La «devotio moderna»
Lo sbocciare della riforma spirituale nelle fiorenti città fiamminghe del Quattrocento

Quando si osserva il mondo religioso dell’Europa Rinascimentale, vi si nota un grande fermento, erede di ripetuti tentativi di riforma che si avvicendavano da ben prima del Concilio di Costanza (1414-1418). Per comprendere il contesto entro cui si muoveva Lutero, bisogna quindi muovere anche qualche passo indietro e indagare se nell’Europa Settentrionale esistessero altri movimenti riformistici promettenti e prossimi a lui. Quello più rigoglioso e interessante, con cui lui stesso, come vedremo in un prossimo articolo, entrò in contatto, nacque nelle ricche Fiandre: si trattava della «devotio moderna»[1].


Le Fiandre tra 1300 e 1400: ricchezza e cultura tra Mare del Nord e Borgogna

Essa si affermò a partire dalla fine del 1300 in una delle regioni più evolute dell’epoca tardo-medievale, quella che abbraccia gli attuali Belgio, Olanda e anche le zone limitrofe, complessivamente le cosiddette Fiandre; in seguito, ebbe notevole successo e si diffuse in Francia, Svizzera, Germania e addirittura in Spagna e Italia. Vediamo prima il contesto storico in cui il movimento si affermò.

La regione di cui parliamo qui è molto più ampia delle attuali Fiandre o del nostro Benelux: infatti, alla fine del ’500, con la divisione tra Olanda (calvinista) e Fiandre (cattoliche, equivalenti al nostro Belgio) si consumò la scissione di un’area di grande scambio, in cui Neerlandesi, Fiamminghi, Francesi, Anseatici, Italiani e anche uomini provenienti da altre Nazioni interagivano in continuazione. Il bacino cui facciamo riferimento comprendeva quindi Zelanda, Olanda, Artois (nell’attuale Francia), Brabante, Limburgo, Hainaut (tra Francia e Belgio attuali), Lussemburgo. Tra fine del ’300 e il ’400, proprio mentre si sviluppava la «devotio moderna» e per la precisione nel 1384, tutta questa area passò al Ducato di Borgogna, allora lo Stato più ricco d’Europa[2].

Il Ducato di Borgogna era nato nel 1363 come feudo distaccato della Corona Francese di cui Giovanni II aveva insignito il figlio Filippo l’Ardito per riconoscenza. Infatti, questi aveva salvato la vita al padre durante la famosa battaglia di Poitiers contro gli Inglesi nel 1356. Da allora il Ducato si era confrontato più volte con il Re di Francia per divenire indipendente, ma aveva altresì inglobato, grazie a matrimoni ed eredità, parecchi territori collocati tra il Mare del Nord e l’attuale Franca Contea. Filippo l’Ardito, sposando Margherita di Fiandra, acquistò Artois e Fiandre, quindi Salins e la contea di Borgogna (corrispondente alla Franca Contea attuale), ma anche lo Charolais. Il figlio Giovanni Senza Paura sposò Margherita di Baviera e acquisì così le contee di Olanda, Seeland e Hennegau, mentre Filippo il Buono comprò la contea di Namur, cui poi aggiunse con varie modalità Brabante, Limburg, Anversa e Piccardia. Altri territori, invece, collocati nella zona orientale, erano feudi imperiali. Il Ducato, eterogeneo e poco coeso, ma molto ricco (le sue rendite ammontavano a circa 1.200.000 fiorini l’anno) necessitava di un Governo Centrale forte e i Duchi aspiravano a divenire Re.

Anche per consolidare i legami interni, specie con l’aristocrazia, all’epoca del suo matrimonio con Isabella di Portogallo Filippo il Buono aveva fondato l’ordine cavalleresco del Toson d’Oro (1430): infatti la Borgogna desiderava porsi al livello di Inghilterra e Francia, che avevano i loro propri ordini cavallereschi legati alla Corona (l’Ordine della Giarrettiera e l’Ordine della Stella); la sua funzione politica era tale che l’emblema dell’ordine compariva ovunque nei luoghi pubblici.

Il Ducato era comunque divenuto in breve tempo una potenza, grazie alla ricchezza delle sue città commerciali, in stretti rapporti con Inghilterra, Spagna, Portogallo e note per la loro ricca imprenditoria tessile. Proprio perché il nucleo economico dello Stato era costituito dalle Fiandre, i Duchi spostarono la loro residenza da Digione a Gand (Fiandre) o Bruxelles (Brabante). L’aristocrazia dello Stato era di cultura francese e specie sotto Filippo il Buono il mecenatismo fiorì in modo straordinario: si pensi che qui dimoravano Jan van Eyck e Rogier van der Weyden o lo scultore Claus Sluter; tutto, persino i passatempi o le pratiche giudiziarie, poteva divenire sinonimo di etichetta, raffinatezza aristocratica, bellezza. La Corte di Borgogna divenne così un modello per le altre, tanto che il Re Inglese Edoardo IV commissionò un’opera sul cerimoniale di Borgogna per poterlo imitare: Êtat de la maison du duc Charles de Bourgogne, del cronista Olivier de la Marche, un testo di riferimento per le Corti Rinascimentali. I Duchi collezionavano opere d’arte e, soprattutto, possedevano un’ampia biblioteca di manoscritti (quasi 1.000 titoli).

La regione delle Fiandre stava quindi vivendo un momento di grande fioritura economica specie grazie al prosperare dell’industria tessile: fin dal XII secolo, infatti, essa produceva panni di lana sfruttando le greggi allevate sulle pianure marittime. Successivamente, si optò per l’importazione della lana inglese, più abbondante e pregiata, ma anche più economica[3]. Perciò, nel corso del 1300 le città fiamminghe e la Borgogna parteggiavano per gli Inglesi nel corso della lunghissima Guerra dei Cent’Anni (1337-1453). Verso la fine del Trecento, tuttavia, il Re Edoardo II d’Inghilterra incoraggiò la nascita di una manifattura tessile inglese, il che provocò per le città fiamminghe la contrazione delle importazioni di lana e la nascita di una dura concorrenza inglese: ciò spinse i Duchi di Borgogna a ricorrere ripetutamente a misure protezionistiche e le città a riconvertire, se possibile, le loro attività economiche; Lovanio approfittò così della sua nuova Università, fondata nel 1425, per moltiplicare le stamperie. Nelle campagne, intanto, ma anche in Olanda, si sviluppava una manifattura concorrente che sfruttava la lana importata dalla Spagna e il lino coltivato localmente.

I Duchi di Borgogna seppero garantire stabilità politica e ordine amministrativo alla regione, dosando sapientemente il centralismo statale con l’esigenza di autonomia delle città. Queste approfittavano dell’intrecciarsi dei commerci con buona parte dell’Europa: si pensi solo che il famoso ritratto dei Coniugi Arnolfini, opera di Van Eyck, mostra una coppia di borghesi toscani che vivevano a Gand o che nella Spagna di fine Quattrocento nacque uno stile ispano-fiammingo. Le Fiandre divennero infatti una delle piazze finanziarie e commerciali più importanti d’Europa, favoriti anche dalla posizione strategica, il che attirò, ad esempio, numerose banche italiane, che vi impiantarono le loro filiali (già i Bardi e i Peruzzi nel ’300, poi i Medici), nonché i mercanti della Lega Anseatica e, nel ’500, i Fugger di Augusta e altri banchieri tedeschi. Nel corso del ’400 Anversa, che praticava il libero commercio, sorpassò Brouges, che si era incagliata in una serie di controproducenti iniziative protezionistiche: in seguito, Anversa avrebbe approfittato anche del flusso di argento dal Nuovo Mondo.

Grazie a questa fioritura economica, le Fiandre sbocciarono magnificamente anche a livello artistico e culturale, specie città come Anversa, Gand, Bruges, Ypres[4]: il Louvre ha dedicato un’intera ala alla pittura fiamminga del ’400, che, assieme al coevo Quattrocento Fiorentino, costituisce l’avanguardia artistica dell’epoca, con pittori del calibro di Rogier van der Weyden, Hans Memling, Hugo van der Goes e, soprattutto, il più celebrato tra tutti, Jan van Eyck, universalmente noto per la sua Pala dell’Agnello Mistico e pittore di Corte dei Duchi di Borgogna. La committenza era soprattutto borghese e cittadina, ma non bisogna dimenticare l’aristocrazia del Ducato di Borgogna e la già citata Corte, spostata nel 1419 da Digione a Bruxelles.

Questo il quadro di grande fioritura economica e culturale in cui si sviluppò la «devotio moderna»: essa rifletteva le esigenze spirituali della borghesia e degli artigiani di città in grande rigoglio e diede vita a una corrente religiosa fortemente innovativa e che affascina ancor oggi.


La «devotio moderna»: un movimento religioso tra amore di Dio e quotidianità. La nascita del movimento e il suo fondatore Geert Groote

«Devotio moderna» dovrebbe tradursi come «devozione della vita quotidiana», del concreto «oggi» dei devoti: essa nacque infatti dal bisogno di conversione e spiritualità largamente diffuso nelle città fiamminghe. Albert Deblaere, Gesuita, che insegnò alla Pontificia Università Gregoriana tra il 1962 e il 1991 e molto studiò questo movimento, lo definiva «tentamen vitae contemplativae in actione», cioè il «tentativo di vivere una vita contemplativa nell’attività» quotidiana. Un’idea cardine del movimento era quella di recuperare la fede degli antichi nell’età «moderna» cioè attuale, nuova (non nel senso che noi conferiamo al termine oggi). Del resto, le fonti testimoniano l’idea (invero tipica all’epoca) che la sana devozione antica si fosse inaridita con l’andare del tempo, secondo un processo di corruzione individuato in molti ambiti dell’esistenza. L’idea della vita contemplativa in azione si trovava già nel mistico del Brabante Giovanni di Ruusbroec (1293-1381) che aveva come obiettivo la formazione di un Cristiano contemplativo, ma coincidente con la «persona comune». Per raggiungere questo livello è centrale l’unione con Dio: perciò, è basilare la meditazione.

La Scolastica, o teologia delle «scholae» (nata cioè nelle aule universitarie) eccelleva nella riflessione teologica razionalistica: giunse al suo acme con San Tommaso d’Aquino (1224-1274) e fu coltivata in particolare dall’ordine domenicano all’epoca del grande rigoglio universitario e intellettuale sostenuto dal Papato nel XIII secolo[5], ma si era però parzialmente inaridita nel Tardo Medioevo. La «devotio moderna», al contrario, voleva rinfrescare la vita di fede e anticipava il profondo desiderio, poi esploso con l’evangelismo di epoca rinascimentale, di ritornare alla purezza della Chiesa delle origini; insisteva sulla preghiera e la meditazione individuale, sulla dimensione interiore e anche affettiva per entrare in comunione con il Cristo e assorbirne il modello, sull’introspezione, la vigilanza e l’ascesi rispetto alle passioni; si focalizzava sulla necessità di vivere al meglio la vita comunitaria e quotidiana in una tensione continua verso Dio e in relazione amorosa con Lui. Il movimento nutriva poi una forte propensione per la riforma ecclesiale, a fronte degli abusi ecclesiastici dell’epoca: ma la riforma doveva partire dalla santificazione nella vita quotidiana, sia per religiosi, che per laici. Nelle comunità della «devotio moderna», vigevano infine la comunione dei beni e uno stile di vita ispirato alla povertà.

All’interno di questo solco, si svilupparono innanzitutto i Fratelli di Vita Comune, una confraternita laicale fondata da Geert Groote a Deventer (Paesi Bassi) nel 1381: essi non pronunciavano, almeno all’inizio, i voti, tuttavia divennero una congregazione monastica nel 1387 e perdurarono fino all’Ottocento. Il loro «status» canonico inizialmente non ben definito, aperto a laici e chierici, finì per suscitare sospetto e accuse di eresia, così come era avvenuto per le beghine: i devoti optarono così per i voti, anche come forma di prudenza a fronte delle tentazioni. Esisteva inoltre una vera e propria branca conventuale, i canonici e le canonichesse regolari della congregazione di Windesheim, che adottarono la regola agostiniana; nacquero infine anche i terziari, normati dalla regola di San Francesco e uniti nel capitolo di Utrecht. Groote, molto stimato per la sua cultura, dopo aver studiato a Parigi, sperimentò una radicale conversione a seguito di una grave malattia; entrato dapprincipio tra i Certosini di Monnikhuizen presso Arnhem, fu ordinato diacono nel 1379. Si adoperò per la riforma della Chiesa e predicò contro le pratiche scandalose del clero dell’epoca, come la simonia e il concubinaggio (per intervento degli ordini mendicanti suoi rivali, il permesso di predicare gli fu però rapidamente ritirato dall’ordinario). Morì ancora giovane, contagiato da un confratello che aveva assistito e prima ancora di essere ordinato sacerdote.

Nei suoi scritti Groote, se da un lato rigetta la carriera accademica e materie come aritmetica, retorica, legge o medicina, aspira però a studiare la Bibbia, gli autori spirituali e i Padri. Il suo movimento non era quindi anti-intellettualistico, bensì di cultura cristocentrica («eruditio pia»). Ecco perché Thomas da Kempis, suo seguace, sosteneva che si dovesse prendere un libro con la stessa devozione con cui il vecchio Simeone aveva maneggiato il Bambino Gesù («Sic accipe librum in manibus tuis ad legendum, sicut Simeon iustus puerum Jesum in ulnas suas ad portandum et osculandum»); ed ecco perché i devoti redigevano delle collezioni di sentenze, i «rapiaria», utili per la crescita spirituale. D’altronde, la «devotio» è stata definita una «comunità testuale», perché la lettura e la scrittura vi erano considerate fondamentali per l’ascesa spirituale e l’unione con Dio: per i laici aggregatisi a essa, ma analfabeti, suppliva la lettura in comune, a tavola o durante la liturgia e il lavoro[6]. Perciò, entrambi i rami principali, sia quello dei Fratelli, che quello di Windsheim, furono molto attivi nella produzione e riproduzione di opere di spiritualità in linea con la loro preferenza per l’interiorizzazione: tra queste, la più celebre è l’Imitazione di Cristo, attribuita a Thomas da Kempis (ma il cui nucleo potrebbe risalire a un diario di Groote) e cui in seguito si ispirò persino Sant’Ignazio di Loyola. Fu tra i Certosini che Groote scoprì le opere di Ruusbroec, da lui tradotte in latino; per quanto abbia scritto poco (ci resta di lui solo qualche omelia), da ciò che ci rimane emerge la sua netta predilezione per la preghiera interiore e un armonioso equilibrio tra contemplazione e attività, interiorità ed esteriorità.


Altri membri importanti della comunità. Thomas da Kempis e l’Imitazione di Cristo

Vediamo adesso alcuni membri successivi del movimento, il che permetterà anche di tracciarne lo sviluppo. L’amico di Groote, Florens Radewijns (1350-1400), che studiò all’Università di Praga e fu canonico a Utrecht, rinunciò a questo incarico per vivere da semplice vicario a Deventer, presso Groote. Nella propria casa riunì il primo gruppo di devoti per cui redasse anche una regola; infine, fondò l’abbazia di Windesheim. Da una sua raccolta di detti trasmessaci da Thomas da Kempis deriva la definizione di «devotio»: «devotio non est aliud nisi desiderium animae ad Deum» («la devozione non è nient’altro che il desiderio dell’anima nei confronti di Dio»).

Gerard Zerbolt di Zutphen (1367-1398), uno dei primi seguaci di Groote e Florens, fu l’autore delle Ascensioni spirituali (De spiritualibus ascensionibus), opera che Lutero lesse attentamente. L’ascensione di cui si parla nell’opera è quella dell’amore per Dio, attraverso il Cristo. Perciò – come avrebbe detto Lutero in seguito – il Cristiano non ascende per le sue proprie forze, ma solo grazie a Cristo, incarnatosi apposta per noi. Gerard esorta anche alla meditazione affettiva e alla contemplazione del Cristo e della sua vita, una traccia che precorre gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e porta all’unione con Dio.

Gerlach Peeters (1378-1411), allievo pure di Florens, lasciò degli scritti poi riordinati (contro il suo desiderio) in alcune opere, tra cui il noto Breviloquium. Nelle sue parole, la grande attenzione alla liturgia deve risolversi in interiorizzazione con lo scopo di raggiungere la Luce che è Dio. Qui si nota una delle caratteristiche fondanti della «devotio moderna»: la meditazione è ben lungi dall’essere solipsistica, anzi, è orientata alla relazione interpersonale, alla relazione con Dio. Da questa meditazione rifluiscono sul creato tutto amore, gioia, pace.

Sicuramente, il più noto tra i devoti fu però Thomas da Kempis (1380-1471), autore (dopo lunghe discussioni, ormai è sicuro) della celebre Imitazione di Cristo, composta di quattro trattati distinti da lui scritti. Lo scopo dell’Imitazione è il seguire Cristo, la relazione amorosa con Lui, che emerge molto di più rispetto agli aspetti ascetici dell’opera; piuttosto, l’esercizio ascetico serve a purificare il cuore perché possa aprirsi alla Luce. Vari brani si possono citare allo scopo di far meglio comprendere l’innovativa spiritualità del movimento. Celebre l’«incipit» dell’opera (capitolo 1)[7]:

«“Chi segue me non cammina nelle tenebre” (Vangelo secondo Giovanni 8,12), dice il Signore. Sono parole di Cristo, le quali ci esortano a imitare la sua vita e la sua condotta, se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore. Dunque, la nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo […] Ma accade che molta gente trae un ben scarso desiderio del Vangelo dall’averlo anche più volte ascoltato, perché è priva del senso di Cristo. Invece, chi vuole comprendere pienamente e gustare le parole di Cristo deve fare in modo che tutta la sua vita si modelli su Cristo. Che ti serve saper discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità tu dispiaci? Invero, non sono le profonde dissertazioni che fanno santo e giusto l’uomo, ma è la vita virtuosa che lo rende caro a Dio. Preferisco sentire nel cuore la compunzione che saperla definire. Senza l’amore per Dio e senza la Sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi?»

Poi, nel capitolo 5, è interessante il brano sulla lettura di opere spirituali:

«Nei libri di devozione si deve ricercare la verità, non la bellezza della forma. Essi vanno letti nello spirito con cui furono scritti; in essi va ricercata l’utilità spirituale, piuttosto che l’eleganza della parola. Perciò dobbiamo leggere anche opere semplici, ma devote, con lo stesso desiderio con cui leggiamo opere dotte e profonde […] Se vuoi trarre profitto, leggi con animo umile e semplice, con fede. E non aspirare mai alla fama di studioso. Ama interrogare e ascoltare in silenzio la parola dei Santi».

La semplicità e il silenzio sono i filtri attraverso cui assorbire i volumi di spiritualità. Infine, cito qui un passo del capitolo 15.2, sulle opere ispirate all’amore e che ben si sposa all’interiorizzazione e alla contemplazione inserita nell’orizzonte della vita quotidiana:

«A nulla giova un’azione esterna compiuta senza amore; invece, qualunque cosa, per quanto piccola e disprezzata essa sia, se fatta con amore, diventa tutta piena di frutti. In verità Iddio non tiene conto dell’azione umana in sé e per sé, ma dei moventi di ciascuno. Opera grandemente colui che agisce con rettitudine; opera lodevolmente colui che si pone al servizio della comunità, più che del suo capriccio. Accade spesso che ci sembri amore ciò che è piuttosto attaccamento carnale; giacché è raro che, sotto le nostre azioni, non ci siano l’inclinazione naturale, il nostro gusto, la speranza di una ricompensa, il desiderio del nostro comodo. Chi ha un amore vero e perfetto non cerca se stesso, in alcuna sua azione, ma desidera solamente che in ogni cosa si realizzi la gloria di Dio».

L’ultimo autore da ricordare è Giovanni Mombaer (1460-1501), che fu pure monaco di Windesheim, ma studiò alla scuola dei Fratelli di Vita Comune di Utrecht (dove veniva approfondita molto la cultura classica); autore del Rosetum, è quello che fu inviato a Parigi per attuare una riforma della vita monastica, che, come abbiamo visto nell’articolo Come Lutero entrò in convento, fu rifiutata perché i monaci parigini preferivano le pratiche esteriori. Perciò, Mombaer, nella sua opera, cerca di strutturare la meditazione orientandola alla vita interiore e alla grazia. Nonostante le difficoltà, Mombaer fece molto per diffondere la spiritualità moderna in varie parti d’Europa e non è un caso se il suo influsso fu molto avvertito in Spagna.


Declino della «devotio moderna»

Purtroppo, però, a inizi ’500, proprio all’epoca di Lutero, la «devotio moderna» era ormai al tramonto[8]: fu successivamente spazzata via dalla Riforma e da altri fattori.

Infatti, Erasmo, che pure era stato allievo di uno dei più colti Fratelli e pedagogisti del tempo, Alexander Hegius, rimproverò ai membri della confraternita di non essere sufficientemente sensibili alle «artes» e alla conoscenza. Un rimprovero strano, dato che essi amavano la cultura: tuttavia, si era ormai in pieno Rinascimento, nei Paesi Nordici si stava diffondendo la cultura umanistica di origine italiana e grandi filologi come Erasmo ritenevano l’educazione ricevuta come inadeguata a fronte dell’acribia critica sviluppata sul modello umanistico. La base sociale del movimento fiammingo era stata costituita dai piccoli artigiani o borghesi e la loro cultura non era interessata all’aspetto filologico: l’Umanesimo si diffuse invece negli esclusivi circoli dell’alta borghesia della Germania Meridionale e prendeva a modello la critica testuale elaborata nelle città italiane. Avanzo l’ipotesi che la critica umanistica interessasse molto di più quel ceto borghese che aspirava all’avanzamento sociale nelle Corti dei principi territoriali tedeschi. Infatti, la Riforma fu sposata dai principi tedeschi mentre il calvinismo adottato dai mercanti olandesi; al tempo stesso, l’appartenenza religiosa si irrigidiva, il che non lasciò molto spazio, nel corso del Cinquecento, a un movimento così flessibile.

Avvenne così che la «devotio moderna», nonostante i propri meriti, fu «liquidata», come indica Oberman, senza tanti complimenti, alla maniera della Scolastica: i nuovi orientamenti culturali miravano ormai oltre.


Note

1 Confronta Rob Faesen, Tentamen vitae contemplativae in actione. The Doctrine of the «Devotio moderna», in Gert Melville-Josep Ignasi Saranyana Closa, Lutero 500 anni dopo. Una rilettura della Riforma Luterana nel suo contesto storico ed ecclesiale. Raccolta di studi in occasione del V centenario (1517-2017), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2019, pagine 68-89; Mathilde van Dijk, The «Devotio moderna», the Emotions and the Search for «Dutchness», «Low Countries Historical Review» 129/2 (2014), pagine 20-41; Martina Wehrli-Johns, Devotio moderna, «Dizionario storico della Svizzera (DSS)», versione del 23/04/2009 (traduzione dal tedesco), https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/011417/2009-04-23/; Devotio moderna, in «Encyclopaedia britannica», https://www.britannica.com/topic/devotio-moderna; Modern devotion, https://www.titusbrandsmainstituut.nl/eng/modern-devotion/ (il Titus Brandsma Institute, dedicato a Nimega al martire del nazismo, è il centro internazionale di studi sulla «devotio moderna»). Per un approfondimento, si veda il libro di riferimento di John van Engen, Sisters and Brothers of the Common Life: The «Devotio Moderna» and the World of the Later Middle Ages (The Middle Ages Series), Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2008, molto attento alla ricostruzione del contesto del movimento.

2 Sulla storia e la cultura di questa area all’epoca, è rimasto celebre Johan Huizinga, The Waning of the Middle Ages, London-Harmondsworth, Penguin Books, 1922; sulla Borgogna del 1400, che fu infine ereditata da Maria di Borgogna, sposa di Massimiliano I d’Asburgo, confronta Hermann Wiesflecker, Maximilian I. Das Reich, Österreich und Europa an der Wende zur Neuzeit. Band I. Jugend, burgundische Erbe und Römisches Königtum bis zur Alleinherrschaft, 1459-1493, R. Oldenbourg Verlag München 1971, specie pagine 88-96; Heinrich Fichtenau, Der junge Maximilian. 1459-1482, Wien, Verlag für Geschichte und Politik, 1959, capitolo II, pagine 19-29, che si effonde sul fascino esercitato dalla Corte di Borgogna sul giovane Massimiliano; Sabine Weiss, Maximilian I. Habsburgs faszinierender Kaiser, Innsbruck-Wien, Tyrolia Verlag, 2018, pagina 59-74.

3 Sull’economia fiamminga nel Tardo Medioevo, confronta Max Trimurti, La Fiandra tessile, http://win.storiain.net/arret/num177/artic4.asp

4 Sull’arte fiamminga del ’400, confronta Pierluigi De Vecchi-Elda Cerchiari, I tempi dell'arte. II, Bompiani, Milano 1999; Anthea Peppin-William Vaughan, Flemish Painting, Oxford-New York, Phaidon, 1977.

5 Su Tommaso d’Aquino, confronta ad esempio Giulio Ferroni, Tommaso d’Aquino: il potere della ragione, in Storia della letteratura italiana. I. Dalle origini al Quattrocento, Milano, Einaudi, 1991, pagine 124-125; sul ruolo degli Ordini Mendicanti nella fioritura culturale dell’epoca confronta Grado G. Merlo, Il Cristianesimo latino bassomedievale, in Giovanni Filoramo-Daniele Menozzi curatori, Storia del Cristianesimo. II: Il Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1997, pagine 219-314 (pagine 262-267).

6 Mathilde van Dijk, The «Devotio moderna», the Emotions and the Search for «Dutchness», «Low Countries Historical Review» 129/2 (2014), pagine 20-41.

7 Per il testo in italiano, confronta L’Imitazione di Cristo, sul sito Maranathà, https://www.maranatha.it/Testi/TestiVari/Testi1Page.htm

8 Per queste osservazioni, confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo (traduzione italiana), Roma-Bari, Laterza, 1987, pagina 88.

(febbraio 2021)

Tag: Annarita Magri, devotio moderna, riforma spirituale nelle città fiamminghe del Quattrocento, Europa Rinascimentale, Concilio di Costanza, Lutero, la devotio moderna, Fiandre, Ducato di Borgogna, Filippo l’Ardito, battaglia di Poitiers, Margherita di Fiandra, Giovanni Senza Paura, Margherita di Baviera, Filippo il Buono, ordine cavalleresco del Toson d’Oro, Ordine della Giarrettiera, Ordine della Stella, Jan van Eyck, Rogier van der Weyden, Claus Sluter, Edoardo IV, Êtat de la maison du duc Charles de Bourgogne, Olivier de la Marche, Guerra dei Cent’Anni, Edoardo II d’Inghilterra, Rogier van der Weyden, Hans Memling, Hugo van der Goes, Pala dell’Agnello mistico, Geert Groote, devozione della vita quotidiana, Albert Deblaere, Giovanni di Ruusbroec, Scolastica, San Tommaso d’Aquino, Fratelli di Vita Comune, congregazione di Windesheim, Thomas da Kempis, Imitazione di Cristo, Sant’Ignazio di Loyola, Florens Radewijns, Gerard Zerbolt di Zutphen, Ascensioni spirituali, Gerlach Peeters, Breviloquium, Giovanni Mombaer, Rosetum, Erasmo, Alexander Hegius, Oberman.