La diplomazia nel Rinascimento
Vita grama per gli astuti ambasciatori

Una delle grandi innovazioni del Rinascimento è la nascita di una diplomazia che potremmo definire «moderna». Non è una cosa scontata, né automatica. Nell’epoca che vede una straordinaria fioritura culturale e la formazione di molte entità statuali tutt’ora esistenti, infatti, i rapporti fra le varie Nazioni sono improntati al sospetto: nessuno si fida dell’altro e non esiste alcun codice di cavalleria per cui si risparmi la vita all’avversario. L’incontro tra Edoardo IV Re d’Inghilterra e Luigi XI Re di Francia, che conclude di fatto la Guerra dei Cent’Anni, avviene a Picquigny, sulla Somme, il 29 agosto 1475; i due Sovrani si incontrano su un ponte di barche; ma una solida rete di legno li separa, e si abbracciano attraverso le sbarre; i consiglieri dei Re hanno pensato che è bene non fidarsi, ed hanno deciso che i Monarchi stiano lontani. Quando Lorenzo de’ Medici si reca a Napoli dal suo nemico Ferdinando, compie un atto di grande coraggio: potrebbe essere messo in carcere, o avvelenato, o ucciso!

Eppure si sente il bisogno di mantenere rapporti con gli altri Stati. Finora ci si è serviti di ambascerie occasionali: i Regnanti inviano un legato (dal latino «legare», cioè «inviare») quando c’è da concludere un patto, o quando c’è da scongiurare una guerra; allora il legato viaggia con cavalieri, carrozze, con ogni lusso. Ma con l’aumento delle relazioni e dei traffici commerciali si comincia ad avvertire la necessità di avere ambasciatori stabili che riferiscano al proprio Governo come vanno le cose negli altri Paesi, e che annodino amicizie personali. Non solo. Spesso i Signori devono trattare con persone di cui non si conosce la faccia, non se ne sa il carattere, non si sa come vivono e che cosa pensano; ecco allora che l’ambasciatore si reca a Corte, adula la Regina, le principesse, i ministri, gli amici del Re, cercando di assicurare al proprio Paese appoggi e simpatie.

È la Chiesa Cattolica la prima ad inviare nell’Impero Bizantino dei propri rappresentanti diplomatici, i quali prendono stabile dimora nello stesso palazzo imperiale; a partire dal 1513, la Chiesa invia i suoi rappresentanti presso tutte le maggiori Nazioni d’Europa: i nunzi pontifici. Il sistema appare subito ottimo e così, nel XII secolo, le Repubbliche Marinare Italiane di Genova e Venezia si scambiano i primi ambasciatori, che hanno una funzione esclusivamente economica, e inviano i loro rappresentanti presso tutti i più importanti Stati dell’epoca. È appunto per merito dei loro abili uomini diplomatici che Genova e Venezia riescono a concludere contratti commerciali assai vantaggiosi, specialmente coi Paesi dell’Oriente. Uno dei più abili diplomatici della Repubblica di Venezia è stato il Doge Enrico Dandolo, mentre nel Seicento i Cardinali Richelieu e Mazarino, grazie alla loro grande abilità diplomatica, faranno la fortuna loro e della Francia.

Il primo ambasciatore politico sembra sia stato Nicodemo da Pontremoli, che Francesco Sforza ha accreditato a Firenze nel 1446 come suo rappresentante personale. Ludovico il Moro manda un suo rappresentante nel 1490 in Spagna, nel 1492 in Francia presso Carlo VIII e nel 1493 a Vienna. A sua volta Carlo VIII si fa rappresentare nel 1494 a Venezia da Philippe de Commynes. Quando sono necessarie trattative urgenti fra i vari Governi, vengono inviati degli ambasciatori straordinari che collaborano con quelli permanenti.

Sin dall’antichità era usanza che gli ambasciatori venissero presentati con una lettera al Capo dello Stato presso il quale venivano inviati. Tale lettera, chiamata «credenziale», contiene di solito tre punti: lo scopo della missione, la presentazione dell’ambasciatore e l’esortazione di credere (ecco perché la lettera è detta «credenziale») quanto l’ambasciatore dovrà dire. Riportiamo qui di seguito, come esempio, la lettera credenziale con la quale la Repubblica Fiorentina presenta Niccolò Machiavelli ai Signori di Forlì:

«Alle loro Eccellenze, la Signora Caterina Sforza Visconti, e ad Ottaviano Riario Signore d’Imola e di Forlì, nostri cari amici.

Illustrissimi ed eccellenti Signori e amici carissimi. Mandiamo alle Eccellenze vostre messer Niccolò Machiavelli, cittadino e segretario nostro, che ha commissione di esporvi molte cose a voce, alle quali desideriamo prestiate quella fede pienissima che prestereste a noi stessi. State sani.

Dal nostro palazzo, a dì 12 luglio 1499.

I Priori di Libertà e il Gonfaloniere del popolo fiorentino».

Ma il mestiere di ambasciatore non è né facile, né redditizio – niente a che vedere con gli ambasciatori di oggi, ben remunerati e rispettati. In un periodo in cui non esiste ancora uno Stato nel senso moderno del termine, soprattutto in Italia, chi paga gli impiegati è il Signore in persona: i Medici mantengono i loro impiegati a Firenze, i Visconti e gli Sforza a Milano. Ma non è raro che il Signore o il Principe non abbiano denaro, e allora gli impiegati tirano la cinghia; se il Signore ha debiti, o se è impegnato in una guerra, deve chiedere somme in prestito ai banchieri.

Ci sono Signori che si rifiutano categoricamente di mantenere i propri ambasciatori ad un livello decente: questi impiegati acuti ed intelligenti sono costretti ad affittare una stanza, vivono col segretario, spesso con amici per risparmiare. Al Veneto Zaccaria Contarini, in Germania, viene data una casa con un morto di peste dentro. Machiavelli, inviato in Francia, non fa che spedire lamentele a Firenze, perché non ha soldi sufficienti per seguire il Re a caccia e per avere un cavallo.

Presso i Romani, i cancellieri erano una delle categorie più umili: addetti, nei tribunali, al controllo delle transenne o cancelli. Con Federico II, invece, il Gran Cancelliere diviene membro del Consiglio della Corona; presso i Savoia, dal XIV secolo, il cancelliere rappresenta il Sovrano nell’amministrazione della giustizia. A Venezia dal 1268 c’è un «cancelliere grande», eletto a vita dal Maggior Consiglio: sono affidati generalmente a lui il controllo in materia finanziaria e l’archiviazione dei documenti che interessano la vita dello Stato.

I bagagli diplomatici vengono aperti regolarmente, anche se sarebbe proibito, e si fruga nei rapporti dell’ambasciatore. Questi deve inviare almeno una relazione alla settimana e, siccome il corriere speciale è troppo costoso, è costretto a servirsi dei normali servizi. I Cinesi avevano un’organizzazione postale fin dal 4.000 avanti Cristo, gli Egiziani dal 2.400 avanti Cristo; in Occidente, scomparso il «cursus publicus» creato dall’Impero Romano, sorgono organizzazioni private, prima degli Ordini religiosi (i Cistercensi collegano rapidamente i loro 6.000 conventi) e poi delle Università (Parigi dal 1383 ha in ogni diocesi dei «missi volantes»). Il risultato dell’uso dei servizi postali ordinari è che i tempi di ricezione delle notizie si dilatano: se una lettera impiega 3 giorni per andare da Roma a Venezia, e 7 da Torino a Venezia, per andare da Roma a Parigi una lettera impiega 12 giorni, da 20 a 30 giorni da Venezia a Londra, e più di un mese dalla Spagna a Roma. Il primo Stato ad organizzare un serio servizio postale è Venezia, in cui per decreto del Maggior Consiglio sorge nel 1300 la Compagnia dei Corrieri della Serenissima; dal XV al XVII secolo la posta internazionale viene controllata dai discendenti del Bergamasco Omodeo Tasso, che trasferendosi in Germania mutano il loro cognome in Taxis.

(gennaio 2016)

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