizzazione» del proprio modo d’essere, ossia guerriero, dell’eroismo e della forza. Il bushi è il dominio dei propri pensieri, che si rifaceva alle discipline esoteriche dello Zen. Il mestiere delle armi e delle tecniche di lotta come il ju-jutzu giapponese erano indispensabili per una formazione spirituale. Nel codice d’onore dei samurai, inoltre, nessuna macchia doveva essere presente sulla famiglia a cui il guerriero apparteneva. Altro principio fondamentale era il disprezzo assoluto del nemico che si arrendeva, che appunto ha poi portato i soldati del Sol Levante a compiere trattamenti brutali nei confronti del nemico. Stessa cosa, accettare la resa in combattimento: era disonorevole.


Sitografia

http://www.homolaicus.com/storia/contemporanea/giappone1.htm


Bibliografia

Francoise Garcon, La Guerra Del Pacifico, Giunti-Castermann, Firenze 1999

Francesco Gatti, Storia del Giappone contemporaneo, Bruno Mondadori, 2002

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Japanese-German Relations, 1895-1945: War, Diplomacy and Public Opinion, a cura di Christian W. Spang, Rolf-Harald Wippich

Politics and Culture in Wartime Japan, di Ben-Ami Shillony

Reto Hofmann, The Fascist Effect: Japan and Italy, 1915-1952, edizioni Cornell University press, Ithaca New York, 2015

Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, edizioni Mediterranee, Roma 2001.

(marzo 2018)

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