Ferocia e blasfemia
Ercole, figlio di Sigismondo Cantelmo, è stato un personaggio poco conosciuto; una parte interessante della sua storia riguarda la sua morte e... ciò che è successo in seguito

Un personaggio di cui si è parlato poco e che è finito nel dimenticatoio, è stato Ercole, uno dei figli di Sigismondo Cantelmo, Duca di Sora, località al confine fra Lazio e Abruzzo. Il padre, Pietro Giampaolo, Duca di Sora e Conte di Alvito e di Popoli, a causa di sfortunate situazioni economiche e di sfavorevoli vicende di guerra, perse piano piano tutti i suoi feudi, tanto da doversi rifugiare a Roma con l’altro figlio Ferrante. Era l’anno 1487. Nel frattempo, Sigismondo si era trasferito a Ferrara e viveva alla Corte Estense come gradito ospite, benvoluto dal Duca Ercole I d’Este e dalla consorte Eleonora d’Aragona, sua lontana parente. Sposò la figlia di un ricchissimo notaio locale, che gli diede due figli, Francesco ed Ercole; quest’ultimo fu così chiamato, per ringraziare in debito di riconoscenza la liberalità del Duca con la quale era trattato e per il titolo di cavaliere che gli aveva dato. D’altra parte non se la sarebbe passata male in ogni modo, essendo la moglie proprietaria di ricchi beni nel Ferrarese e nel Mantovano. Per dimostrare ulteriormente la sua gratitudine, fece entrare Ercole nei ranghi dell’esercito estense. Fu benvoluto pure da Alfonso I, successore di Ercole I, e dal fratello Ippolito, potente Cardinale, spesso in contrasto con il Vaticano.

Come ho già avuto modo di ricordare in un precedente articolo, la famosa Battaglia di Polesella del 22 dicembre 1509 (guidata da Sigismondo con il grado di Generale e dallo stesso Cardinale Ippolito per la parte ferrarese e da Trevisan per Venezia) per la Serenissima Repubblica di Venezia fu una vera e propria disfatta, con la decimazione della sua flotta (soltanto tre delle sue formidabili galee si salvarono, perché erano a ridosso di un’isola sabbiosa del Po, ricca di alberi che le protessero contro le cannonate estensi e che alla fine servirono ai superstiti per tornare – come si dice – con la coda fra le gambe nella loro città), mentre i soldati e i marinai, che a nuoto erano riusciti a scampare alle cannonate dell’artiglieria nemica e agli incendi conseguenti e che, purtroppo per loro, erano approdati, sbagliando, sulla sponda destra del fiume, furono catturati e barbaramente massacrati. La Convenzione di Ginevra sul diritto dei prigionieri di guerra era ancora lontana da venire, anche se non sono mancati casi eclatanti in cui sia stata disattesa.

Nella foga della battaglia e negli scoppi delle armi e dei cannoni, malauguratamente il cavallo del giovane Ercole si era imbizzarrito ed era finito in una zona pantanosa occupata dai Veneziani dalla quale non riuscì a districarsi, dando loro il tempo di circondarlo e di catturarlo, malgrado la valorosa reazione mostrata. Dopo un sommario processo, i Veneziani lo esibirono sull’ammiraglia e, malgrado il tentativo avanzato dalla parte estense di riscattarlo, essi, memori della ferocia con la quale erano stati eliminati i compagni catturati dal nemico, non ebbero pietà del giovane che, obbligato ad appoggiare il capo sullo scalmo di un remo, fu freddamente decapitato, fra le urla di disperazione del padre e la costernazione degli astanti della sponda destra del Po.

Il Duca Alfonso I, commosso per il dolore di Sigismondo e in segno di stima e affetto, riscattò il corpo del giovane Ercole, fece ricucire la testa al corpo, poi volle che fosse imbalsamato e che gli fosse riservato un funerale solenne e senza badare a spese, come avvenne più tardi; così, il giovane ebbe sepoltura provvisoria nella chiesa di San Francesco a Ferrara.

Ludovico Ariosto, che beneficiava della protezione del Duca, volle ricordare il giovane, che era stato bello e coraggioso, nel suo grande poema Orlando Furioso, citandolo nel canto XXXVI, dicendo che era

«il più ardito garzon che di sua etade
fosse da un polo all’altro, e da l’estrem
lito degl’Indi a quello ove il sole cade».

Tutto quanto riguarda il povero Ercole Cantelmo potrebbe finire qui, con la sua tragica scomparsa, ma invece ci fu un seguito che vale la pena di ricordare per il comportamento di uomini che, secondo me, li avrebbe dovuti fare vergognare.

Come detto più sopra, il corpo imbalsamato del giovane Ercole, era stato provvisoriamente posto nella chiesa di San Francesco, ma fu dimenticato. Non a caso tantissime cose collocate in attesa di una sistemazione definitiva hanno, nella temporaneità, la consacrazione conclusiva.

Invero, tutto continuò tranquillamente fino al 1570, quando il 16 e il 17 novembre scoppiò un tremendo terremoto, che coinvolse e distrusse circa la metà dell’intera città, mentre molti edifici, rimasti miracolosamente in piedi, riportarono segni indelebili. Gli strascichi, come sciame sismico, si protrassero fino al 1574, sotto forma di circa 2.000 scosse, di cui la maggior parte si concentrò alla fine del 1574. Se la situazione del Ducato di Ferrara (che ormai Ducato non lo era quasi più, dato che con il 1598, a seguito della devoluzione, sarebbe ritornato sotto il dominio dello Stato Pontificio) era in declino, come in effetti era, il sisma aiutò a peggiorare la decadenza, che durò fino all’Ottocento. Da sottolineare il fatto che il sisma rappresentò il primo caso, scrupolosamente documentato, della cosiddetta «liquefazione del suolo», che consiste nel comportamento mostrato dai terreni sabbiosi, quando fra i vuoti delle particelle solide si sviluppa una forte pressione (pressione interstiziale): i terreni passano dallo stato solido a quello liquido o avente come minimo la consistenza di un fluido pesante. È quello che successe durante il terremoto del 29 maggio 2012, che sconvolse l’Emilia.

Anche la chiesa di San Francesco subì la violenza del terribile sisma, tanto da essere gravemente disastrata. Il problema del seppellimento dei morti e il pensiero delle ristrutturazioni fecero dimenticare tutto quanto era ritenuto non indispensabile fare, riservando il superfluo per il futuro. Così, come altre costruzioni, rimase a come il terremoto l’aveva ridotta e al povero Ercole nessuno pensò più.

Quando, circa un secolo e mezzo dopo, i frati francescani decisero di mettere mano alla chiesa per ristrutturarla, durante i lavori si imbatterono in una cassa contenente la mummia di un cavaliere, forse un condottiero, che non riuscirono a identificare e che era in perfetto stato di conservazione: si trattava di un corpo gigantesco, perché è stato riportato che si trattava di un omone, alto quasi due metri; chiaramente, si vedeva che il collo era stato ricucito. I frati lo portarono nel loro convento e lo sistemarono in una stanza della loro sagrestia. Ma piano piano si erano talmente abituati alla sua presenza che non consideravano per niente che si era in presenza di un essere umano, anche se morto, e avevano presa la cattiva abitudine, sicuramente di cattivo gusto, di usare la mummia come se fosse un fantoccio, un manichino, una marionetta, nelle rappresentazioni teatrali che solitamente facevano oppure si facevano matte risate esponendolo di sorpresa quando si trovava qualcuno a passare presso il loro convento, per spaventarlo. Sicuramente, era un trattamento come minimo deprecabile, soprattutto da parte di religiosi. Forse «blasfemo» è l’attributo più giusto per definire il loro comportamento.

Dai fatti, spesso, alle immaginazioni della gente il passo è molto breve: così, in quel periodo iniziarono a circolare voci che il fantasma di un cavaliere vagasse di notte nei dintorni della chiesa di San Francesco alla disperata ricerca del suo sepolcro. E il giochino dei frati continuava a ripetersi, finché, finalmente, capitò qualcosa che, come minimo, mise al loro posto le cose che mal funzionavano. Era il 1668 e capitò a Ferrara un certo Don Jacopo Cantelmo di Sora, un uomo di religione, discendente di un’antica, nobile e illustre famiglia. Era, oltreché membro della Chiesa, un appassionato di antichità, di archeologia e storia. Aggirandosi per la città, in cerca di pezzi di antiquariato e di notizie in genere, venne a sapere che presso i frati francescani, nella chiesa di San Francesco, appunto, c’era un’antica mummia di cui nessuno sapeva nulla, a parte il fatto di averla trovata durante la sua ricostruzione. La sua curiosità fu sollecitata e nello stesso tempo, riandando indietro nel tempo ebbe il dubbio che si potesse trattare proprio della salma imbalsamata del suo antenato, di cui sicuramente aveva saputa tutta la faccenda dalle cronache sulla Battaglia di Polesella e di tutto quanto le era collegato. E una volta giunto al convento e dopo aver vista la mummia, si convinse – probabilmente per le dimensioni del corpo, ma forse soprattutto perché il capo gli era stato ricucito – che si trattava veramente del povero Ercole. Naturalmente, non ebbe peli sulla lingua per esprimere tutto il suo disappunto e la sua esecrazione per come quelle povere spoglie erano trattate, rimproverando aspramente i frati che, fra l’altro, si mostrarono veramente imbarazzati, e ubbidirono immediatamente quando il Cantelmo intimò loro di dargli onorata sepoltura. Pertanto, i Francescani dovettero accollarsi l’onere e l’onore di celebrare nuove, solenni e pepate onoranze funebri.

Così, la salma di Ercole trovò finalmente il suo sepolcro proprio di fronte all’altare di Sant’Antonio. Ed è lì che tuttora riposa in pace, ricoperta da un marmo, consunto dal continuo calpestio dei fedeli, riportante come ornamento le sue armi e la scritta: «Hic jacet Hercules Cantelmus dux Sorae, qui obiit anno Domini MDIX» («Qui giace Ercole Cantelmo Duca di Sora, che morì nell’anno del Signore 1509»).

Da allora, le voci sul fantasma notturno non ebbero più un seguito.

(ottobre 2020)

Tag: Mario Zaniboni, ferocia e blasfemia, Ercole, Sigismondo Cantelmo, Duca di Sora, Pietro Giampaolo, Conte di Alvito e di Popoli, Ferrara, Corte Estense, Ercole I d’Este, Eleonora d’Aragona, Alfonso I, Cardinale Ippolito, Battaglia di Polesella, 22 dicembre 1509, Trevisan, Repubblica di Venezia, Convenzione di Ginevra, chiesa di San Francesco a Ferrara, Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, Ercole Cantelmo, terremoto di Ferrara, Ducato di Ferrara, Stato Pontificio, liquefazione del suolo, terremoto del 2012, Don Jacopo Cantelmo di Sora, fantasma di Ercole Cantelmo, 1509.