Femminicidio «ante litteram»
Gelosia, sospetti, malelingue: cronaca di un delitto «annunciato» che sembra una vicenda dei nostri giorni

Quando un uomo uccide una donna, come segnala Barbara Spinelli in un suo libro del 2001, commette un «femminicidio», coniando un termine che raccoglie in sé tutta la ferocia che lo accompagna. E brava la scrittrice, che ha inventato un termine di significato molto chiaro, senza ricorrere alla mala abitudine di scomodare altre lingue (l’inglese «in primis», ma anche il francese o altri idiomi) per esprimere un concetto che la lingua italiana, con le sue infinite radici e fonti, è tranquillamente in grado di fornire.

Prima di allora, il termine usato era «uxoricidio», ma era riduttivo, giacché si riferiva alla radice «uxor», cioè «moglie» in latino, anche se poi per estensione si poteva usarlo nel caso dell’uccisione del marito da parte della moglie. Quindi «femminicidio» ha messo tutti d’accordo: il termine dice chiaramente che l’oggetto dell’atto è la donna, come tale, indipendentemente se si tratti di moglie, amante, amica o quant’altro.

E prima non c’erano casi in cui un uomo uccideva una donna? Malauguratamente, fa parte della natura umana, e la storia e le cronache da sempre riportano i casi più eclatanti, in cui l’atto malsano è portato a termine, ossia quelli che hanno come protagonisti personaggi famosi, che hanno un indiscusso peso nella società, in senso buono oppure cattivo che sia. Per gli altri, solitamente due righe e qualche parola di disapprovazione mette a tacere il tutto.

E le ragioni che portano al femminicidio? Sono le più varie, da quelle psicologiche a quelle educative, a quelle economiche, a quelle lavorative e sociali, a quelle sessuali...

In tutti i tempi il tradimento della moglie ha lasciato strascichi sanguinosi nelle famiglie di tutto il mondo; infatti, purtroppo non passa giorno che le cronache non riportino fatti del genere. Insomma, «nihil novi sub sole» («niente di nuovo sotto il sole»), locuzione latina che si ritrova nella Bibbia. Il mondo va avanti senza scossoni, per certi versi: «Hai fatto l’errore di tradirmi» (ma guarda caso, sono le rimostranze di un uomo nei confronti di una donna, raramente il contrario), «per cui ti annullo, perché è la sola maniera per impedirti di rifarlo ancora e di rendermi ridicolo presso gli altri!»

Andando indietro nel tempo, verso la fine del secolo XVI, nel Ducato di Ferrara, dove ancora non si sentivano le campane a morto che avrebbero segnato la deprecata devoluzione dello Stato Estense nello Stato Pontificio, il reggente era Alfonso II d’Este che, essendo senza figli legittimi, consegnò il potere al cugino Cesare, nella speranza che, essendo l’Impero d’accordo, il Papa l’avrebbe accettato come successore; ma, considerato che nemmeno Cesare aveva figli legittimi, Clemente VIII, che riteneva proficuo mettere le mani sul Ducato, applicò alla lettera gli accordi precedenti e lo incamerò. Tutto questo si riporta solamente per inquadrare la situazione esistente nello Stato Estense, dove la vita era tranquilla e serena, perché non c’era ancora il sentore dei guai in arrivo.

Al servizio della Corte di Ferrara, era Giovanni Battista Guarini, poeta e diplomatico, valido funzionario molto rispettato dal Duca e marito di Taddea Bendidio; scrisse molte opere, ma la più notevole fu il dramma Il pastor fido, che fu messo in scena per la prima volta nel 1585, in occasione e in onore delle nozze del Duca di Savoia e Catarina d’Austria.

La coppia aveva una figlia, Anna Guarini (detta la Guarina), che crebbe in un ambiente colto e favorevolmente caratterizzato dalla presenza in famiglia delle due sorelle da parte di madre, Isabella e Lucrezia Bendidio, che erano cantanti di Corte. Anna si applicò seriamente al canto sotto la guida del Maestro Compositore Luzzasco Luzzaschi e grazie al liuto di Ippolito Fiorini, che era Maestro della Cappella Ducale. Le cronache del tempo riportano che divenne una delle voci liriche fra le più famose dell’epoca e che si esibiva accompagnando con il liuto la divina voce di soprano acuto.

Nel 1580, all’età di 17 anni, notevolmente apprezzata per le sue doti artistiche, fu convocata come damigella d’onore alla Corte Estense dalla Duchessa Margherita, a seguito del desiderio del marito di dare alla giovanissima consorte (nel 1579, anno del matrimonio, aveva 15 anni, mentre il Duca ne aveva già 36) il piacere di avere qualcosa di suo da organizzare a proprio piacimento; per onore di cronaca, si riporta che Alfonso era intenditore e amante della musica, per cui era pure un piacere suo.

Così, il 1° dicembre 1580, Anna entrò a far parte del complesso di allieve che nel giro di pochi anni di preparazione divenne un’«orchestra da camera segreta», denominata il Concerto delle Donne; inoltre, fu istituito un Balletto delle Donne. La Duchessa chiamò presso di sé da Mantova la famosa cantante Laura Peverara che, nelle coreografie, mancando elementi maschili, ne vestiva gli abiti, e l’altra cantante, pure da Mantova, Livia d’Arco, che era pure suonatrice di viola da gamba. Come coordinatrice, era stata convocata la Modenese Tarquinia Molza che, oltre a essere filosofa, suonava il clavicembalo, il liuto e la viola da gamba. Del gruppo, costituito da tante dame e damigelle, faceva parte anche l’ispiratrice di Torquato Tasso, Beatrice di Lodrone. La funzione del gruppo era quella di dedicarsi alla musica esclusivamente per dare piacere alla coppia in camerini definiti «segreti», allo scopo allestiti. Ma il piacere più grande si aveva quando si assisteva alle esibizioni del trio di suonatrici e cantanti formato da Anna al liuto, Laura all’arpa e Livia alla viola da gamba, che si esibivano meravigliosamente; talora si aggiungeva la Molza. Naturalmente, in occasione di ricorrenze particolari, come il carnevale oppure in onore di illustri ospiti, si organizzavano concerti segreti, sempre riservati a pochi intimi della Corte. Così, le opere teatrali con la musica, il canto, i balli divennero una parte essenziale della vita di Corte del Ducato Estense.

A quei tempi, però, soprattutto nelle famiglie di un certo ambiente, la scelta del marito da parte delle giovani ragazze non sempre era libera, ma doveva sottostare alle decisioni di chi metteva davanti alla loro felicità i propri interessi personali o di famiglia. La storia e le cronache sono sovrabbondanti di casi del genere. Basti citare, a caso, l’esempio di Lucrezia Borgia, che dovette sempre stare agli ordini del padre, il Papa Alessandro VI, e del fratello Cesare, noncuranti dei suoi problemi di cuore. Lo stesso capitava alla Corte Estense. Il Duca per le sue damigelle di Corte abbinava una dote a un buon matrimonio, sempre con personaggi a lui legati. Lo fece per la Peverara, per la Molza e per altre, fra cui Anna Guarini. L’età giovanile non impedì alla ragazza di mettersi in luce e negli anni conquistò la simpatia dei cortigiani, in particolare quella del Duca. L’Estense concedeva alle damigelle di Corte una dote e un matrimonio convenienti (Ambasciatori, Ministri, nobili), impegnando per le unioni quanto occorreva. Così egli fece per la Peverara, la Lodrone, la Sanvitale, la Molza, la Guarina, senza che ad alcuna di esse fosse lecito rifiutare lo sposo che a loro veniva assegnato.

Si avviarono le trattative preliminari al suo matrimonio con il conte Ercole Trotti, di parecchi anni più anziano di lei. Pare che le maggiori difficoltà siano giunte dal padre, il quale non aveva alcuna intenzione di aumentare la dote della figlia, come desiderava il conte Trotti, perché – si giustificò presso il suo signore – non voleva correre il rischio di avere controversie in atto, che avrebbero potuto compromettere l’avvenire degli altri figli. Non è noto se il Trotti abbia abbassato le sue richieste o se sia intervenuto il Duca con del suo; comunque, dopo diverse discussioni, si raggiunse l’accordo e il matrimonio fu celebrato l’ultima domenica di agosto 1584, con un rito privato e con la presenza della coppia ducale; e così Anna Guarini divenne la contessa Trotti.

Praticamente, aveva accontentato tutti, tranne se stessa: da un lato il Duca che la trattenne alla Corte, insieme con il marito, al servizio della consorte con compenso compreso fra i 60 e i 100 scudi d’oro l’anno, dall’altro il conte che ritrovava la sua scomparsa giovinezza e a cui era garantita una vita senza difficoltà finanziarie; senza dimenticare il padre, che pure lui ebbe il suo tornaconto. Purtroppo era prassi abbastanza comune che le giovinette, tenute a rispettare le volontà dei maschi, sacrificassero il proprio cuore all’arbitrio di chi aveva in mano il potere e la potestà.

Chiaramente, nella nuova situazione in cui si veniva a trovare, la giovane sposa cercava di trovare in feste, divertimenti, amicizie e così via ciò che la vita le aveva negato; e così fu pure per la Guarini. I concerti delle dame della Corte Estense erano diventati celeberrimi ovunque, ma il Duca li riservava per sé, per le persone più vicine e per i personaggi importanti che giungevano alla Corte. Nei concerti, Anna era sempre la primadonna sia per la voce sia per il liuto.

Però, il trovarsi in mezzo a giovani nobili e magari belli può fuorviare tutte le migliori intenzioni comportamentali di una giovane donna. Ricordate Ugo e Parisina oppure Paolo e Francesca, tanto per fare mente locale sul concetto? Non si sa se Anna si sia trovata nelle stesse o in analoghe situazioni come quelle delle coppie ricordate, però i dubbi ci sono stati e sono stati fatali.

Fra le sue conoscenze, stando ai «si dice», era il conte Ercole Bevilacqua, di buona e ricca famiglia, cortigiano e militare, capitano dei cavalleggeri ducali, che nel 1576 sposò la ricchissima Bradamante d’Este, sorella di Marfisa. Qualche anno più tardi, si iniziò a ritenere che egli dimostrasse interessi particolari verso Anna. Nelle cronache ferraresi, comunque, non si trova nulla in merito a un tradimento della donna. Nel 1590, precisamente il 19 giugno, il Bevilacqua fu urgentemente convocato dal Duca. Ma che cos’era successo? Il conte Trotti e la moglie del Bevilacqua erano ricorsi al loro signore per chiedere il suo intervento al fine di tenere lontano da Anna lo spavaldo militare; ad aggravare la sua situazione circolavano voci secondo le quali il Bevilacqua, per poter sposare la Guarina, avesse tentato di avvelenare sia la propria moglie sia il conte Trotti. Pertanto, lo punì con l’esilio e gli si impose di allontanarsi da Ferrara entro tre ore. Nello stesso tempo, si obbligò il Trotti a non molestare la moglie, intimazione che subì malvolentieri.

E questo è talmente vero che, non appena il Duca Alfonso II morì nell’ottobre del 1597, il conte si sentì libero da ogni dovere di obbedienza nei suoi confronti e iniziò a rimuginare su come mettere fine alla vita di Anna, per ripetere ciò che aveva commesso il padre con la soppressione della madre, sia per gelosia sia per un distorto senso dell’onore.

L’anno successivo, con la devoluzione del Ducato alla Chiesa, il conte Bevilacqua ritornò a Ferrara, accolto con grande onore dal Cardinale Aldobrandini, nipote del Papa. La moglie Bradamante non volle più sapere di riunirsi a lui e seguì il cugino nel Ducato di Modena. Il favore di cui era soggetto il rimpatriato da parte dei nuovi padroni della città, fece andare su tutte le furie Ercole Trotti, pensando che fosse stato lui la causa di tutte le sue disgrazie, e così decise di eliminare chi era indirettamente – o forse no – la causa di tutti i suoi dispiaceri. Malignando, si potrebbe supporre che il rumore destato dalla mai dimostrata scappatella della Guarina, abbia creato dei rapporti certamente molto freddi fra i coniugi, tanto da farli considerare due estranei.

Così, il conte concordò il piano con il fratello di Anna, Girolamo Guarini, e si procurò un sicario, tale Jacopo Lazzarini, Mantovano. Nei primi giorni di aprile del 1598, egli portò tutta la famiglia a Zenzalino presso Copparo, una delle tante Delizie Estensi, sparse per tutto il territorio ducale, in quello che, più che un palazzo, era un castello. Per chiarire, il termine Zenzalino non ha nulla a che spartire con la presenza esuberante e micidiale delle zanzare (tanto che la malaria era di casa, purtroppo), bensì alla esistenza abbondante di selvaggina, in particolare di «zinghiali e zinghialini».

Il 3 di maggio, Anna era indisposta e pertanto riposava nel suo letto. Il marito, insieme con il Lazzarini, entrò nella stanza. Una cronaca dell’epoca descrisse come avvenne il fattaccio: «La vista di quei due uomini non lasciò un solo istante dubitare l’infelice donna sulla cagione che ve li aveva condotti e, balzata dal letto e inginocchiatasi ai piedi del marito, implorò grazia della vita». Fu inascoltata e un primo colpo di ascia («al manarin», in ferrarese) la ferì alla gola, un secondo colpo sulla testa provocò una profonda lesione nel cranio e un terzo colpo prese Anna in pieno volto; sembrando ai due che non fosse morta, le diedero il colpo di grazia, aprendole la gola con un rasoio. Completato il misfatto, fuggirono oltre il Po, nel territorio della Repubblica di Venezia.

La povera salma fu tumulata dal padre nella chiesa di Santa Caterina, sotto una lapide con un’iscrizione latina composta dal padre. Il legato papale, tuttavia, la fece rimuovere, giacché... era potenzialmente «foriera» di altri scandali.

I giudici estensi aprirono un’istruttoria del processo e riuscirono a ricostruire il fatto in base alle testimonianze di servi e di una balia. In quell’occasione, la vedova di Alfonso II, Margherita Gonzaga, giurò che, dopo aver avuto con sé la Guarina per 18 anni e conoscendola a fondo, non poteva che essere innocente.

A quel punto, mentre del Lazzarini si sonno perse le tracce, il Trotti fu condannato a morte in contumacia, mentre tutti i suoi averi furono confiscati. Il Duca di Modena Cesare d’Este, non solo gli diede ospitalità e protezione, ma addirittura lo nominò capitano della guardia ducale e gli diede incarichi di grande importanza. Il Bevilacqua, invece, non fu perdonato, per cui gli fu impedito di avvicinarsi alla moglie, che del resto non ne voleva sapere, e alla sua decina di figli.

Il conte Ercole Trotti, dopo anni di esilio, avanzò istanza di perdono al Papa e al Cardinale Aldobrandini, che comandava a Ferrara, accompagnata dalle raccomandazioni del Duca di Modena; chiedeva di poter ritornare alla sua patria e di riprendere le proprietà che gli erano state confiscate. Però, questa richiesta trovava sempre il diniego da parte del Guarini, il quale infine, dopo otto anni, sentendo che le forze avevano iniziato a mancargli e che era vicina la fine, cedette e si decise di concedergli la grazia. Sicché il Trotti, pur continuando a essere funzionario del Ducato di Modena, ritornò a Zenzalino con la seconda moglie e rientrò in possesso dei suoi beni.

Tutti questi avvenimenti portarono alla conclusione della stagione dei magnifici concerti della Corte Estense.

E i protagonisti del lugubre misfatto (Ercole Bevilacqua, Girolamo Guarini ed Ercole Trotti), beati loro, morirono tutti di morte naturale.

(novembre 2020)

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