Leonardo da Vinci, un Genio universale
La vita, le opere, le idee di un uomo eccezionale

Chi è un genio? È una persona di straordinaria intelligenza, uno che giganteggia sopra la mediocrità della gente che gli sta intorno. Non si tratta solo di cultura, che chiunque – nei suoi limiti – può acquisire col tempo, lo studio, le esperienze: si tratta di quella scintilla in più d’intelligenza che pochi hanno, e che non tutti quelli che possiedono riescono a sfruttare.

Tra coloro che possedettero quella scintilla e riuscirono a farla attecchire nella mente, sta Leonardo da Vinci. Non fu semplicemente un genio: fu il Genio, in modo assoluto. Secondo molti, fu l’uomo più straordinario mai vissuto. Questo spirito inquieto fu pittore, scultore, architetto, matematico, ingegnere, astronomo, fisico, naturalista, chimico, musicista: i suoi interessi – in un’epoca che vedeva l’invenzione della stampa, la scoperta del Nuovo Mondo, la «rinascita» delle arti, «l’uomo al centro dell’Universo» – spaziarono quasi in ogni direzione, come un vero uomo del Rinascimento. Non voleva solo rappresentare il mondo, bensì comprenderne i fenomeni, sperimentandoli e interpretandoli con l’ausilio di una grande capacità analitica e di conoscenze geometriche e matematiche ben fondate. Ma possiamo dire di più, con Cesare Luporini (La mente di Leonardo, 1953): «I problemi che egli investiva e attorno a cui si affaticò – la natura, la scienza e il suo metodo, l’esperimento, la macchina, il lavoro, l’utilità a pro’ di tutti gli uomini, il carattere conoscitivo e realistico dell’arte, il rapporto tra arte e scienza – rispetto al suo tempo sono problemi carichi di avvenire, e fra quelli che saranno poi decisivi nella formazione del mondo moderno». Tutto questo è ancora più incredibile se si pensa, come hanno dimostrato studi recenti, che Leonardo non sapeva far di conto (non era cioè in grado di risolvere le più elementari operazioni matematiche), non poteva leggere testi greci ed è altamente probabile che leggesse i testi latini con l’ausilio di qualche amico dotto – si definì anzi, con orgoglio, «omo sanza littere».

Il «mito» di Leonardo iniziò ad essere costruito nel 1939 e proseguì, a volte per forza d’inerzia, a volte in perfetta buona fede, fino ad oggi: lo si è persino dipinto come un misterioso depositario di grandi segreti cosmici, dotato di tutte le stigmate del mago rinascimentale, o come il precursore di tutti i futuri progressi dell’ottica, della meccanica e dell’anatomia, o come il creatore di macchine sconvolgenti per la loro straordinaria anticipazione di tecnologie assai avanzate.

A onor del vero, non si può dire che tutte le macchine e le invenzioni di Leonardo fossero il prodotto del suo genio originale e fecondo: nella seconda metà del Quattrocento esperti ingegneri come il Taccola, Buonaccorso Ghiberti e Francesco di Giorgio Martini avevano redatto trattati militari, «zibaldoni» di conoscenze tecniche e meccaniche, accompagnandoli con illustrazioni spesso rozze ma efficaci, e Leonardo li aveva copiati e studiati come dimostrano certi suoi appunti e memorie; parimenti, aveva seguito avidamente i progressi fatti nella fisica da Giovanni Buridano e da Alberto di Sassonia nel Trecento. I suoi disegni tecnologici dipendono spesso dalla lettura di libri e manoscritti altrui e, in particolare, dall’osservazione dell’attività che si svolgeva nelle botteghe o dallo scambio di idee con studiosi e tecnici del suo tempo. Ciò non toglie che la sua opera di meccanico ed ingegnere sia stata, per vastità ed esperienza, davvero unica e, talvolta, precorritrice: ma non possiamo certo considerarla un frutto solitariamente maturato nel deserto.

Già da giovanissimo, Leonardo espresse il suo genio. Nacque il 15 aprile 1452, un sabato, alle ore 22.30 (come annotò diligentemente il nonno Antonio); era il figlio illegittimo di ser Piero, notaio ed appartenente a una ricca famiglia di proprietari terrieri del contado di Empoli, e di Caterina, una contadina che poco più tardi sposerà tale «Achattabriga di Piero del Vacca da Vinci» e che cedette il figlio a Piero e alla moglie. Cresciuto a Vinci, un villaggio a sessanta miglia da Firenze, Leonardo non aveva che diciannove anni quando si presentò a Firenze alla bottega di Andrea del Verrocchio mostrandogli alcuni suoi disegni. Il Verrocchio era uno dei migliori artisti dell’epoca, e vide subito in quel giovane l’impronta del grande artista: «Bravo giovanotto!» gli disse, posandogli una mano sulla spalla. «Da domani potrai frequentare la mia bottega» (col termine «bottega» si intendeva una scuola, in questo caso di pittura). Fu così che, nel 1469, Leonardo si stabilì a Firenze per dedicarsi all’arte: nello stesso anno è datata quella che la critica contemporanea accetta come la sua prima opera completa, la Madonna della melagrana (Madonna Dreyfus) – il Vasari racconta però che il primo dipinto di Leonardo fu un angelo nella parte sinistra del Battesimo del suo maestro. Per cinque anni frequentò la bottega del Verrocchio, ma senza dedicarsi esclusivamente alla pittura: per proprio conto studiò matematica, anatomia, meccanica, idraulica, architettura, astronomia; a ventiquattro anni, aveva già in mente molti geniali progetti.

Si è sempre detto molto su Leonardo pittore, ed a ragione, perché i suoi dipinti sono eccezionali, anche se molto spesso andarono perduti o rimasero incompiuti. Leonardo scienziato, invece, è una scoperta ottocentesca. Ma a tutto torto: in questo saggio, senza togliere nulla al valore dell’arte leonardesca, ci soffermeremo dunque a parlare solo per sommi capi e in modo comunque incompleto (un semplice elenco di tutte le sue invenzioni occuperebbe troppe pagine) della sua opera tecnica e scientifica.

Leonardo era, innanzitutto, un acuto osservatore: allo scopo di studiare minuziosamente il corpo umano, fu il primo a studiare l’anatomia direttamente sui cadaveri. Ci ha lasciato descrizioni precise sul funzionamento del cuore, sulla struttura della colonna vertebrale e sul movimento dei muscoli. Si occupò anche del mondo vegetale: notò per primo la disposizione regolare delle foglie sui rami, osservò la circolazione della linfa, tentò la coltivazione in acqua di alcuni tipi di piante e scoprì che il numero degli anelli nel tronco corrisponde all’età dell’albero. Si rivolse anche allo studio dell’ottica, ossia di quella scienza che tratta dei fenomeni della luce, e giunse a comprendere per primo la ragione per cui la luce proietta le immagini capovolte nella cosiddetta «camera oscura».

Quest’uomo che non sapeva far di conto era entusiasta della matematica, come la forma più pura di ragionamento, espresse uno dei principi fondamentali della scienza (cioè che non vi può esser certezza laddove non si possono applicare né le scienze matematiche, né le scienze che su queste si fondano) e si rifiutò categoricamente di lasciar correggere i suoi lavori a chiunque non fosse un matematico. Per lui la meccanica era il paradiso delle scienze matematiche, perché per mezzo suo si raggiungevano gli stessi fini della matematica nelle applicazioni pratiche. Ma non era affatto un materialista.

Era affascinato dall’astronomia: precedette l’astronomo Copernico nell’affermazione del principio eliocentrico secondo il quale la nostra Terra fa parte di un sistema astronomico che ha per centro il sole, e lo fece in un’epoca in cui tutti erano convinti che la Terra fosse immobile al centro dell’Universo. Aveva il progetto di fare degli occhiali coi quali si potesse vedere la Luna da vicino, ma probabilmente non ne fece nulla.

Non trascurò neppure gli studi musicali: costruì con la massima precisione liuti, lire e viole, e si preoccupò di perfezionare gli strumenti musicali allora esistenti. Studiò la trasmissione dei suoni e ne identificò il mezzo nelle onde d’aria; aveva anche un’idea sua particolare sul telefono. Fu persino compositore, e suonava mirabilmente la cetra.

Era, invece, il meno dedito alle scienze occulte di tutti i pensatori del suo tempo: si rifiutava di credere all’alchimia e all’astrologia e sperava che sarebbe venuto il giorno in cui tutti gli astrologi sarebbero stati castrati.

Non si occupò mai di politica né di amministrazione.

Fisicamente, Leonardo appariva con un volto aperto e benigno, gli occhi scrutatori, i lunghi capelli sparsi e una gran barba bianca, accuratamente profumata e ondulata. Era vegetariano, amava gli abiti lussuosi, era noto per la sua forza (piegava un ferro di cavallo con le mani); era anche un esperto schermidore, abile nel cavalcare e nel guidare i cavalli, che amava come i più nobili e belli degli animali. Era di una gentilezza estrema con gli amici, protestava contro l’abitudine di uccidere gli animali, non volendo che nessuno facesse del male ad esseri viventi, e comperava perfino gli uccelli in gabbia per rimetterli in libertà; eppure rimaneva insensibile di fronte alle sofferenze degli esseri umani. Era terribilmente conscio di quello che valeva ed era vanitoso. «Se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo» scriveva, e sosteneva che uno si appartiene solamente quando è solo e che in compagnia ci si dimezza e ci si spreca secondo l’indiscrezione del compagno; nelle compagnie numerose sapeva eccellere come musicista o come parlatore, ma preferiva isolarsi, profondamente immerso nei suoi pensieri. Era solito affermare che la libertà è il più gran dono della natura, ma non aveva mai sofferto la fame.

Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci, Autoritratto di Acerenza, XV secolo, Museo delle Antiche Genti di Lucania, Vaglio di Basilicata (Italia)

Quando Ludovico il Moro, nel 1482, scrisse a Lorenzo il Magnifico di mandargli un artista che sapesse erigere un degno monumento a Francesco Sforza, questi inviò Leonardo, allora appena trentenne. Ma di quest’opera, come di tutte le altre opere di scultura, non ci rimane più nulla: Leonardo aveva fatto dei disegni del monumento equestre ed anche un modello in gesso, ma esso venne distrutto a colpi di balestra dai soldati francesi nel 1499. Solo in anni recenti un’associazione statunitense intitolata a Leonardo ne ha fatto una copia, regalandola poi all’Italia.

Alla Corte Milanese, Leonardo si presentò con una lettera nella quale elencava tutto quello che era in grado di fare, solo che il Duca glielo avesse richiesto. Ecco alcuni brani della lettera, dei quali abbiamo «modernizzato» in alcuni punti il non facile italiano trecentesco nel quale è scritto l’originale: «Ho progetti di ponti leggerissimi e forti, che si possono trasportare facilissimamente... So costruire bombarde praticissime e trasportabili e con quelle lanciare minuti proiettili, come tempesta... E se occorresse combattere in mare ho modo di costruire navigli che faranno resistenza al tiro di qualsiasi bombarda... E ancora conosco il sistema di entrare in qualunque luogo con gallerie segrete, scavate senza alcun rumore, anche se occorresse passare sotto qualche fiume... Posso costruire, poi, carri coperti, sicuri e inattaccabili, i quali col fuoco dei propri cannoni potranno penetrare tra i nemici senza che questi, per quanto numerosi, possano attaccarli. Dietro al carro potranno seguire le fanterie, in gran numero, illese e senza più incontrare ostacoli... Dove non occorressero le bombarde, costruirò altri strumenti di mirabile efficacia e fuori del comune; insomma, secondo la varietà dei casi, costruirò infinite cose sia per la difesa che per l’offesa...

In tempo di pace soddisferò benissimo, al confronto di qualunque altro, in architettura, nella costruzione di edifici pubblici e privati e nel condurre acque da un luogo all’altro. Così pure potrò eseguire qualsiasi cosa si possa fare in scultura di marmo, di bronzo, di argilla, e in pittura, a paragone di ogni altro, chiunque egli sia...».

Come si può notare, Leonardo contava di essere assunto presso la Corte Milanese soprattutto in qualità di ingegnere militare. E per questo sciorinò uno stupefacente elenco di invenzioni inerenti l’arte bellica: fortilizi formati da tre costruzioni anulari concentriche dalle pareti verticali quasi invalicabili e gallerie di comunicazione sotterranee, ponti mobili, bombarde con proiettili esplosivi, cannoni a vapore da lui chiamati «architroniti»... Fu ancora lui ad inventare il caricamento dei cannoni dalla parte posteriore (retrocarica), che ebbe effettiva applicazione solo secoli dopo, e l’uso di proiettili dalla punta ogivale, che non furono impiegati fin verso la metà dell’Ottocento.

Due invenzioni non cessano di stupire: il carro armato e la mitragliatrice!

L’idea di un carro coperto che potesse penetrare nelle file nemiche seguito da soldati, già si trovava nel Medioevo ed era stata ripresa con assiduità nel Quattrocento. Leonardo previde un carro pesante, a forma di testuggine, armato di cannoni tutt’attorno e forse rinforzato con piastre metalliche: la copertura conica faceva in modo che i proiettili gli scivolassero sopra; la locomozione era ottenuta dalla forza di otto uomini che, stando all’interno, azionavano delle manovelle collegate alle ruote per mezzo di ingranaggi. Un carro del genere, diceva, avrebbe dovuto servire al posto degli elefanti per le cariche; inoltre vi si potevano sistemare delle trombe o dei soffietti per spaventare i cavalli del nemico, mentre i moschettieri al suo interno avrebbero disperso qualsiasi esercito.

Carro armato

Leonardo da Vinci, carro armato

Per quanto riguarda la mitragliatrice, ne abbiamo modelli differenti: uno è un cannone con tre serie di bocche da fuoco (in totale 33 canne) disposte sulle tre facce di un prisma triangolare ruotante (scaricata una serie si poteva, immediatamente dopo, fare fuoco con l’altra che si era caricata nel frattempo, mentre la terza si raffreddava); lui stesso chiamò questa macchina «spingarda a organi». In un altro modello le bocche da fuoco erano sistemate su un solo affusto e sparavano proiettili minuti o esplosivi che, caricati in una sola canna, si spargevano dopo lo sparo. Le armi erano corredate di sistema a vite per regolare l’alzo.

Mitragliatrici

Leonardo da Vinci, mitragliatrici

Inoltre, con almeno due secoli di anticipo sul resto dell’umanità, Leonardo previde la necessità di meccanizzare tutte le attività manuali, di produrre su scala industriale, di meccanizzare i trasporti, di creare una navigazione subacquea ed una navigazione aerea, di costruire grattacieli e strade pensili; e non solo pose questi e decine d’altri problemi, ma ne indicò genialissime soluzioni. Fu lui ad inventare un carro le cui ruote potevano girare a differente velocità (anticipando di secoli il moderno differenziale applicato oggi a tutte le automobili), la bicicletta, e poi torni per filettare, macchine per fabbricare viti, intagliatrici per lime, dispositivi per il taglio della madrevite, perforatrici per tubi di legno, trivelle per ricerche idriche, affilatrici per aghi a punta ogivale, macchine per levigare superfici di specchi metallici piani, a debole curvatura, a forte curvatura, catene snodate di trasmissione per tutti gli usi, valvole, cambi di velocità, sospensioni cardaniche... Dedicò particolare attenzione alle macchine tessili, disegnando fra l’altro macchine per torcere, il modello di fuso ad aletta che è tutt’ora in uso, il «distributore del filo», binatrici e ritorcitrici, telai meccanici, garzatrici continue e intermittenti (fino agli inizi del Novecento ne furono in uso alcune quasi identiche a quelle leonardesche), cimatrici automatiche e a quattro forbici che eseguivano automaticamente e con maggior perfezione lo stesso lavoro di quattro operaie; alcune di esse furono «reinventate» a distanza di qualche secolo (come ad esempio il «distributore del filo», reinventato nel 1794), fecero la fortuna del nuovo inventore e sono tuttora ricordate col nome di questo.

Si può comprendere Ludovico il Moro, il quale rimase piuttosto incredulo davanti a tante meraviglie; ma esitò sempre ad acconsentire alla realizzazione di quei progetti, ritenendoli inattuabili – e fu questo il destino della maggior parte delle invenzioni leonardesche. Si è spesso detto, a giustificazione di questo fatto, che esse superavano le possibilità della tecnica del tempo; ma non è sempre vero, perché Leonardo studiò quasi tutti i suoi progetti con molta minuzia di particolari, risolvendo le difficoltà della costruzione. Molti suoi disegni hanno il carattere di dettagliati schemi di lavoro per l’officina che avrebbe realizzato il progetto, e non si trattava di un’officina immaginaria, ma di una normale officina della fine del Quattrocento. Egli fu il primo ad eseguire studi scientifici sulla resistenza dei materiali impiegati nelle costruzioni meccaniche e di queste sue ricerche si valse per stabilire le sezioni delle varie strutture delle sue macchine.

In definitiva, possiamo concludere che la mancata realizzazione di quasi tutte le invenzioni di Leonardo non fu dovuta tanto alle difficoltà pratiche di costruzione, quanto all’arditezza della concezione: i suoi contemporanei non credevano possibile che macchine simili potessero esistere e funzionare, così come molti, vedendo le prime automobili, si rifiutavano di credere che delle vetture senza cavalli potessero muoversi.

Alla Corte Milanese, Leonardo rimase fino al 1499: furono diciassette anni di lavoro intensissimo, durante i quali andò accumulando progetti di macchine militari, di armi e macchine per la guerra, strumenti per la navigazione, di edifici, di edilizia cittadina (il Codice Atlantico, conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, contiene centinaia di fogli con disegni di soggetto tecnico e scientifico appartenenti a periodi differenti della vita di Leonardo, ed è da considerare il testo fondamentale per lo studio della tecnologia vinciana; eppure, anche aggiungendovi i vari altri codici conservati in Francia, Inghilterra, Spagna e Italia, non raggiungiamo che un quarto dell’intero «corpus» leonardesco, per il resto disperso). Scrisse cinquemila pagine, affermò di aver lasciato 120 manoscritti, ma ne rimangono solo cinquanta. Intanto, Leonardo dipingeva: è degli anni che vanno dal 1495 al 1498 l’Ultima Cena che si trova nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie e che rimane uno dei dipinti più famosi di tutti i tempi.

Ludovico il Moro tenne con sé Leonardo da Vinci non per ciò che valeva, ma come giovane brillante che poteva organizzare le rappresentazioni di Corte o le sfilate per la città, poteva ornare le vesti della moglie, dell’amante o delle principesse, poteva dipingere affreschi e ritratti; dovette perdere tempo prezioso per fare cinture originali per la sposa di Ludovico, Beatrice d’Este, per ideare i costumi delle giostre e delle feste, per organizzare spettacoli e per decorare le scuderie dipingendo sulle pareti cavalli in corsa. Erano cose che si richiedevano, del resto, ad ogni artista rinascimentale. Così, Leonardo adornò la sala da ballo del castello per il matrimonio di Beatrice, costruì una speciale stanza da bagno per lei, eresse nel giardino un grazioso padiglione d’estate e dipinse altri «camerini» per le feste di palazzo. Eseguì i ritratti di Beatrice, di Ludovico, dei loro figli e delle amanti di Ludovico: Cecilia Gallerani e Lucrezia Crivelli. Questo, però, gli fruttava 2.000 ducati all’anno, oltre a doni e privilegi: Leonardo viveva da gran signore, disponeva di numerosi assistenti, di servi, paggi e cavalli, prendeva al suo servizio dei musicisti e vestiva di seta e di pellicce, portava guanti ricamati e scarpe di cuoio.

Nel XV secolo Milano era una città con casupole addossate le une alle altre; le condizioni igieniche erano pessime ed erano causa di frequenti epidemie. Leonardo deplorava il chiasso, il sudiciume e la difficile circolazione delle città italiane, ne studiò la sistemazione e sottopose a Ludovico il Moro il progetto di una vera e propria città ideale: passava gran parte del suo tempo a misurare con ampi passi le distanze tra le abitazioni, cercando di immaginare come sarebbero dovute essere. Vi dovevano essere due piani: le case, comode, e i grandi palazzi per i servizi pubblici erano sopraelevati per lasciare spazio libero al traffico. Le strade erano poste a due livelli diversi: quelle che passavano al livello delle case, larghe venti braccia (circa tredici metri) e sostenute da archi e colonnati, erano riservate ai pedoni, quelle più basse erano destinate ai veicoli ed ai servizi; gli incroci avvenivano per mezzo di opportuni cavalcavia (scale a chiocciola); ogni tanto, una fontana avrebbe rinfrescato e purificato l’aria. Strade sotterranee coperte formavano una rete di fognature per il trasporto dei rifiuti. Era un progetto grandioso, ma che richiedeva mezzi di cui Ludovico il Moro mancava. Quante città moderne, ci potremmo chiedere, dispongono di un servizio stradale così efficiente e razionale?

Città ideale

Ricostruzione digitale della città ideale secondo le idee di Leonardo da Vinci

Nella città lombarda, Leonardo completò la costruzione del canale della Martesana, del Naviglio interno e del Naviglio Grande. Perfezionò inoltre gli impianti di chiusura delle conche dei navigli, rendendo le porte manovrabili dall’argine, con un minimo sforzo, e disponendole in modo che la forza stessa della corrente contribuisse a mantenerle ben chiuse; numerosi fiumi della Lombardia, della Toscana, del Veneto furono oggetto degli studi e dei progetti di canalizzazione di Leonardo.

Ma il problema che più gli assillava la mente era quello del volo umano: per anni si interessò del volo degli uccelli, considerandoli esseri in molte cose superiori a noi, e andò tracciando sulla carta vari tipi di apparecchi ispirati alla struttura delle ali degli uccelli. Studiò nei minimi particolari il movimento delle ali e della coda, e il modo in cui si innalzavano, planavano, volteggiavano e discendevano. Bisogna sfatare la leggenda che parla di «tentativi di volo» da parte di Leonardo, che non sono provati in modo certo da alcun documento, ed osservare invece quanto risulta dai suoi schizzi e disegni.

Da essi si ricava che Leonardo inventò l’aliante, cioè quella specie di aeroplano sprovvisto di motore. La novità della concezione era quella di non utilizzare la forza muscolare (insufficiente per far innalzare le macchine molto pesanti), ma di sfruttare la forza delle correnti d’aria; le estremità mobili servivano per controllare il volo. Il pilota veniva imbracato al centro della macchina in posizione verticale. Si è calcolato che una simile macchina avrebbe potuto sollevare un uomo di settanta chili di peso!

L’ornitottero prono, una delle sue macchine volanti più note (di ornitotteri di diverso tipo, ne progettò parecchi), prevede un uomo prono che spinge sui pedali che azionano, tramite funi e leve, sia il movimento d’alzata e d’abbassata sia la flessione e rotazione dell’ala che quasi «rema» nell’aria, come se fosse nell’acqua.

A lui si deve l’ideazione della «vite aerea»: quattro uomini, puntando i piedi su una piattaforma centrale, avrebbero dovuto far forza su sbarre fissate orizzontalmente ad un albero verticale; in questo modo avrebbero fatto girare su se stessa un’immensa, leggerissima «vite» di dieci metri di diametro; facendo «presa» nell’aria, essa avrebbe fatto innalzare l’intera macchina. Su questo principio si basano i moderni elicotteri, nei quali la grande elica orizzontale agisce esattamente come la «vite aerea», col vantaggio di possedere un moto velocissimo.

Vite aerea

Leonardo da Vinci, vite aerea

Giunse anche all’idea del paracadute (disegnato a forma piramidale), e indicò chiaramente le misure che esso doveva avere. Lasciò scritto che «se un uomo ha un padiglione di pannolino intasato, che sia 12 braccia per faccia e alto 12, potrà gittarsi d’ogni grande altezza senza danno di sé».

Molti modelli delle invenzioni di Leonardo, perfettamente funzionanti, si possono ammirare alla galleria a lui intitolata nel Museo della Scienza e della Tecnica, proprio a Milano, nonché al Museo delle «Macchine di Leonardo da Vinci», nella chiesa di San Cristoforo a Lucca.

Nel 1499, le truppe francesi entrarono in Milano: Leonardo abbandonò la città recandosi prima a Mantova, poi a Venezia, dove si occupò di tecnica navale. Progettò un’imbarcazione con propulsione a pale (che avrebbero dovuto avere una lunghezza di 90 centimetri): secondo i suoi calcoli, facendo fare alla ruota dentata (azionata mediante una manovella) 50 giri al minuto, l’imbarcazione si sarebbe mossa alla velocità di 50 miglia orarie; tale genere di propulsione doveva trovare pratica applicazione solo tre secoli dopo, con l’avvento della navigazione a vapore. Ideò una tenuta da palombaro e delle pinne da applicare alle mani per il nuoto subacqueo, praticamente identiche a quanto usato attualmente dai sommozzatori e dai cacciatori subacquei, e persino un sommergibile con doppio scafo: in esso la struttura delle fiancate permetteva l’immersione e l’emersione, come avviene nei sommergibili moderni.

Barca con propulsione a pale

Leonardo da Vinci, barca con propulsione a pale

Durante la sua permanenza a Venezia, Leonardo ottenne la carica di ingegnere militare. La Repubblica era minacciata molto da vicino dai Turchi, che erano giunti fino al Friuli. Leonardo pensò che il fiume Isonzo avrebbe potuto divenire una barriera naturale molto efficace: studiò attentamente l’orografia e l’idrografia della zona, eseguì dei rilievi cartografici e progettò un sistema di sbarramenti che, in caso di pericolo, avrebbero fatto alzare il corso delle acque e allagato i territori circostanti, impedendo l’avanzata di un esercito.

Nei suoi infiniti schizzi e disegni si trovano inoltre studi sull’andamento delle correnti e delle vene d’acqua nei fiumi e nei canali, progetti di pompe per pozzi, di ruote idrauliche, di draghe escavatrici per la pulizia del fondo dei canali, di ponti girevoli azionati da meccanismi non molto dissimili da quelli attuali, e persino l’idea di un sistema per ancorare di nascosto al fondo di un porto le carene di navi nemiche.

Leonardo era rimasto sbigottito dinanzi alla bellezza superba della Serenissima, ma trovò che i suoi vivi colori e i suoi ornamenti gotico-bizantini erano eccessivi per il suo gusto fiorentino. Così, si stabilì prima a Firenze (dove progettò la costruzione di un canale navigabile che, passando per Prato, Pistoia, Serravalle e Fucecchio, unisse la città al Mar Tirreno) e infine a Roma, alla Corte di Papa Leone X, della famiglia Medici. Qui, oltre a studiare il modo di prosciugare le Paludi Pontine, ebbe modo d’incontrarsi con i più illustri artisti del tempo: vi erano il Bramante, Raffaello e Michelangelo. I bellissimi dipinti e gli studi geniali in tutte le scienze lo avevano ormai reso famoso in tutta Europa: principi e Re facevano a gara per averlo alla loro Corte.

Nel 1516, Leonardo partì per la Francia, per essere ospitato alla Corte del Re Francesco I. Era invecchiato anzitempo: un autoritratto in sanguigna del 1515-1517, conservato nella Biblioteca Reale di Torino, lo raffigura calvo sino a mezza testa, con la fronte, le gote e il naso coperti di rughe, e quasi sommerso nella barba. Nel castello di Cloux-Lucè in Amboise, sulla Loira, il sommo artista trascorse gli ultimi anni della sua vita. Ormai non lavorava quasi più: la paralisi che gli aveva colpito la mano destra gli rendeva impossibile l’uso del pennello. La sua maggiore occupazione era quella di riordinare i manoscritti e i disegni, nei quali era racchiuso il risultato di un cinquantennio di meditazioni e di studi.

Il 2 maggio del 1519, a sessantasette anni di età, il sommo Leonardo morì, lasciandoci molti suoi manoscritti, che sono però difficilmente decifrabili a causa della sua scrittura speculare (essendo mancino, aveva imparato a scrivere al contrario, da destra verso sinistra) e tachigrafata.

Nonostante tutto quello che abbiamo detto, è stato osservato che il contributo di Leonardo al progresso generale della scienza fu più scarso di quanto ritenuto da molti suoi entusiastici ammiratori o anche da studiosi, come il Duhem, che gli attribuirono troppe improbabili letture o conoscenze ed influenze assai dubbie sulla formazione di teorie molto più decisive. In ogni caso, è difficile negare che nell’opera di Leonardo, così fondata sulla certezza del valore della ragione e dell’esperienza, così libera da ogni sottomissione ad autorità religiose o filosofiche costituite, così consapevole della intrinseca connessione tra arte, scienza e tecnica, fosse presente un grande progetto di conoscenza «globale», perseguito con instancabile e minuziosa fatica.

Se contempliamo tutto quello che Leonardo fece, ci meravigliamo della strada fatta dall’uomo a partire dalle origini e rinasce in noi la fiducia nelle possibilità del genere umano.

Un agevole volumetto per chi volesse introdursi alle invenzioni leonardesche, corredato di un ottimo apparato iconografico, è: Marco Cianchi, Le Macchine di Leonardo da Vinci, Becocci Editore, Milano 1988.

(luglio 2015)

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