Isabella d’Este vs Lucrezia Borgia
Uno scontro storico

La Corte Estense, come capitava ovunque in tutte le Corti, non fu mai tranquilla, perché in un modo o in un altro qualcosa che non funzionasse c’era ogni giorno.

Però, sembrava tutto sereno, nel periodo a cavallo fra il XV e il XVI secolo, in un Ducato dove primeggiava una dama di grandi qualità qual era Isabella d’Este. Certo, con il suo caratterino, era la dama coccolata, sì, ma soprattutto temuta da tutti i cortigiani e nemmeno i familiari erano esenti dalle sue critiche e dai suoi malcelati malumori.

Nel 1490 sposò Francesco II Gonzaga, Marchese di Mantova, dividendosi, in tal modo, il controllo diretto o indiretto dei due Stati. Infatti, in quella città si adoperò per rendere la Corte corrispondente alla sua cultura e pure ai suoi desideri. D’altra parte, lei era dell’avviso che l’importanza e il prestigio precipui di uno Stato fossero legati soprattutto alla ricchezza e al mecenatismo di chi amministra il potere; per questo, erano ai suoi ordini uomini illustri, fra cui artisti quali Leonardo da Vinci, Andrea Mantegna, il Perugino, Tiziano e lo scultore Gian Cristoforo Romano. Le piaceva farsi ritrarre, di modo che la si riconoscesse e fosse osannata come consorte del Marchese di Mantova, sì, ma soprattutto come Marchesa di Mantova e come se fosse Duchessa di Ferrara. E, inoltre, la sua grinta le consentì di essere tenuta nel dovuto rispetto da importanti politici della sua epoca e di mantenere rapporti diplomatici con regnanti e Papi.

Quando il padre Ercole rimase vedovo di Eleonora d’Aragona nel 1493, Isabella, nata il 17 maggio 1474, ne prese il posto, come prima donna, per cui a lei spettava il compito di fare gli onori di casa e di organizzare sontuosi banchetti, concerti musicali, balli, spettacoli di teatro e tornei di uomini d’arme: tutte cose che faceva con ordine e cipiglio. Del resto, Isabella aveva tutto ciò che può avere una donna: era intelligente e molto colta. Era padrona sia del latino sia del greco, tanto da leggere e parlare le due lingue morte correntemente, e conosceva i classici, soprattutto Virgilio e Omero, di cui si dilettava di recitare brani delle loro opere; aveva una bella voce e suonava il flauto e il liuto, era brava nella danza, di cui inventava nuove tecniche. Tale formazione culturale la indirizzò alla raccolta di opere di artisti della sua epoca e di statue romane antiche; anzi, per queste ebbe una vera e propria passione, tanto da commissionare agli artisti del suo Stato la fornitura di opere in stile classico. Lei stessa riteneva che questa sua passione per il mondo antico fosse quasi un’idea fissa, tanto che non esitava a esclamare che il suo desiderio insaziabile di antichità era nello stesso tempo gioia e sofferenza. Si interessò anche di moda, diventandone ispiratrice, tanto che molte nobildonne italiane e parigine ne copiarono le vesti. Scrittori, musicisti, pittori, studiosi che vivevano alla Corte Estense erano suoi beniamini e da lei protetti; i giudizi nei suoi confronti da parte di coloro che la circondavano erano esaltanti: Ludovico Ariosto la descrisse come «liberale e magnanima», il Bandello la definì «suprema fra le donne», mentre il diplomatico Niccolò da Correggio sentenziò che fosse «la prima donna del mondo». Probabilmente, i giudizi erano esagerati, comunque quello che conta è che fossero positivi. Isabella era attenta ai problemi della politica, tanto da partecipare a incontri, quando si trattava di discutere e dirigere ad armi pari le discussioni con gli ambasciatori di altri Stati. Queste doti erano messe in evidenza soprattutto nel suo Marchesato, quello di Mantova, quando era lei a dirigere gli affari di Stato sia quando il marito Francesco II Gonzaga era assente, sia spesso pure in sua presenza. Del resto, la sua vita era divisa fra i due Stati. Qualcuno ebbe a paragonarla al Machiavelli per la sua capacità e abilità nel trattare gli affari di Stato, nel difendere e pretendere il riconoscimento dei suoi diritti, nel concordare opportune alleanze.

Comunque, la vita di Corte si svolgeva con una certa tranquillità, finché non capitò qualcosa che disturbò la monotonia della normalità. Che cos’era successo?

Andando indietro nel tempo, il figlio Alfonso di Ercole I, nel 1491, aveva contratto il matrimonio voluto dal padre con Anna Maria Sforza, sorella del Duca Gian Galeazzo Maria Sforza, in tal modo stringendo i rapporti fra Milano e Ferrara. Inoltre, il legame divenne ancora più stretto, essendosi pure sposati, cinque giorni più tardi, la sorella Beatrice di Alfonso con Ludovico il Moro, zio di Anna Maria. Nel 1497, però, Anna morì di parto portando con sé la bambina che aveva in grembo.

Per il Ducato Estense era un periodo florido, tanto che Ercole affrontò quella che è passata alla storia come l’«Addizione Erculea», che fra l’altro comportò il raddoppio della città dentro le mura, dandole quell’aspetto che fece definire Ferrara la prima città moderna europea.

Logicamente, le casse del Ducato continuarono a piangere sempre di più, tanto che Ercole, per rinsanguarle, impose ad Alfonso di risposarsi, cominciando a guardarsi attorno per individuare dove andare a pescare. Bisogna ricordare che il territorio ferrarese era stato concesso attraverso investitura a un vassallo da parte del Papa, ed era sempre presente la possibilità che la Santa Sede decidesse di annullarla; perciò, conveniva mantenere sempre dei buoni rapporti. Per cui, gli Estensi si guardarono attorno e le ipotesi formulate furono molte, ma siccome il Ducato di Ferrara, per quanto appena citato, era legato a doppio nodo con il Vaticano, Ercole I non disdegnò l’offerta che proveniva da Roma, anche perché insieme con la sposa, Lucrezia Borgia, sarebbe arrivata una cospicua dote. In tal modo, mentre il Papa Alessandro VI, al secolo lo Spagnolo Rodrigo Borgia, si liberava di una figlia diventata scomoda, dopo due matrimoni falliti e la nascita di due figli di cui uno illegittimo, e la toglieva dalle grinfie del fratello Cesare, il Ducato Ferrarese poteva contare su una ricchezza che gli consentiva di togliere, o almeno ridurre, la caterva di debiti che si era addossata.

Pertanto, malgrado il parere sfavorevole di Isabella, che si dimostrava disgustata dal comportamento riprovevole e libertino dell’«avvelenatrice» futura cognata, il 26 agosto 1501 fu stipulato quel matrimonio che, per procura, fu celebrato il successivo 1° settembre.

Naturalmente, la notizia fece scalpore; le chiacchiere, le risatine e i pettegolezzi erano dominanti, giacché erano note le vicende della giovane Lucrezia che, appena maggiorenne, era reduce da due matrimoni finiti entrambi in malo modo: infatti, il primo fu rotto dal ripudio da parte del marito Giovanni Sforza, nipote del Duca di Milano, mentre il secondo, con Alfonso d’Aragona, da cui aveva avuto un figlio legittimo, si concluse tragicamente, perché fu fatto ammazzare dal fratello Cesare; e, inoltre, aveva un figlio illegittimo, avuto da un incontro con un funzionario spagnolo del Papa. Ma forse le contrarietà peggiori, nei suoi confronti, furono dettate dalla discutibile condotta della sua vita perché, secondo il Sannazzaro, Lucrezia era «figlia, moglie e nuora» del Papa: sicuramente si trattò di un commento agghiacciante, anche se non è stato provato che il suo contenuto fosse vero. Comunque, Alessandro VI, in una bolla, accollò la nascita del figlio illegittimo al figlio Cesare, per poi dichiarare la sua paternità in quella successiva.

La fama che accompagnava la giovane donna non era del tutto gradita ad Alfonso, ma il parere favorevole espresso dal Re Francese Luigi XII e particolarmente la dote, fra tutto il resto, di 300.000 ducati (paragonabili a circa cinque milioni di euro, buttali via!), essendo le casse del Ducato abbastanza denutrite, lo convinsero ad accettare Lucrezia come sposa, per il bene della famiglia e del Ducato (un po’ come scegliere il minore dei mali).

Così, dopo il primo incontro fra i due sposi, avvenuto nel castello della famiglia Bentivoglio ubicato fra Bologna e Ferrara, il 2 febbraio 1502, a seguito di un lungo viaggio attraverso tutta l’Italia Centrale, Lucrezia fece il suo trionfale ingresso nella città estense, dopo aver viaggiato su un’imbarcazione lungo il canale Navile. A questo punto, come in un’opera teatrale, entrò in scena la sorella di Alfonso, Isabella, Marchesa di Mantova, che prese nelle sue mani il controllo della situazione, ricevendo la cognata per dovere di corte fra le acclamazioni della festante folla ferrarese. Il ricchissimo corteo sfilò per le vie della città, seguendo un percorso sinuoso, più lungo del necessario, forse per far sembrare alla nuova Duchessa che questa fosse molto più grande di quanto in realtà non era e per mostrarla al suo futuro popolo anche nelle vie meno frequentate.

Per meglio approfondire la conoscenza di questo nuovo membro della Corte Estense, si riporta come la nobildonna romana sia stata descritta dal cronista locale Bernardino Zambotti, presente a ciò che di eccezionale stava accadendo lungo le vie della città: «Bellettissima de faccia, occhi vaghi e allegri, dritta de persona e in statura, accorta, prudentissima, sapientissima, allegra, piacevole e umanissima».

Sembrava la rappresentazione del candore e della purezza, così vestita con un ricchissimo abito di seta, ricamato in oro e foderato in ermellino, adornata di una regale collana di diamanti e rubini e con una cuffia cosparsa di perle, che donavano un aspetto luminoso ai suoi splendidi capelli biondi ondulati. Siamo d’accordo sul fatto che i gioielli da lei indossati appartenessero alla famiglia d’Este, ma tantissimi altri, e altrettanto preziosi, si trovavano nelle some dei 72 muli che facevano parte del corteo proveniente dalla Santa Sede. Naturalmente, Isabella faceva «buon viso a cattivo gioco», come si dice, ma dentro di sé bolliva un’invidia e un’animosità che trasudavano da tutti i pori, come si evidenzia nel contenuto delle lettere che inviò al marito Francesco Gonzaga, strapiene di maldicenze e denigrazioni nei confronti della più giovane cognata. Non c’è che dire: Isabella era gelosa di Lucrezia, la quale, oltre a essere più giovane, era pure più bella (lei era piacente, ma non bellissima, forse leggermente in carne, ma comunque con forme procaci che non disdegnava di mostrare con gli abiti giusti), di buon carattere, disponibile al dialogo; fra l’altro – e ciò la faceva ancora di più inacidire – piano piano Lucrezia attirava la simpatia e l’affetto di tutti i cittadini, uomini o donne che fossero.

E Alfonso, come si comportava? Diciamo, bene, in quanto non teneva conto delle dicerie che gravavano sulla giovane moglie, mentre ne apprezzava, oltre alla bellezza, la disponibilità e la dolcezza di comportamento. E naturalmente anche le iberiche damigelle, che aveva portato con sé da Roma, erano egualmente bene accette dai maschi cortigiani: basti pensare che i fratelli di Alfonso, Ippolito, Giulio e Ferrante, ne erano follemente innamorati. E il Duca Ercole I, in base alla condotta di Lucrezia, la ritenne tanto soddisfacente da inviare una lettera al Papa Alessandro VI, nella quale ne esprimeva le lodi per il carattere radioso e per le ottime qualità. Naturalmente, il modo di comportarsi dei suoi fratelli nei confronti della cognata e del suo seguito non poteva altro che aggiungere livore all’animosità di Isabella che cercava di non mostrare, fingendo una cordialità senza fondamento, mentre inghiottiva il boccone amaro. Lucrezia aveva più volte tentato di entrare in amicizia con la cognata, ma aveva sempre trovato freddezza e rifiuto. Non solo, ma una volta rientrata a Mantova, per essere sempre informata, Isabella le mise alle costole due suoi fidati informatori, affinché controllassero il suo «modus vivendi», per coglierne eventuali pecche e, magari, eventuali contatti fuori dalle righe con uomini. Insomma, Isabella era quanto di meglio e altezzoso si potesse incontrare nelle due Corti.

Di tutt’altro genere era Lucrezia, che a Roma con i suoi parenti aveva imparato a starsene buona, senza scontrarsi con loro, stando ai loro giochi di potere, ottenendo forse di più con il suo comportamento tranquillo, che sfruttando le sue peculiarità femminili.

E a Ferrara, con il suo comportamento sereno e gioviale, riuscì a inserirsi nella vita di tutti i giorni, accattivandosi la simpatia di tutti, cortigiani e cittadini, tranne che quella della cognata Isabella. Erano molti i detrattori della Duchessa, che ne descrivevano le qualità, o meglio i difetti, definendola come donna affascinante, frequentatrice di baccanali nell’Urbe e perfida, corrotta, perversa e avvelenatrice, e chi più ne ha più ne metta. Ma piano piano Lucrezia riuscì a eliminare quel velo che la metteva in cattiva luce davanti al suo popolo, facendo svanire quell’alone di fama diabolica che l’avvolgeva. E non se ne stette con le mani in mano, a oziare tutto il santo giorno, anzi: si diede da fare, diventando un’abile imprenditrice con l’allevamento delle bufale, che si era portate dietro dall’Agro Romano, e che sfruttava sia per il consumo della carne sia per il commercio di mozzarelle di bufala, che divennero famose nell’Italia del Nord; questo è quanto descritto in documenti conservati nell’Archivio di Stato Modenese.

La vita di Corte, quando Isabella era a Ferrara, era sempre permeata del contrasto fra le due prime donne, che cercavano sempre di eccellere l’una sull’altra, circondandosi dei personaggi più in vista dai quali trarre il maggior consenso, magari rubandosene la compagnia. Si contesero l’amicizia e la disponibilità dei due compositori Marchetto Cara e Bartolomeo Tromboncino, ritenuti i migliori animatori delle feste organizzate a Corte. Fra i tanti personaggi importanti che la circondavano, emerse uno che lasciò profondi segni nella vita di Lucrezia: si trattava del poeta veneziano Pietro Bembo, persona raffinata dal fisico prestante, che nel 1502 entrò alla Corte Estense grazie al suo interessamento e che Isabella tentò invano di convincere ad andare alla Corte di Mantova. La ragione del suo rifiuto era semplice, giacché, stando a quanto riferito a Isabella dai suoi informatori, Pietro si era innamorato di Lucrezia e lei lo ricambiava, anche se non è dato sapere se quell’idillio restò semplicemente tale oppure se andò oltre. Certo è che fra i due si era instaurato un rapporto di amicizia che avrebbe potuto dar adito a pettegolezzi. Ci fu un grande scambio di lettere e, come se ciò non bastasse, il Bembo nel 1505 le dedicò Gli Asolani, uno scritto avente come argomento l’amore. Quell’anno scoppiò la peste in città, che decimò la popolazione, e Pietro scomparve. Non è nota la ragione, anche se pare che dietro alla sua partenza ci sia stato un implicito sollecito dovuto alla rivelazione ad Alfonso dell’idillio da parte di Isabella.

Naturalmente Lucrezia, che sapeva di come la cognata le remasse contro, non appena capitò la giusta occasione, non si tirò indietro; e quando Francesco Gonzaga, marito di Isabella, dedicato più alla conquista di cuori femminili che ai problemi di Stato, la invitò a sostare con lui al castello di Borgoforte, prima di raggiungere Mantova, accettò con piacere. Anche in questo caso, resta il dubbio di come sia andata a finire, ma chi ne uscì sconfitta fu proprio Isabella. Purtroppo, non finì lì, giacché Alfonso venne a sapere del fatto e nell’estate del 1508 in città si trovò, accoltellato, il corpo di Ercole Strozzi, uomo fedele a Lucrezia e di collegamento con Francesco. Non fu mai individuato l’esecutore materiale del delitto, ma sembra di poter ritenere che si sia trattato di un’esecuzione con il significato di «non siete ignorati e occhio a come vi muovete!», riferito ai due.

La vita continuava, fra alti e bassi. I rapporti fra Lucrezia e Alfonso proseguirono con tranquillità e lei continuava a mettere figli al mondo, che furono sette più non si sa quanti aborti, mentre il marito pensava alle rogne con la troppo vicina e scomoda Repubblica di Venezia, che ambiva di impossessarsi dei territori del Ducato, e alla propaganda e alla vendita dei suoi famosi e micidiali cannoni.

Alla fine, il 24 giugno 1519 Lucrezia morì uccisa da febbri puerperali, dopo il parto dell’ultima figlia che le sopravvisse solamente per tre anni. Il suo corpo, rivestito con l’abito di terziaria francescana, fu sepolto insieme a tanti Estensi, nel poco appariscente monastero del Corpus Domini di Ferrara, elevato nel 1400 e situato in una stradina della zona medievale, che ancora oggi ha il suo aspetto originale con il muro a vista. Fu un anno triste, giacché il 29 marzo scomparve pure il Marchese Francesco II, che già da anni soffriva di mal francese, come era definita la sifilide, e che fu la causa di un certo attrito in atto nella coppia.

A Mantova, dopo aver lasciato il castello di San Giorgio, Isabella si trasferì in un appartamento di Corte Vecchia, dove raccolse opere di pittori famosi. Si interessò alle ingarbugliate faccende matrimoniali del figlio Francesco, aprì una scuola per ragazze, trasformò in un museo i suoi appartamenti. Poi, finì la sua esistenza quale governatrice di Solarolo in Romagna: morì il 13 febbraio 1539.

La vicenda delle due dame rinascimentali rimane un esempio di come sia difficile, ma necessaria per il bene comune, la coesistenza di due nobildonne, diverse per origine, carattere e quant’altro, costrette, loro malgrado, a vivere insieme e a sopportarsi a vicenda, combattendo ad armi pari e bloccando con orgoglio e cipiglio gli attacchi che si portavano vicendevolmente.

(aprile 2022)

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