Il sincretismo religioso giapponese
Il singolare rapporto e la reciproca influenza tra Shintoismo, Buddhismo, Confucianesimo ed altre religioni in Giappone

Il complesso storico-culturale e religioso giapponese fonde in sé elementi differenti, provenienti soprattutto dalla Cina e dalla Corea, in alcune epoche anche dall’Indocina e dall’India e, in tempi più recenti, dall’Europa.

Le basi del culto shintoista furono poste nell’antichità, quando il Giappone era composto da tribù sottoposte all’autorità politico-religiosa di un clan maggiore, inizialmente retto per lo più da figure femminili dai tratti shamanici, la storia delle quali e dei successivi Imperatori si intreccia con il mito della loro discendenza divina.

A partire dal V secolo il Giappone iniziò ad assorbire la cultura cinese pienamente in tutti gli ambiti: la società, l’organizzazione dello stato e l’artigianato, oltre agli aspetti religiosi che erano già noti. Una delle acquisizioni più rilevanti fu la scrittura: gli ideogrammi cinesi vennero utilizzati e successivamente modificati, adattandoli alla lingua giapponese.

Nel 552 il Buddhismo arrivò ufficialmente in Giappone, attraverso immagini sacre e testi donati dal Sovrano del Regno Coreano di Paekche all’Imperatore Kinmei.

Iniziò così una contrapposizione politico-religiosa che vide protagoniste tre famiglie nobiliari (i Soga, i Mononobe e i Nakatomi): lo Shintō era un culto solare, fondato sulle forze della natura (i 180 kami del cielo e della terra, del suolo e del grano) e sugli antenati, priva di dottrine e legata alla concezione dello stato come confederazione di clan e corporazioni, basate sul rapporto di lealtà, sui quali la figura dell’Imperatore sebbene riconosciuta aveva comunque un potere confinato entro certi ambiti, mentre il Buddhismo portava con sé una dottrina di salvezza universale che nel campo politico sottendeva un potere centrale forte con principi universali.

Superata la prima fase, con il tempo è stata proprio questa diversità a permettere la coesistenza di entrambe le religioni e la reciproca influenza: lo spirito shintoista ben si adattava alla gioia delle nascite e dei matrimoni, delle varie celebrazioni stagionali, mentre lo spirito meditativo buddhista si manifestava nel momento del dolore e del trapasso ad un’altra vita.

Anche nelle vicende socio-politiche c’è stata un’alternanza dei valori shintoisti rispetto a quelli buddhisti, a seconda del momento storico.

Nel substrato culturale furono inoltre assorbiti alcuni aspetti del Confucianesimo, ma in maniera meno diretta. Tramite l’arte buddhista si diffusero invece altri concetti appartenenti al Taoismo.

Si ha così quell’allegoria, attribuita al principe reggente Shōtuku (573-620), della religione giapponese sotto forma di albero: lo Shintoismo rappresentato dalle radici, il Confucianesimo dal tronco e dai rami, il Buddhismo dai fiori e dai frutti.

Nel 604 il principe, ispirandosi a precetti e regole morali cinesi e di stampo confuciano, emanò la Costituzione dei Diciassette Articoli, che dava valore all’armonia sociale e al duro lavoro, e successivamente introdusse delle riforme come la centralizzazione del Governo, la nazionalizzazione e la distribuzione delle terre.

Al contrario altri aspetti del Confucianesimo non vennero considerati, come ad esempio la possibilità dei Sovrani Cinesi di perdere il loro mandato celeste qualora ritenuti indegni, oppure la scelta meritocratica della classe dirigente, per cui il Giappone mantenne il diritto di nascita.

Nel 607 iniziarono i contatti diplomatici con la Cina e si intensificarono le relazioni culturali ed il commercio.

Nell’VIII secolo si rese evidente l’influenza della cultura cinese, il suo corpus di dottrine cosmologiche e religiose, nelle prime grandi opere letterarie giapponesi, anche se il Giappone conservò comunque una sua propria mitologia locale.

In campo religioso iniziò una fase sincretista, dovuta al pensiero del monaco buddhista Gyōgi, che cercava di spiegare la compresenza delle divinità buddhiste con quelle shintoiste. I kami della montagna furono considerati forme dei Buddha in transito dall’India e protettori dei precetti buddhisti: vennero costruiti templi anche sui monti per onorare questi spiriti, i riti shintoisti e buddhisti iniziarono ad essere celebrati in entrambe le religioni. Venne formulata la dottrina «honji-suijaku», che portò al Ryōbu Shintō (Shintoismo di Duplice Aspetto), il quale sosteneva il duplice aspetto delle divinità: da una parte quello fenomenico, temporaneo («suijaku»), manifestato come kami, dall’altra quello della vera essenza originale («honji»), rappresentato come Buddha o Bodhisattva.

Tra il 1185 e il 1333, nel periodo Kamakura, il Giappone vide uno sviluppo feudale e una maggiore indipendenza culturale e religiosa. Nacque il buddhismo Zen, che a livello sociale si diffuse in particolar modo nel ceto militare dei samurai, i quali ne apprezzarono gli insegnamenti relativi all’autodisciplina e, di provenienza confuciana, il rapporto di rispetto tra maestro e allievo. Così lo Zen si trovò involontariamente accostato ai valori dello Shintō e del Confucianesimo, nonostante il pacifismo predicato dai grandi maestri dell’epoca. Anche a livello culturale si manifestò successivamente questo rapporto, quando i monaci Zen curarono l’introduzione in Giappone delle opere dei maestri neo-confuciani.

Nel 1342 ci fu una ripresa degli scambi con la Cina. I monasteri buddhisti, ma anche quelli shintoisti, svolsero indirettamente una funzione economica diventando un appoggio per le corporazioni esterne ai feudi.

Nel XVI secolo il Giappone entrò in contatto con i primi missionari cristiani, con lo sbarco dei Portoghesi nel 1542. Era uno stato politicamente in crisi, segnato da guerre intestine iniziate un secolo prima tra i vari feudatari. I missionari ottennero l’appoggio di alcuni di essi a Nagasaki e di uno in particolare della provincia di Owari, Nobunaga, che era contrario al forte peso politico assunto dalle comunità buddhiste, ma fu un periodo limitato: dopo la morte di Nobunaga prima e del successore Hideyoshi poi, nel 1614 i missionari furono cacciati. I Giapponesi convertiti erano per lo più contadini o ribelli all’autorità degli shōgun che furono in vari scontri sconfitti.

Considerato una minaccia al potere costituito, il Cristianesimo fu dichiarato illegale e perseguito. Il culto divenne clandestino: i riti iniziarono ad essere svolti da laici in segreto, gli elementi e le immagini cristiane vennero mascherati con quelli autoctoni, come ad esempio la statua di Maria-Kannon, che raffigurava la divinità buddhista della compassione con in braccio un bambino, in realtà dai Cristiani venerata come Maria con il Bambino Gesù. Croci cristiane venivano inoltre nascoste sulle statue oppure all’interno delle immagini.

Nel periodo Tokugawa, dal 1600 al 1850, si affermò il Neo-confucianesimo della scuola del filosofo cinese Chu Hsi (1130-1200), ortodossa e razionalista, contrapposta ad altre scuole eterodosse: la prima volta alla prevalenza del dovere sul sentimento personale, tipicamente feudale, le seconde meno rigide e più aperte alla trasformazione. Un aspetto che a livello sociale si manifestò nella contrapposizione tra la classe nobiliare, dei samurai, e la classe borghese, dei commercianti. Lo Shintoismo ebbe il suo centro alla Corte degli shōgun, mentre il Buddhismo alla Corte Imperiale a Kyōto.

Il 1853 vide il ritorno degli Europei in Giappone, che chiesero al Governo contatti diplomatici e commerciali: dopo varie richieste, non senza crisi interne e scontri con gli stranieri, l’inizio dell’epoca Meiji («Governo Illuminato») segnò un’apertura, pur sempre prudente, nei confronti dell’Occidente da cui il Giappone cercò di assimilare cultura e conoscenze scientifiche.

Nel 1871 il Governo dichiarò ufficialmente la libertà di culto per i Cristiani.

Con la «Restaurazione Meiji» del 1868 ebbe inizio un processo di rinnovamento che portò poi al passaggio da uno stato feudale a quello moderno, con la proclamazione di una nuova Costituzione e del Rescritto sull’Educazione, che conteneva i principi filosofici, politici e religiosi giapponesi.

Allo stesso tempo però venne stabilita la separazione tra i Kami e i Buddha, con lo scopo di rafforzare il nazionalismo rendendo lo Shintō la base religiosa del nuovo stato moderno: fino al 1873 i templi buddhisti subirono distruzioni, chiusure e confische, anche a causa della ricchezza e del potere che avevano acquisito.

Tuttavia il periodo Meiji, che terminò nel 1912 con la morte dell’Imperatore Mutsuhito, non riuscì a creare un divario insuperabile tra le due religioni.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la conseguente occupazione statunitense, nel 1946 venne tolto il primato dello Shintō di essere alla base dell’Impero, con un Rescritto dove l’Imperatore stesso dichiarava la falsità dell’origine divina della sua carica.

Oggigiorno lo Shintoismo ha i suoi propri santuari e viene percepito come una religione a sé stante, ciò nonostante in alcuni dei templi buddhisti sono ancora presenti delle divinità shintoiste e nell’arco della vita di un Giapponese entrambi i riti coesistono. È inoltre sempre più in voga celebrare matrimoni cristiani nelle chiese oppure in cappelle in stile cristiano negli hotels, dove è possibile imbattersi in spose giapponesi con un vestito bianco all’occidentale.

(ottobre 2017)

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