Guerra del sale
Rogne a non finire

Già da tempo c’era il sentore che Venezia digerisse in malo modo la concorrenza attuata dal Ducato Estense a proposito del commercio del sale prodotto dalla Salina di Comacchio. E all’inizio dell’anno 1479, il Duca Ercole I d’Este ebbe la conferma del malcontento della Repubblica lagunare come ebbe a riportare il console ducale in quella città: il Doge Giovanni Mocenigo aveva espresso le lamentele del caso e stava rimuginando in quale modo gli sarebbe stato possibile interrompere quel commercio dannoso per le casse del suo Stato, giacché il sale comacchiese era raccolto senza autorizzazione e commerciato abusivamente, oltretutto a un costo inferiore di quello delle saline veneziane, ed era ciò che maggiormente lo infastidiva. Del resto, era pressoché impossibile in maniera pacifica fare smettere ai Comacchiesi di svolgere quest’attività irregolare: in effetti, per loro non c’erano molte possibilità di collegare il pranzo con la cena, se non la pesca delle anguille e di altri pesci tra valli e mare, quindi la vendita del sale era fondamentale. I tentativi di bloccare quegli pseudo commercianti, definiti briganti, erano un’utopia: dopo aver portato a termine le loro operazioni furtive, si ritiravano al sicuro nelle acque paludose delle loro valli, e... chi si è visto, si è visto!

Però, e questo è ancora più grave, essi non si accontentavano di commerciare il sale: se capitava qualche ghiotta occasione, derubavano i mercanti. E, infatti, fu proprio l’assalto a un mercante che portava merci a Venezia, provenendo da Rimini, a por fine a ogni indugio. Così, da Venezia furono inviate imbarcazioni colme di armigeri, che riuscirono a entrare nel porto di Magnavacca (oggi Porto Garibaldi) e a combinare danni a diverse strutture. I Comacchiesi opposero una strenua resistenza attraverso l’uso di falconetti, lancio di sassi e agganciando i Veneziani con le ancorine usate per le nasse per tirarli in acqua. In tal modo riuscirono a respingere il nemico.

Venezia continuò a lamentarsi, fece ancora altri tentativi ma senza risultati concreti; allora smise di tentare di combattere via mare, poiché si rese conto che era una battaglia persa in partenza, per cui cominciò a pensare a un’azione molto più corposa per via di terra, con una dichiarazione di guerra nel vero senso della parola.

Naturalmente, a Ercole non era sfuggito che era il caso di chiarire come andassero le cose verso il mare, inviando un funzionario che riscontrasse quanto stesse accadendo. E allora venne a sapere che si trattava anche di soldati che da troppo tempo erano rimasti senza paga e che pertanto si arrangiavano assaltando i mercanti che avevano commerci con Venezia e Rimini. (Al Duca Ercole I il fatto era del tutto soddisfacente, poiché indirettamente il tutto tornava a vantaggio delle casse, sempre semivuote, del suo Stato: da un lato, la merce veniva alienata e qualcosa ne derivava, inoltre la presenza di soldati garantiva anche quella di donne dai facili costumi che praticavano la loro professione in cambio del prezioso sale, che alle truppe non mancava, da cui altre entrate). Le cronache riportano un episodio che fa inorridire. Due natanti, provenienti da Rimini e diretti a Chioggia, con uno stratagemma furono fatti entrare nel porto di Magnavacca. Ma quando ci si rese conto che il carico trasportato non era altro che un quantitativo di botti di aceto, il capitano delle guardie ebbe la «luminosa» idea di infilarvi i marinai catturati e, dopo averveli chiusi dentro, di rispedire in mare le due imbarcazioni. Roba da Jack lo Squartatore di Londra!

A questo punto, la misura era colma, per cui qualche mese dopo, Venezia inviò 900 mercenari ciprioti e albanesi, esperti negli attacchi notturni, i quali con le loro piccole imbarcazioni riuscirono a entrare, però accusando rilevanti perdite – è corretto dirlo – nella città di Comacchio, annettendola fra i suoi territori. A dimostrazione della volontà della Repubblica di Venezia di restare a Comacchio stabilmente stanno le opere di difesa degli argini e del territorio in generale lungo la costa, che dovevano servire a rintuzzare tutti i possibili tentativi da parte di Ferrara di riconquistarla.

Un comandante del Ducato, Riccardo Arveda, si rese disponibile a tentare di riprendere Comacchio e chiese al Duca uomini e artiglierie, ma questi dovette ammettere che non era il caso di reagire, in considerazione del fatto che il pericolo maggiore proveniva dal Nord e che non si era ancora pronti per una guerra che, si temeva, sarebbe stata veramente lunga e sanguinosa. Tutto questo anche perché non ebbe aiuto da nessuno dei territori del Ducato (né da Argenta, località Sud-Orientale del Ducato, né da Stellata e Ficarolo, località a Nord, la prima sull’argine Sud del Po e l’altra sul suo lato Nord). Comunque, in vista della quasi sicura dichiarazione di guerra da parte dei Veneziani, conferì l’incarico allo stesso Arveda di reclutare uomini quali che fossero e dove fosse possibile. Così il suo esercito fu formato da gente di malaffare, da contadini e da carcerati arruolati con la promessa d’indulto e libertà, se tutto fosse funzionato al meglio. La sua armata più varia di così non avrebbe potuto essere. Ebbene, con questo raffazzonato esercito, Arveda in una notte da lupi – come si dice – nel pieno di un nebbione caratteristico della bassa pianura, sorprese le difese veneziane e riuscì a riconquistare Comacchio, mandando a morte 800 nemici, derubandoli delle loro armi e impossessandosi delle possenti fortificazioni costruite in pietra dai mercenari, ben fornite di artiglierie leggere e buoni alloggiamenti.

Il Duca fu soddisfatto dei risultati ottenuti da Arveda e dalla sua squinternata armata, ma nello stesso tempo, considerato che i rapporti con la Repubblica di Venezia rapidamente si aggravavano, comprese che il tempo era scaduto, che bisognava stare pronti, perché la guerra era alle porte, come, infatti, avvenne nel 1482. D’altra parte, i Veneziani erano stanchi sia delle tendenze espansionistiche dei Ferraresi sia della concorrenza del commercio del sale comacchiese. Inizialmente erano indecisi su come comportarsi, ma la spinta a procedere con le armi venne dall’appoggio militare offerto dal nipote del Papa Sisto IV, Girolamo Riario, che aveva appena allargato i suoi possedimenti inglobando Forlì e che aveva la brama – già che c’era – di annettere pure il territorio estense. Così si fece un’alleanza con chi aveva dei conti in sospeso con il Duca. All’alleanza si dissero favorevoli, oltre al Papato, pure la Repubblica di Genova e il Marchesato del Monferrato con Bonifacio III. Naturalmente pure il Ducato di Ferrara si procurò degli alleati: il Re di Napoli Ferdinando I, il Marchese di Mantova Federico I Gonzaga, il Duca di Milano Ludovico il Moro, il Signore di Bologna Giovanni Bentivoglio e il Duca di Urbino Federico da Montefeltro.

Le ostilità iniziarono nel maggio del 1482. Dal Nord scesero contro le difese del Po le truppe guidate da Roberto di San Severino, imperversando lungo la sua sponda sinistra, impossessandosi di Ficarolo, Adria, Lendinara, Badia, Rovigo e Comacchio; quest’ultima sulla destra del fiume. Contemporaneamente, truppe provenienti da Ravenna attaccarono le difese estensi nel lato Sud-Orientale del territorio, occupando Argenta, mentre dal lato Sud una flotta risaliva il Po di Primaro. Insomma, la città si era trovata fra più fuochi, cioè in una condizione difficile da sbrogliare. Inizialmente, la truppa scesa dal Nord ebbe successo, tanto da giungere fino sotto la cinta muraria cittadina. Quelle mura, come quelle che furono innalzate più a nord dopo il raddoppiamento della città alla fine del XV secolo, oggi ancora chiaramente visitabili, non erano molto elevate e possenti, contrariamente a quelle che proteggono la città a Est e a Sud-Est, giacché essendo il suolo paludoso e pestilenziale, dominio incontrastato delle zanzare e della malaria che diffondevano, riusciva quasi ad autodifendersi, perché, se i piedi sprofondavano, figurarsi cosa poteva succedere ai carri, ai cannoni o a quant’altro di pesante, che avessero tentato di transitarvi. A dimostrazione dell’insalubrità del territorio è la morte del condottiero Federico da Montefeltro, uno dei comandanti delle truppe lagunari del Nord, proprio per malaria; a lui fecero compagnia molti dei suoi combattenti.

Nello stesso tempo, era in atto un complesso conflitto fra il Papato e il Regno di Napoli. Con la Battaglia di Campomorto, il primo vinse. A quel punto, intervenne il Duca di Milano Lodovico il Moro, perché era veramente preoccupato per il dilagare dei Veneziani nei territori fra Nord e Sud del Po. Pertanto, convinse il Papa a cessare ogni ostilità, tanto che la pace fu firmata il 12 dicembre del 1482, e sei mesi più tardi, il Papa obbligò Venezia a smettere di allargare i propri confini. Naturalmente, l’ingiunzione del Papa non piacque alla città lagunare, che si arrabbiò tanto da buscarsi la scomunica. Alla fine, però, con la Pace di Bagnoli dell’agosto 1484, si raggiunse un periodo di tranquillità.

Si deve riconoscere che, in definitiva, alla Serenissima non andò poi tanto male, giacché mantenne tutti, o quasi, i territori che aveva occupato durante la guerra; e nemmeno il Duca di Ferrara dovette lamentarsi più di tanto: infatti riebbe, in ordine alfabetico, Adria, Ariano, Castelnuovo, Corbola, Ficarolo Melara, tutte località sulla sponda sinistra del Grande Fiume, e naturalmente Comacchio.

Ci fu un periodo di tranquillità durante il quale il Duca Ercole I ebbe il tempo di raddoppiare la sua città, con la famosa «addizione erculea», progettata e realizzata dall’architetto di Corte Biagio Rossetti. Con questa realizzazione urbanistica, Ferrara fu definita la «prima città moderna d’Europa».

Ma le cose belle durano poco: infatti le rogne fra Ferrara e Venezia ripresero, tanto che nel 1409 scoppiò il conflitto, che ebbe, come conclusione, la Battaglia di Polesella, con le conseguenze che sono state descritte in un articolo già pubblicato.

(marzo 2021)

Tag: Mario Zaniboni, Guerra del sale, Ducato Estense, commercio del sale, Salina di Comacchio, 1479, Ercole I d’Este, Giovanni Mocenigo, Venezia, porto di Magnavacca, Riccardo Arveda, Sisto IV, Girolamo Riario, Bonifacio III, Ferdinando I, Federico I Gonzaga, Ludovico il Moro, Giovanni Bentivoglio, Federico da Montefeltro, Roberto di San Severino, Comacchio, Battaglia di Campomorto, Pace di Bagnoli, addizione erculea, Biagio Rossetti, Ferrara, Battaglia di Polesella.